Ci risiamo: la saga in innumerevoli puntate del contenzioso tra Comune di Roma e Casa Internazionale delle Donne ha prodotto, la settimana scorsa, un altro colpo basso da parte della giunta guidata da Virginia Raggi, prima sindaca donna della Capitale. Interpellata senza esito per mesi, l’amministrazione capitolina ha rotto il lungo silenzio nella tarda serata di martedì 9 marzo quando le agenzie di stampa battono un comunicato tanto inaspettato quanto inquietante.
La giunta capitolina mette a bando la Casa
In una memoria di giunta a firma delle assessore Valentina Vivarelli, Veronica Mammì e Lorenza Fruci si proclama la volontà di mettere a disposizione: “Nuovi spazi in città per attività per la promozione della libertà femminile e di genere, per la prevenzione ed il contrasto alle discriminazioni di genere”. Per quanto riguarda il “come” conseguire questo alto obiettivo, le tre assessore specificano che tra i sei immobili del patrimonio del Comune di Roma atti allo scopo figura il complesso del Buon Pastore uno spazio per le cittadine che “nuovo” non è visto che da trent’anni ospita il consorzio Casa Internazionale delle Donne e dato che i diritti e il sostegno di genere vi si praticano da sei lustri.
L’intento, continuano le amministratrici capitoline, è quello di crearvi: “Un centro di coordinamento dei servizi per le pari opportunità diffusi su tutto il territorio cittadino”. E farlo attraverso un bando. Strumento, questo, che risponde alla “legalità” formale invocata dalla sindaca Raggi, ma che di fatto rappresenta un corto-circuito all’esperienza complessiva della CID, ovvero ad un percorso storico, culturale e politico essenziale del femminismo italiano.
Questo percorso include, ma non si esaurisce nell’erogazione di servizi che vengono prestati con un approccio di genere raffinato in anni di pratiche. L’amministrazione, tuttavia, continua a svalutarle in barba agli obblighi nazionali e internazionali che pure dovrebbero vincolarla al loro studio e promozione. Quanto agli altri spazi, nulla è dato sapere: quali sono, se siano vuoti, occupati, nuovi o semi-usati.
Si perpetua cosi’ l’attacco mirato e senza tregua all’autonomia delle donne iniziato tre anni fa quando il Comune di Roma fece pervenire alla Casa Internazionale delle Donne (CID) un avviso di sfratto dovuto ad affitti arretrati per Euro 900.000
I soldi erano solo una scusa
Allora iniziò una trattativa logorante, una campagna di raccolta fondi e quindi una proposta di transazione in cui la Casa Internazionale delle Donne offriva un terzo della cifra “dovuta” ricordando al Comune che il consorzio si era fatto carico per tre decenni della manutenzione ordinaria e straordinaria del complesso monumentale storico ed erogava servizi che la precedente amministrazione capitolina aveva stimato come pari a Euro 700.000 annui, oltre che produrre politica, cultura, storia. Ma il tutto fu niente: non solo il Comune quei soldi non li ha voluti, ma ha gettato alle ortiche unilateralmente la Convenzione che regolava i rapporti tra le parti la cui scadenza naturale era fissata al 31 dicembre 2021.
La Convenzione riconosceva la centralità della CID come un luogo dell’autodeterminazione e della politica delle donne e incarnava più in generale quella visione e pratica di cittadinanza attiva che tiene insieme il tessuto delle comunità. Tanto attiva che, in piena pandemia, la CID ha continuato – in sicurezza – a prestare servizi di sostegno a tutto campo, incluso uno sportello sociale, tenere eventi, incluso il festival di letteratura femminista, mantenere vivo il dibattito politico attraverso le elaborazioni dell’assemblea della Magnolia (così chiamata dal grande albero che ombreggia il giardino del complesso) e molto altro. Valenze, valori e attività, questi, difficilmente monetizzabili, ma evidentemente trascurabili e persino invisi a Palazzo Senatorio.
Il Parlamento italiano la pensa, però, diversamente. Tanto è vero che nel decreto ristori di agosto ha fatto includere il sostegno di Euro 900.000 per estinguere la morosità della Casa e un emendamento nella legge finanziaria del 2021 che stabilisce il diritto dei luoghi autogestiti delle donne ad avere stabili pubblici e in comodato d’uso
Il giochetto della sindaca
Ma la giunta Raggi ha stravolto doppiamente il significato del sentimento e dell’azione del parlamento e argomentato che, proprio grazie a quell’emendamento, sarà in grado di destinare i sei immobili designati alla promozione dei diritti delle donne e affidarli in comodato gratuito. Ha, quindi, da una parte ignorato la volontà del legislatore di garantire il futuro della CID e, al tempo stesso, strumentalizzato lo strumento del comodato gratuito manipolandone lo scopo.
Lo sgambetto della giunta Raggi quindi è indirizzato al movimento delle donne che il regime di comodato d’uso per gli spazi autogestiti lo chiede da lunga pezza per attività già esistenti, o comunque scaturite dalle esigenze delle comunità e non da operazioni di ingegneria sociale dall’alto. La mozione dell’amministrazione capitolina si traduce, inoltre, in un vero e proprio schiaffo istituzionale a chi siede in scranni più elevati. La reazione della CID è stata immediata: “Il comodato gratuito è una nostra vittoria, ma non può servire per sfrattare chi un luogo lo abita e lo tiene vivo, e per aprirne di nuovi a nuovi soggetti. Serve per aprire non per chiudere”. E ancora:
“La convenzione della Casa Internazionale delle donne è stata revocata per morosità. Ora, grazie al sostegno dato dal parlamento, la morosità non c’è più. La Convenzione deve essere ripristinata e consentire alla Casa di proseguire il suo percorso come intendeva il parlamento”
Hanno fatto eco a questa posizione denunciando l’attacco anche numerose parlamentari e donne politiche che si sono unite al presidio di protesta della CID in Campidoglio l’11 marzo o che hanno comunicato la loro solidarietà con il consorzio e con altri luoghi delle donne e del sociale sferzati dall’avversione senza tregua della giunta Raggi.
Altre case prese di mira: Lucha y Siesta
Lucha y Siesta, la casa delle donne nel quartiere Tuscolano che metteva a disposizione circa la metà dei posti letto disponibili in città a donne in fuga da situazioni di violenza è anch’essa, da tempo, nel mirino dell’amministrazione capitolina. Lo sono anche numerose organizzazioni che preferiscono servire le loro comunità dal basso e non meramente eseguire i diktat del Campidoglio. E tra molte, inclusa chi scrive, prende corpo più che un sospetto una considerazione ragionevole: una sindaca già a corto di fiato, troppo spesso a corto di idee, e ora a corto di consensi persino nella sua stessa compagine politica, intende far carburare un’altrimenti opaca campagna elettorale sulla pelle delle donne.