Brasile, caccia a chi non vota Bolsonaro: a partire dalle donne

Romualdo Rosario Da Costa era un famoso capoeirista ed è stato accoltellato nel giorno delle elezioni

Luisa Betti Dakli
Luisa Betti Dakli
Direttrice DonnexDiritti International Women



È stato ucciso con 12 coltellate alla schiena per aver dichiarato il suo voto a sinistra in un bar di Salvador de Bahia. Romualdo Rosario Da Costa, conosciuto come Maestro Moa, era un famoso capoeirista di 63 anni ed è stato accoltellato domenica 7 ottobre, durante nel giorno delle elezioni in Brasile, da Sérgio Ferreira Santana, un elettore della destra di Jair Bolsonaro, che dopo la discussione è andato a casa, ha preso un coltello, ed è tornato al bar per colpire a morte l’uomo che l’aveva contestato. Un clima di violenza quello che ha scandito la campagna elettorale, con lo stesso Bolsonaro ferito all’addome, e che continua ora nell’attesa del ballottaggio del 28 ottobre in cui si scontreranno il candidato di destra, forte del 47,6% conquistato al primo turno, e la sinistra di Fernando Haddad che ha convinto solo il 27,7% dei cittadini.

Eppure, malgrado il successo del Partito social-liberale (Psl) che è passato da un deputato eletto nel 2014 ai 51 di domenica, l’ex militare Bolsonaro non piace a tutti. Oltre al 20,3% di astenuti, tra chi non ha votato il Trump dei Tropici ci sono molte di quelle donne che prima delle elezioni sono scese in piazza con lo slogan «#EleNão» (Non lui) in imponenti manifestazioni a Rio de Janeiro, San Paolo, Brasilia e in altre 60 città: una contestazione descritta dai giornali come «la più grande mobilitazione di donne nella storia del Brasile».

Romualdo Rosario Da Costa

Un movimento di protesta che, iniziato su Facebook, ha raccolto finora 4 milioni di adesioni puntando il dito contro il machismo di Bolsonaro, che oltre a essere un nostalgico della dittatura e un fervente religioso a favore della famiglia tradizionale, si è rivelato un sessista strenuo oppositore dei diritti civili. Famose alcune sue dichiarazioni come quella sugli attivisti per i diritti umani chiamati «vagabondi», o la frase che rivolse alla deputata Maria do Rosario dicendole «non ti stupro perché sei troppo brutta per meritartelo».

Il gruppo «Donne contro Bolsonaro», creato da una pubblicitaria di 36 anni di Bahia, Ludimilla Teixeira

ha avuto il sostegno di star della musica brasiliana come Daniela Mercury e Anitta, e attrici come Madiline Brewer della serie The Handmaid’s Tale, ed Ellen Page che ha definito il leader d’estrema destra: «un pericoloso omofobo, misogino e razzista». Un candidato alla presidenza che ha dichiarato in un’intervista che non assumerebbe mai «una donna con lo stesso stipendio di un uomo, perché le donne vanno in gravidanza», e che a proposito dei suoi 5 figli disse: «Dopo i primi quattro maschi mi sono indebolito, ed è arrivata una ragazza».

Eloà Dos Santos

Per Eloà Dos Santos, del Movimento delle donne nere di Rio, quello di Bolsonaro «è un attacco feroce» e la sua vittoria al primo turno è stato uno shock. «Fino a 5 anni fa qui il Partito social-liberale non era niente e ora vincono le elezioni, e ci chiediamo dove abbiano preso i soldi per fare tutta la propaganda che hanno fatto». In Brasile il movimento delle donne è trasversale e anche quelle che non sono di sinistra si sono opposte perché Bolsonaro fa paura. «Stamattina hanno picchiato una deputata di sinistra e minacciato di stupro una giornalista sfregiandola in viso – dice Dos Santos – e prima delle elezioni il deputato Rodrigo Amorim ha spaccato la targa di Marielle Franco (la consigliera comunale del Psol assassinata il 14 marzo, ndr): un atto che è stato applaudito mentre lui è stato il candidato più votato. Si tratta di gruppi di giovani fascisti che hanno trovato la loro identità nell’estrema destra appoggiata anche dagli evangelisti e pentecostali brasiliani che qui sono una forza».

Women Protest Against Jair Bolsonaro
Donne contro Bolsonaro con l’hashtag #EleNao (Non Lui) a Sao Paulo, Brasile (AFP)

Una politica che vuole controllare la famiglia, dove le donne vanno relegate sotto il controllo del capofamiglia maschio, al punto tale che anche dentro questi gruppi religiosi favorevoli alla destra, si sono formati schieramenti come le «Mujeres evangelicas contra Bolsonaro». «La loro propaganda si poggia su ragionamenti semplici, moralistici ma diretti – continua Dos Santos – quindi per esempio contro i gay, appoggiati dalla sinistra, dicono: vuoi una sinistra che trasformi i tuoi bambini in omosessuali? Oppure: vuoi una sinistra che faccia abortire tua figlia?».

Il rischio oggi è di perdere tutti i diritti conquistati finora

dal Ministero delle donne, spazzato via dopo il colpo di stato di due anni fa, alle case popolari intestate alle donne come capo famiglia, che dal candidato alla vicepresidenza, il generale Antonio Hamilton Mourao, sono considerate «una fabbrica di malavitosi», fino alle misure di contrasto alla violenza di genere contro la quale Bolsonaro prevede come soluzione quella di armare le donne che si dovranno difendere da sole grazie alla liberalizzazione delle armi.

Quello che viene contestato è «il maschilismo, la misoginia e i pregiudizi» del candidato alla guida del Brasile che, in un incontro televisivo, è arrivato a dire che se suo figlio fosse stato gay, avrebbe preferito vederlo morto in un incidente, paragonando l’omosessualità alla pedofilia. Donne che rappresentano il 52% dell’elettorato brasiliano e che al ballottaggio del 28 ottobre potrebbero ribaltare il risultato ottenuto al primo turno.

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