Perché solo i padri si appellano all’Alienazione parentale

Continua a girare lo spot lanciato sull'Alienazione parentale dal titolo “Ancora un’altra storia” di Rai cinema

Luisa Betti Dakli
Luisa Betti Dakli
Direttrice DonnexDiritti International Women



Mentre il gossip si interessa alle loro vite private, continua a girare lo spot lanciato sull’Alienazione parentale dal titolo “Ancora un’altra storia”. Si tratta sempre di Michele Hunziker e Giulia Bongiorno che ormai ignorano anche il secondo appello fatto dai centri antiviolenza, continuando a intraprendere la strada della sensibilizzazione su un disturbo-sindrome inesistente che mette a rischio molte delle donne che in Italia vivono una situazione di violenza domestica. Un atteggiamento che impone di approfondire e rimarcare il perché pubblicizzare qualcosa che non esiste, uno strumento che sta macchiando l’Italia di una delle più gravi violazioni dei diritti umani, non può essere a oggi considerato una svista qualsiasi.

spot scandaloso se si pensa che è stato prodotto da Rai cinema

“Chiunque lavora a contatto stretto con la violenza sulle donne e non annovero tra costoro Doppia difesa – ha scritto in questi giorni Elvira Reale, psicologa esperta di violenza di genere – sa bene quanto siano posticci e poco significativi questi scontri tra genitori rappresentati nello spot. Dal 30% al 60% dei bambini soffre per il maltrattamento assistito (la violenza che la Convenzione di Istanbul definisce come l’assistere alla violenza esercitata dal padre sulla madre), che comprende anche ogni grave forma di violenza post-separativa: da quella psicologica e verbale (denigrazione, svalutazioni, persecuzioni e anche minacce di morte e di sottrazione dei minori ), alla violenza economica (il maggior potere economico degli uomini spesso è usato dagli stessi per ‘affamare’ la partner) e fisica”.

Elvira Reale

Per Reale, che a Napoli ha creato il pronto soccorso per donne che subiscono violenza all’ospedale San Paolo e che da 40 anni lavora in questo ambito (ha al suo attivo diverse pubblicazioni tra cui un manuale di due tomi dal titolo “Maltrattamento e violenza sulle donne”),

si parte dall’inattendibilità del bambino per renderlo muto, inascoltato e “da accuse di maltrattamenti ed abusi

del bambino – afferma – verso un genitore, frequentemente verso un padre, che è maggiormente implicato in comportamenti violenti, per poi considerare, allo stesso modo della PAS, le accuse frutto di un processo di alienazione messo in atto dall’altro genitore”. Per questo “in molte CTU (consulenze tecniche di ufficio) l’impostazione è che sia che nominino la PAS in via esplicita sia che non la nominino, si parte sempre dal considerare la violenza contro le donne come un conflitto e le separazioni conseguenti”, ovvero non si dà peso alla violenza subita dalla donna, per mettere al centro comunque la figura indiscussa dal padre, anche qualora sia stato proprio il bambino ad averla subita.

La violenza cioè non viene riconosciuta probabilmente per mancanza di strumenti e di formazione corretta da parte degli operatori e operatrici (dai giudici agli assistenti sociali agli psicologi), e per questo nei tribunali italiani “Se la donna è resistente alla relazione con un partner violento e teme anche per il figlio, sarà considerata genitorialmente inadeguata perché il genitore adeguato è quello che favorisce la relazione con l’altro, qualsiasi cosa sia successa prima”. “Dalla mia esperienza – dice Elvira Reale –

la Pas viene usata per lo più contro le madri a favore dei padri perché alle donne viene tolto il diritto, nei processi sull’affido, di parlare della violenza

e di quello che hanno subito loro ed i figli”, e quindi “Nei processi per l’affido le donne devono solo mostrare adattamento alla condivisione con il partner nonostante questa, nei casi di violenza, divenga uno strumento di vessazione sulla donna a prosecuzione del maltrattamento durante la convivenza”. Uno strumento, quello della Pas, che rende del tutto inutile una legge come quella sullo stalking, subita da moltissime di queste donne proprio al momento della separazione, legge promossa – è bene ricordarlo – proprio da Giulia Bongiorno che oggi propone invece il suo esatto contrario.

Chiarendo che l’obiettivo di Pas e Ap rimane invariato, ovvero rendere il bambino inattendibile e punire la madre per averlo alienato dal padre, Evira Reale fa un passo in avanti chiarendo come siano gli uomini a volere questa legge per normare qualcosa che serve a loro: “Esclusi dal panorama della violenza di genere come vittime prevalenti, (la presenza maschile come vittima nell’ambito della violenza tra partner è data al 15%), esclusi anche dal contesto che individua il minore quale vittima prevalente di maltrattamento assistito, possono solo rivendicare per sé una condizione molto particolare che prescinde dal contesto della violenza di coppia e che si esprime solo nel corso della separazione”.

Un concetto che chiarisce bene anche l’anomalia di un comportamento, quello della madre malevola, che nasce quando la coppia si separa

come “un fiore nel deserto”, e non dopo anni come succede in molta violenza domestica: “Esse nascono senza radici, non si giustificano in un contesto storico di violenze pregresse e vessazioni, esse hanno solo bisogno di una ed una sola ‘prova’ sorretta da una interpretazione soggettiva che altera la realtà dei fatti”.

Ed è per questo (e per i motivi che Reale illustra nella relazioni riportata per intero qui sotto) che “La proposta quindi della legge sull’alienazione parentale (…) – conclude Reale – servirà solo ad ostacolare il contrasto alla violenza di genere: ogni azione di auto-tutela e tutela dei minori da parte di donne vittime di violenza dal momento di approvazione di una tale legge sarà stoppata”.

 

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