Russia, uccisa dopo 3 ore di tortura per il ritardo della polizia: riesame grazie alla pubblicazione dell’audio

La violenza domestica è stata depenalizzata nel 2017 ed è triplicata con una media di 20/30 femminicidi al giorno

Luisa Betti Dakli
Luisa Betti Dakli
Direttrice DonnexDiritti International Women



In questi giorni in Russia è tornato a galla il femminicidio di Vera Pekhteleva, una studentessa di 23 anni uccisa lo scorso anno dall’ex fidanzato Vladislav Kanyus, in quanto l’assassino è stato rinviato a giudizio con l’aggiunta dell’aggravante della crudeltà all’accusa di omicidio.

Quello che però ha contribuito a questo sviluppo, malgrado fossero già note le 110 tra ferite, tagli e fratture ritrovate sul corpo di Vera, è stato l’audio reso pubblico sui media dalle attiviste dei centri antiviolenza che hanno fornito la registrazione delle chiamate dei vicini durante la tortura inflitta alla ragazza dall’assassino

Il femminicidio di Vera Pekhteleva: aiuti chiesti per 1 ora e mezza e arrivati solo dopo che la ragazza era stata uccisa

Vladislav Kanyus

L’audio della richiesta di aiuto, con le urla della donna in sottofondo, ha scosso l’opinione pubblica e ha fatto in modo che fosse formulata anche un’accusa di negligenza più grave contro gli operatori di call center e la polizia, che potrebbero passare da un multa a una pena detentiva di cinque anni. Vera Pekhteleva aveva lasciato il fidanzato ed era andata a vivere altrove con un nuovo compagno, ma quando è andata a prendere le sue cose a casa dell’ex, Vladislav Kanyus l’ha sequestrata, torturata e poi uccisa con il filo di un ferro da stiro. Sul suo corpo sono state ritrovate numerose ferite inflitte nelle tre ore e mezza di attesa della polizia.

“Riesci a sentire come urla la ragazza da dietro la porta?”, dicono i vicini nella registrazione mentre le operatrici rispondono: “Cosa dovrei fare?”, “La polizia verrà, non c’è bisogno di gridare in questo modo”

Alyona Popova

L’attivista per i diritti delle donne Alyona Popova, ha affermato che la polizia della città di Kemerovo, dove è successo il fatto, ha ignorato le ripetute chiamate dei vicini, e che l’assassino, come anche il maggiore Mikhail Balashov e il capitano Dmitry Taritsyn, potrebbero cavarsela con poco se il caso non è sorretto da un’ampia pubblicizzazione sui media. E che solo la divulgazione dell’audio ha fatto scattare l’opinione pubblica che ha fatto pressione per nuove accuse e possibili pene adeguate. “Spesso la polizia non risponde o non viene a indagare – spiega Diana Barsegyan del centro antiviolenza Nasiliu – ma soprattutto non è formata, non capisce che la violenza può avere molte forme. Non capiscono neanche che lo stupro possa avvenire all’interno di una coppia”.

Il problema è che la violenza nelle relazioni intime in Russia non esiste perché depenalizzata nel 2017. E se nel 2018 in Russia sono state uccise più di 20 donne al giorno, ora con il Covid le richieste d’aiuto hanno avuto una fortissima impennata

La censura dei dati

Vera Pekhteleva

(più del 24% solo nel primo mese di pandemia). Nel 2018, l’Agenzia di statistica governativa ha registrato un totale di 8.300 donne uccise, però i dati forniti sembrano non essere totalmente attendibili. Nonostante le statistiche sulla violenza maschile contro le donne siano nebulose e non consultabili perché censurati dal Cremlino, l’Onu stima che tra il 1994 e il 2000 il numero di casi denunciati in Russia sia salito del 217%, con 169.000 casi annuali. Nel 2004 i casi di violenza in famiglia sono aumentati del 16% rispetto all’anno precedente con 101.000 casi, e il Comitato Cedaw aveva stimato circa 14.000 femminicidi all’anno in Russia. Nel report del 2013 Human Rights Watch ha riportato circa 36.000 donne e 26.000 bambini vittime di violenza domestica, mentre nel 2015 il Ministero degli interni russo insisteva nel dire che solamente 1.060 persone erano morte per violenza domestica, di cui 756 uomini, quindi la maggioranza.

Il RosStat (Servizio federale russo statistiche) nei dati del 2017 mostra un incremento della violenza domestica con 64.421 reati. Dati che fanno riferimento però a procedimenti giudiziari iniziati dopo le denunce, spesso archiviate, quando studi ufficiali suggeriscono che solo il 10% delle sopravvissute in Russia denunciano alla polizia con un 70% che non chiede neanche aiuto. Avere dati ufficiali dalla Russia oggi però è impossibile, perché si cerca di andare al ribasso nel tentativo di nascondere le vere percentuali di quello che è un fenomeno dilagante.

La depenalizzazione della violenza domestica

Le associazioni indipendenti vengono silenziate perché queste sono “questioni da risolvere in famiglia”, e con la depenalizzazione del 2017 questi reati sono alla stregua di un reato amministrativo per cui non esiste una categoria specifica per la violenza domestica. I due stereotipi principali, secondo l’Onu, sono sempre gli stessi anche qui: se l’uomo ti picchia allora ti ama, oppure se lo fa è perché hai scatenato la sua rabbia facendo qualcosa che non dovevi.

Per Hrw i casi di violenza domestica in Russia sono raddoppiati durante la pandemia ma “il crescente ruolo della Chiesa Ortodossa in politica negli ultimi anni e la sua influenza nella società russa, ha portato la politica a considerare gli sforzi contro la violenza domestica come un assalto ai valori tradizionali dell’unità della famiglia”

E nonostante i dati delle associazioni confermino la crescita dei casi di violenza domestica nell’ultimo periodo, l’Istituto della famiglia e del matrimonio chiede di verificarli, citando le statistiche del Ministero degli Interni che danno questi reati in calo del 13% addirittura nei primi mesi del 2020. Come per l’Ungheria di Orban e per la Turchia di Erdogan, che hanno ritirato la ratifica alla Convenzione di Istanbul contro la violenza maschile sulle donne, l’idea della “famiglia naturale” cozza con il contrasto alla violenza domestica anche in Russia che quindi deve rimanere nascosta dietro le mura di casa come cosa privata, restando così impunita.

Margarita Gracheva mutilata dal marito

Margarita Gracheva

Idea sostenuta dalle costose campagne finanziate dall’oligarca ortodosso Konstanin Malofeev, fidato di Putin e volto noto dell’estrema destra in Europa (vi ricordate il Congresso di Verona del 2019 e gli amici di Salvini e Pillon? Quelli, per intenderci), e da una rete che parte dall’Est ma si estende in tutta Europa con un ponte ideale verso l’America, con campagne che oltre all’impunità per la violenza domestica, si battono per la cancellazione del diritto all’aborto e contro i diritti civili. Lobby e forze politiche che sono riuscite a mutilare il progetto di legge sulla prevenzione della violenza domestica presentato nel 2019, in nome della “preservazione della famiglia”. Margarita Gracheva è una donna russa che voleva separarsi dal marito che aveva denunciato per maltrattamenti. Il giorno dopo l’archiviazione delle sue denunce,

il marito di Margarita, Dmitri, si è offerto di darle un passaggio ma invece di portarla a lavoro, l’ha condotta nella foresta, l’ha trascinata fuori a forza, ha preso un’ascia e poi le ha tagliato le mani

Una situazione drammatica, specialmente nelle coppie con figli, che spesso si risolve con la difesa personale delle donne russe che, nell’inerzia delle istituzioni, arrivano a uccidere il marito. Azioni utilizzate dal Ministero degli Interni per giustificare il fatto che “le donne sono violente allo stesso modo degli uomini” e quindi che il “fenomeno della violenza domestica non esiste”. Eppure mentre le assassine sono condannate dai 10 ai 20 anni di galera per omicidio premeditato, gli assassini non vengono quasi mai condannati se non con pene leggere.

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