Centri antiviolenza: cos’é il Global Network of Women’s Shelters?

Intervista a Margarita Guillé Tamayo coordinatrice della rete mondiale dei rifugi per donne GNWS

Luisa Betti Dakli
Luisa Betti Dakli
Direttrice DonnexDiritti International Women



I centri antiviolenza provenienti da tutto mondo hanno illustrato dati poco rassicuranti alla XIII Conferenza Internazionale contro la violenza di genere che si è svolta a Roma lo scorso ottobre, dimostrando ancora gravi deficit, sia culturali che legislativi, che in materia di accoglienza per le donne che subiscono violenza esprime una realtà molto al di sotto degli standard in quanto, nella civilissima Europa, mancano ancora all’appello quasi 30.000 posti letto per essere in regola con le direttive del Consiglio d’Europa. “Ultimamente UN Women – dice Margarita Guillé Tamayo Coordinatrice del Comitato del GNWS – ha pubblicato un report sulla violenza a livello globale dove si stima che

una donna su tre vive una forma di violenza di genere nel mondo

un dato che dimostra come la violenza contro le donne sia molto più grave di quello che si pensa, e soprattutto nei paesi dove non c’è uno Stato di Diritto consolidato e dove la qualità della democrazia è vulnerabile”.

Margarita Guillé Tamayo

Margarita Guillé, giornalista e psicologa messicana, ha scelto di mettere la sua vita al servizio delle donne quando, mentre conduceva il suo programma radiofonico, una donna disperata che aveva perso il suo bambino per i calci e le percosse del marito, fece la telecronaca in diretta dell’assalto dell’uomo mentre sfondava la porta di casa per aggredirla nuovamente. In seguito è stata lei a far nascere il Global Network of Women’s Shelters che riunisce tutti i Centri antiviolenza dei 5 continenti e comprende la Rete Wave (Women against Violence Europe) che coordina 4.000 centri in 47 paesi, e anche l’Italia, con l’Associazione Nazionale D.i.Re, presieduta da Titti Carrano, che ha al suo attivo 58 centri su tutto il territorio.

“Nel 2008 ero in Canada – continua Guillé – per il Global meeting dei Centri antiviolenza. All’epoca dirigevo il National Network of Women’s Shelter del Messico e vedendo tante leader intorno a me, pensai che avremmo dovuto costruire il Network mondiale per avere uno scambio costante con tutte le realtà che si occupavano della violenza sulle donne. Il giorno dopo, le leader delle Rete di 17 paesi s’incontrarono all’Hotel Marriott, e da quella riunione partì la Rete Globale. Il primo meeting l’abbiamo organizzato l’anno dopo a Ottawa, poi, nel 2010,aNewYork.

Margarita Guillé, cosa fa di preciso il GNWS?

Porta avanti l’idea di un mondo dove le donne e i bambini vivano liberi dalla violenza e il suo scopo è di unire i Centri  antiviolenza a livello internazionale, con dividendo strategie e approcci, difendendo le leader a rischio nei propri paesi, costruendo lobbying negli organismi internazionali, inchieste e raccolta dati nel mondo.

Avete un quadro a livello internazionale?

Prima di tutto preciserei il concetto di violenza che ormai sta cambiando ed è molto più esteso di prima. Non si parla più solo di violenza sessuale contro le donne, ma di un fenomeno che tocca tutte noi in diversi modi e in diverse fasi della vita, dalla violenza psicologica a quella economica, e che può essere opera di diversi “agenti” come la famiglia, ma anche l’autorità, le istituzioni, la scuola, il lavoro.E alla base di ogni violenza di genere c’è comunque la discriminazione, che può essere annientata solo con una reale uguaglianza tra donne e uomini sia nella sfera privata che in quella pubblica, con un bilanciamento di potere in politica e ai vertici delle aziende.

A fronte di questi auspici, c’è un aumento globale degli omicidi contro le donne.

Oggi c’è una maggiore consapevolezza e attenzione sul fenomeno, per cui la morte violenta di una donna, o la sua scomparsa, viene osservata per capire se va da classificata come un delitto di genere. Nel corso degli anni molti paesi, non tutti, hanno sviluppato leggi che considerano il femminicidio un crimine e stiamo cercando di rendere gli Stati responsabili di questa situazione per combattere il fenomeno.Quello però che mostra il numero crescente di femminicidi, è che le donne sono ancora a rischio e che i governi del mondo devono creare efficaci procedure politiche per salvare la vita delle donne. Ma, come dicevo prima, se anche i governi“democratici”restano con un’idea patriarcale del potere, è normale che le misure per proteggere le donne non verranno mai messe in atto.

Anche la tratta di donne e minori costrette alla prostituzione con stupri e violenze inaudite, sono una dimostrazione della discriminazione di genere?

Le migrazioni sono state un fattore di aumento del rischio di abuso per le donne, ma oltre a questo bisogna mettere in conto il trattamento che i governi riservano a chi non ha uno status legale o i documenti in regola, anche se sta scappando da una guerra o dalla fame, che nel caso delle donne diventa una discriminazione doppia, eilrischiodisubireoaccettareviolenzeperviadell’impossibilitàdichiedereaiutoin un contesto già ostile, è enorme. Lo standard che molti governi hanno, cioè la corruzione e l’inefficienza sull’immigrazione, contribuisce poi a favorire le bande di trafficanti del sesso. Credo che le donne che vivono in povertà, ignoranza, in contesti violenti nei loro paesi, abbiano diritto a cercare migliori condizioni ma i rischi oggi sono altissimi sempre.

E chi aiuta rischia?

C’è stato un caso che mi ha fatto capire anche quanto sia rischioso. Una donna, sposata con un uomo che lavorava con la polizia per fare il “lavoro sporco”, era stata testimone di molti crimini e lei stessa aveva subito una mutilazione che il marito le aveva inferto per mostrarle come lei fosse di sua proprietà. Era terrorizzata e quando capì che l’avrebbe uccisa, lo denunciò. La polizia era divisa tra agenti onesti e quelli corrotti che avevano rapporti con l’uomo, e la donna, rimasta in mezzo a questa guerra, ci chiese aiuto. Io cercai di coordinarmi con un rifugio di una città vicina per metterla in salvo. Lei era nascosta a casa dei genitori, ma riceveva continuamente minacce di morte. Riuscimmo a farla partire in auto insieme a persone sicure, spedendo la sua famiglia in due città diverse, ma fu necessario adottare misure speciali con una forte mobilitazione di personale.

Lei ha fatto un’inchiesta su Ciudad Jarez, la città messicana tristemente nota per il numero di femminicidi.

Ciudad Juarez è stata l’anticipazione dell’inferno che oggi viviamo in Messico: una città sul confine con gli Usa che proliferò negli anni ’80 con fabbrichette e laboratori messi su da compagnie straniere. La gente veniva dall’America Centrale per lavorare o per attraversare la frontiera con gli Usa, gente senza radici in una città nel deserto, priva di reti sociali e dove in poco tempo si consolidò traffico d’armi, droga, auto rubate, con l’insediarsi di bande su tutto il territorio. Alcune donne immigrate cominciarono a lavorare come prostitute in bar chiamati Cantinas, dove però nessuno che le conosceva abbastanza per accorgersi della loro scomparsa o addirittura per riconoscerne cadaveri in caso di morte. Le uccisioni di donne in quanto tali, cioè i femminicidi, iniziarono a essere documentati dal ‘93 da Esther Chavez Cano, che notò una strana sistematicità: le donne venivano ammazzate e i loro corpi abbandonati nel deserto dove svanivano le tracce per individuare gli autori del crimine.

Le sparizioni di donne erano quotidiane: gli uomini non consideravano le donne come persone, usavano i loro corpi e le uccidevano gettandole via

Si scoprì che molte restavano prigioniere per mesi, sottoposte a sistematici stupri. Una volta 8 corpi tutti insieme furono trovati in una strada. A un certo punto capimmo che un certo numero di delitti erano legati a violenza domestica: grazie all’impunità diffusa, i mariti violenti uccidevano le mogli imitando le modalità dei killer per non essere individuati. Ma in Messico ci sono altri luoghi dove ormai le uccisioni di donne sono anche più numerose rispetto a Ciudad Juarez e nessuno lo sa.

Il GNWS ha una mappa della violenza sulle donne nel mondo?

I crimini contro le donne più diffusi avvengono senza dubbio dentro le mura di casa, e la forma di violenza più diffusa, con conseguenze devastanti per la salute della donna, è la violenza psicologica, seguita dalla violenza economica, quella fisica e infine quella sessuale. In alcune parti del mondo questo schema cambia: quando è in corso un conflitto armato il corpo delle donne è usato come obiettivo di guerra, e quindi la violenza fisica e sessuale vanno al primo posto con gli stupri di massa.

Il prossimo convegno?

A Washington dal 27 febbraio al 1 marzo con 1.500 delegate, 90 Workshop, 10 plenarie, 20 tavole rotonde, e tra le tematiche abbiamo le pratiche e la sostenibilità dei rifugi, il reperimento di partners per sostenere i servizi, la questione degli ostacoli e dell’accesso, problemi frontalieri e internazionali, il sostegno agli avvocati e agli attivisti. Insomma, abbiamo ancora tante cose da fare.

 

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