Il doppio svantaggio delle bambine è nella discriminazione di genere

11 milioni di bambine lavorano come domestiche e 16 milioni diventano madri prima che il loro corpo sia pronto

Luisa Betti Dakli
Luisa Betti Dakli
Direttrice di DonnexDiritti Network e International Women



Nella campagna per la Giornata internazionale delle bambine indetta lo scorso anno dall’Onu (11 ottobre), Terre des Hommes ha reso noto che la maggioranza dei 125 milioni di femmine che hanno subito una forma di mutilazione genitale, non aveva ancora compiuto 5 anni. A questo ha aggiunto che oltre 11 milioni di bambine lavorano come domestiche sfruttate in casa d’altri, che 16 milioni diventano madri prima che il loro corpo sia pronto alla maternità, che 68 Paesi nel mondo sono ancora ben lontani dal raggiungere la parità di genere nell’istruzione elementare, e che infine «ogni anno in India si perdono un milione di bambine»: un decremento delle femmine nella fascia 0-6 anni legato all’infanticidio o all’aborto selettivo. Tiziana Fattori, che dirige Plan Italia per i diritti delle bambine all’istruzione, dice che nell’ultimo report della Ilo (International Labour Organization), tra gli

oltre 10 milioni e mezzo di bambini in schiavitù nel mondo, il 71% sono di sesso femminile

e che se al primo posto c’è l’Africa, al secondo c’è appunto l’India, che pur essendo un Paese in crescita, non ha ratificato né la Convenzione dell’Ilo 182 sulle forme pericolose di lavoro minorile, né la 138 sull’età minima, e né ha fatto passare lo scorso anno il Trattato di Abolizione del Lavoro Minorile. In India ci sono circa 28 milioni di esseri umani tra i 5 e i 14 anni, impiegati come forza lavoro: bambini che non vanno a scuola e sono spesso schiavizzati perché devono ripagare prestiti fatti alle famiglie. Bambini che possono lavorare in miniera, su impalcature di bambù nei cantieri, lavorare i tappeti, nelle fabbriche di mattoni o decorazioni natalizie, mentre le bambine sono spesso reclutate nei lavori domestici – in case dove possono venire anche ridotte in schiavitù lontane dalle loro famiglie – possono essere forzate allo sfruttamento sessuale, o anche impiegate in specifiche attività lavorative: tra queste 1,7 milioni sono bambine schiave dell’industria del tabacco e 450’000 sono in aziende agricole che producono semi di cotone.

Ragazze e bambine che tra i 6 e i 14 anni lavorano circa 10-13 ore al giorno nella produzione di semi di cotone indiani, senza andare a scuola, guadagnando 20 Rupie al giorno (40 centesimi di euro), con costante esposizione a pericolosi pesticidi. Secondo una ricerca dell’Indian Committee of the Nederlands, in tutta l’India queste minori sono inserite in un modello di produzione che non impiega direttamente lavoro minorile, ma lo impone attraverso il subappalto alle fattorie. Le multinazionali – malgrado l’elevato profitto – stabiliscono un prezzo agli agricoltori che gestiscono la produzione di semi di cotone, un prezzo che renderebbe nullo il guadagno se impiegassero adulti con stipendi che sono il 30% in più per una donna e il 55% per un uomo, rispetto a un minore. Come Sandyba, che ha 14 anni, non è mai stata a scuola e ha lavorato 6 anni in una fattoria:

«Lavoravo 9 ore al giorno – racconta – e dovevo impollinare i fiori unendo la parte maschile e femminile, in una piantagione dove c’erano 50 bambine, e le lavoratrici più piccole avevano 8 anni».

Spesso è la necessità che spinge i genitori a sottrarre ai figli l’istruzione e le minori vengono impiegate all’interno della casa, sfuggendo così anche alle statistiche. «Se i telai vengono dati alle famiglie ma poi sono le piccole che lavorano – spiega Fattori – i numeri che abbiamo sono discutibili. Se poi andiamo a vedere quello che succede dove le bambine che arrotolano le beedies (le sigarette indiane) non bevono per non andare in bagno, e sono costrette a stare per terra 14 ore per arrotolarne almeno 1000 al giorno, con la nicotina che entra in circolo e un guadagno di 2 euro: ecco, se teniamo conto che questo mercato è milionario, il modello di sfruttamento è disumano».

Raffaele Salinari, presidente di Terre des hommes che lavora da 20 anni sui minori, dice che le piccole indiane, in questi casi, vengono scelte apposta: «Le ragazzine sono impiegate per la loro abilità nell’arrotolare le sigarettine, come i bambini che fanno tappeti riescono a tessere con meno nodi, una lavorazione che dà plusvalore al prodotto».

Per le bambine, un’altra forma di sfruttamento è il lavoro domestico, che in molti casi è schiavitù e sfruttamento sessuale. «Le bambine – continua Salinari – vengono impiegate nelle case a sei, sette anni e sono lasciate lì senza più contatto con la famiglia d’origine.

Appena crescono c’è lo stupro, e se si ammalano o rimangono incinte, vengono mandate in strada, abbandonate al loro destino

Per quanto riguarda invece la prostituzione, c’è anche il traffico di piccole portate in vendita al miglior offerente nei villaggi in cui, a causa dell’aborto selettivo, le femmine scarseggiano». Per Joy Ngozi Ezeilo, special rapporteur dell’Onu sulla tratta di esseri umani, la radice del problema è la domanda: «Le richieste di sfruttamento sessuale, lavoro domestico a basso costo, vendita di organi, matrimoni forzati, attività criminali o accattonaggio, sono fattori sostanziali per il mercato del traffico di esseri umani». Una domanda di beni e servizi particolarmente a buon mercato, che alimenta la richiesta di manodopera a basso costo che spesso coincide con il traffico di minori.

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