Nelle ultime elezioni parlamentari italiane, le donne sono balzate di 10 punti, passando alla Camera dal 20,2 del 2008 al 30,8 del 2013, mentre a Palazzo Madama le cifre parlano di una crescita dal 19% al 30%. I partiti con la percentuale di donne più alta sono il Partito Democratico (41%) e il Movimento 5 stelle (38%), ai quali fanno seguito Sel con il 28%, il Pdl e i montiani con il 20%, la Lega con il 13,5% (dati “Centro studi elettorali”).
Nelle Regioni il risultato delle elette invece non è stato brillante. Nel Lazio sono passate 9 donne su un totale di 50 eletti di cui 4 donne entrate con il listino bloccato collegata al nome del candidato Zingaretti, 4 elette nel M5s e una, Olimpia Tarzia, nella lista Storace (assessora contestata per la proposta di legge contro i consultori nella precedente legislatura regionale). In Lombardia sono state elette 15 donne su 80: una tra i 19 eletti del Pdl, tre per la Lega, tre per il M5s, due per il Pd, una per il Patto civico per Ambrosoli, 4 per la lista civica per Maroni e una per il Partito dei pensionati. In Molise, su 20 consiglieri, sono state elette 2 donne, una Pdl e una M5s, a cui si aggiunge una terza dell’Udeur che è rientrata per la doppia elezione di un uomo.
In Italia si sta ragionando anche su una donna Presidente della Repubblica – il mandato presidenziale dovrà essere rinnovato a maggio – e i nomi più gettonati sono Anna Finocchiaro (Pd) ed Emma Bonino (radicale il cui nome è stato fatto in questi giorni come possibile accordo con i grillini per la Presidenza del consiglio), anche se voci di Palazzo dicono che solo se le forze politiche non si metteranno d’accordo su un maschio, allora uscirà fuori un nome femminile. Adesso l’Italia però non ha un governo perché nessuna forza politica ha la maggioranza al Senato. Il fatto che il centro sinistra italiano abbia la maggioranza alla Camera ma non riesca a trovare accordi per averla al Senato, ha messo la situazione italiana in stallo: un impasse per cui non possiamo verificare in questo momento se il cresciuto numero delle donne in Parlamento porterà avanti politiche di sostegno alle donne stesse.
non tutte le donne sono a favore delle politiche di genere perché non basta nascere femmine
La vera incognita in questo senso è il Movimento 5 stelle che in questo momento è il primo partito in Italia (il secondo è il Pd e poi il Pdl), che nelle sue fila raccoglie componenti talmente diverse da apparire su alcuni punti anche contraddittorie. Nel blog di Grillo (leader del M5s), su cui chiunque può fare una proposta che poi viene votata sul web, appare l’inquietante idea di riaprire le “case di tolleranza” per le prostitute – cancellate in Italia con la legge Merlin – fatta proprio da una donna. Una settimana fa Max Bertoni del M5s, candidato sindaco a Viareggio in Toscana, ha lanciato sulla sua bacheca di facebook il messaggio “Odio con tutto il cuore le femministe”, a cui è seguito una sfilza di commenti dei suoi seguaci che approvavano e promettevano di votarlo per questo. Nel Comune di Mira (vicino Venezia) Roberta Agnoletto, assessora incinta, si è vista togliere le deleghe dal sindaco, il grillino Alvise Maniero, proprio a causa della sua gravidanza.
Sul sito di Grillo, le cittadine in movimento aprono la loro dichiarazione d’intenti con la frase: “Le donne italiane lavorano, sono madri di famiglia, amministrano la casa e si prendono cura dei loro uomini”, con riferimenti a stereotipi che le stesse italiane rifiutano. Ma la vera impronta maschilista del M5s, è stata dimostrata prima delle elezioni, ovvero quando la consigliera grillina a Bologna, Federica Salsi, è stata espulsa dal movimento per aver parlato in tv senza il consenso del suo leader: espulsione avvenuta con una lettera contenente frasi sessiste, a cui è seguito un vero e proprio linciaggio mediatico violento e discriminatorio con offese, calunnie, minacce, lanciate dagli stessi appartenenti al movimento di cui lei faceva parte.
Tutto questo succede in Italia mentre nelle aule di tribunale si consuma il processo sul caso Ruby con imputato Silvio Berlusconi, che in queste ultime elezioni ha avuto una rimonta inaspettata: un uomo che continua ad essere votato da una parte consistente degli italiani, pur avendo a suo carico scandali e un processo come questo, su cui il Pm Antonio Sangermano ha detto che “Le cene ad Arcore erano un collaudato sistema prostitutivo per il divertimento di Berlusconi”, e dove in cambio di favori sessuali si poteva avere soldi, immobili, carriera tra cui anche quella politica.
Un uomo che ha tirato fuori il peggio della cultura machista italiana e che le donne speravano di aver archiviato
e che invece si è ripresentato rispolverando poco prima delle elezioni anche le solite battute sessiste – fatte in pubblico e davanti a una folla che lo ascoltava divertito – con apprezzamenti pesanti sulla donna che presentava l’evento, Angela Bruno, la quale ancora adesso subisce pressing per questo avvenimento. Per ritornare sul tema della rappresentanza delle donne nelle istituzioni italiane, è importante ricordare che nei precedenti governi le ministre sono state 6 per il governo Prodi del 2006; 4 nell’ultimo governo Berlusconi; 3 nel governo tecnico di Monti. Nella fattispecie uno dei peggiori ministeri dell’ultimo governo Berlusconi è stato quello della pubblica istruzione guidato dalla ministra Maristella Gelmini, che ha distrutto l’istruzione pubblica, che in Italia era ancora una delle poche cose di buon livello, con tagli che hanno causato danni enormi: classi di bambini tagliate e raggruppate con età diverse, mancanza di tempo pieno, tagli di ore di lezioni con programmi scolastici invariati.
Misure che non solo hanno comportato tagli di posti di lavoro per chi insegna, che in Italia sono per la maggior parte donne, ma anche un disagio per i ragazzi e le ragazze che si vedono costretti a performance per lo svolgimento dello stesso programma in meno tempo, con un aumento della nozione a scapito della creatività e del talento, ma anche con più sforzo fisico-mentale.
Un’altra dimostrazione che le donne in quanto tali non bastano, perché la carta vincente sono quelle che si prendono in carico dei problemi delle donne, è il fatto che la componente femminile che raggiunge posti di comando in Italia, è per la maggior parte cooptata da uomini, e non solo per favoritismo o in cambio di altro, ma anche perché capaci a svolgere un duro e preciso lavoro di esecuzione. Nell’ultimo governo, Monti ha chiamato per il dicastero del lavoro Elsa Fornero, dandole anche la delega alle pari opportunità, e rispetto a questo incarico è stessa lei che, in un convegno a Torino contro la violenza di genere, ha sottolineato come quando ci sono problemi spinosi da risolvere gli uomini “chiamano noi”, ovvero le donne che sono più capaci nello svolgere politiche maschili di un certo tipo.
La ministra Fornero l’anno scorso, pur avendo delega alle pari opportunità, si è limitata ad alzare il dito contro il femminicidio, malgrado in Italia fosse in atto una campagna di informazione e di indignazione mai vista nei precedenti anni, che chiedeva misure immediate per la protezione e la tutela delle donne contro la violenza. Un problema che ha ricompattato i movimenti delle donne ma su cui Fornero ha fatto solo due cose: ha stanziato una raccolta per avere nuovi dati dall’Istat, e ha firmato a nome del governo italiano la Convenzione di Istanbul (“Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica”) senza però la ratifica (il che equivale a nulla di concreto). Due buone misure ma non sufficienti per il potere che la ministra aveva nell’intervenire direttamente, avendo anche la possibilità di interpellare le altre due ministre donne – Anna Maria Cancellieri agli Interni e Paola Severino alla Giustizia – ministeri chiave con cui si sarebbe potuta avviare una concertazione per un’azione di contrasto al femminicidio immediata.
Fornero invece si è concentrata sul lavoro, in cui ha tolto le dimissioni in bianco (che serivano a liquidare una donna nel momento in cui fosse rimasta incinta), ma ha distrutto la parte di welfare essenziale per far accedere le donne all’occupazione togliendole dagli impegni di cura in famiglia (bambini, anziani), e ha portato le pensione a 67 anni per uomini e donne, uccidendo definitivamente anche la possibilità di accudimento della prole da parte dei nonni e stroncando l’accesso al lavoro soprattutto per le famiglie monoparentali (le madri separate che in Italia sono le più povere). Il livello di partecipazione femminile al lavoro, tra i 34 paesi che aderiscono all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), l’Italia è al terzultimo posto, dopo il Messico e la Turchia, con il 51% contro una media del 65%.
Il lavoro delle italiane non è stato colpito dalla crisi come quello maschile perché si tratta per lo più di lavoro precario
Se si pensa che meno del 30% dei bambini accede alla scuola d’infanzia, ci sono moltissime donne a cui viene impedita la possiblità di lavorare a priori e alle quali viene invece di nuovo richiesto il lavoro di cura (gratis) su cui in piena crisi economica, lo Stato risparmia. Tutto ciò ha a che vedere con la discriminazione di genere per cui se una donna è culturalmente relegata a un ruolo di subalternità, ribadita da sfruttamento, sopraffazione e violenza, ci sarà una minore competizione femminile su un potere da ripartire in maniera equa e democratica (nel mondo siamo più della metà degli esseri umani).
L’esasperazione di stereotipi che nei 20 anni di Berlusconi ha fatto breccia nella testa degli italiani, ha tirato fuori il peggio di un Paese che si è sempre contraddistinto per il suo maschilismo malgrado le grandi lotte femministe. La cultura machista e discriminatoria in Italia, come nel mondo, è una chiave che in un momento di crisi potrebbe risolvere molte contraddizioni al potere maschile, in quanto è un accesso privilegiato per il risparmio (si cancellano le spese in favore dei diritti alle donne costrette a tornare nei ruoli di “angelo del focolare” con ulteriore risparmio nel welfare), rendendo così metà della popolazione meno concorrenziale nel mondo del lavoro (che è già poco) e del potere (che gli uomini non sono disponibili a lasciare).
Contro gli stereotipi però si è mossa la società civile delle donne che in Italia sono forti e lavorano da 30 anni
cercando di risolvere concretamente i problemi delle donne, vista la cecità delle istituzioni. Donne preparate professionalmente e in grado di competere con le istituzioni stesse, hanno creato associazione, fondazioni, reti, gruppi, su tutto il territorio nazionale e in campi diversi tra cui la violenza, il lavoro, la cultura, il sapere, ecc. La manifestazione del 13 febbraio 2011 in cui un milione di italiane hanno detto no alla cultura maschilista dell’era berlusconiana, è stata l’occasione per far incontrare di nuovo questi gruppi e questi movimenti, per una lotta comune malgrado le differenze. Le italiane non hanno mai smesso di fare ma hanno ricominciato a parlare ad alta voce due anni fa perché esasperate, e da quel momento hanno cercato di creare piattaforme di lotta per unire le forze su punti precisi di condivisione: un’onda che nessuno, oggi, potrà più fermare.
Nel 2011 un gruppo di associazioni riunito sotto il nome di “Piattaforma Cedaw”, ha messo a punto un “Rapporto Ombra” descrivendo la reale condizione delle donne in Italia in tutti i campi (lavoro, salute, violenza-femmincidio, tratta, ecc.), ed elencando tutte le mancanze dell’Italia in seno alla “Convenzione per l’eleminazione della discriminazione contro le donne” delle Nazioni Unite (Cedaw), ratificata dall’Italia nel 1981, e portandolo al palazzo di vetro di New York per sottoporlo al Comitato di controllo della Cedaw. L’effetto è stato che il governo italiano, che all’epoca era quello di Berlusconi, è stato richiamato per dare chiarimenti in merito e quello che neanche gli italiani sanno, è che questo governo ha fatto una pessima figura. Dopo questo incontro, a gennaio del 2012, sono venute in visita in Italia Violeta Neubauer, del Comitato Cedaw, e la special rapporteur dell’Onu sulla violenza contro le donne, Rashida Manjoo.
Sia la Cedaw che la Special rapporteu, hanno prima verificato e poi stilato anche le raccomandazioni per l’Italia
I movimenti delle donne italiane hanno preso in mano i contenuti di questo lavoro e hanno cominciato a promuovere campagne di divulgazione, ed è così che in Italia, quest’anno, è nata la campagna contro il femminicidio, che ha avuto un riscontro fortissimo sui media anche grazie all’impegno delle giornaliste che si sono battute nelle redazioni per una corretta informazione su questo fenomeno, da non comprendersi come un mero fatto di cronaca nera ma come punta di un iceberg chiamata violenza domestica.
Quello sulla violenza contro le donne è stato un dibattito che ha riportato a galla tutto quello che le donne hanno fatto nel corso di questi anni, un bagaglio che può essere collocato in un percorso politico e culturale a sinistra, collegato non solo a rivendicazioni sui diritti – rappresentanza, salute, violenza, aborto, lavoro, autodeterminazione, ecc. – ma anche sulla lotta agli stereotipi che sono la base della discriminazione delle donne.
In questi giorni la “Piattaforma Cedaw” e molte altre Ong di donne italiane, sono presenti alla 57a “Commission on Stauts of Women” delle Nazioni Unite a New York, che fino al 15 marzo si sta occupando di come liberare le donne e le ragazze di tutto il mondo dalla violenza-femminicidio. Mentre in Italia, come già successo l’anno scorso per la Giornata internazionale contro la violenza (25 novembre), i movimenti delle donne hanno preparato un mese intero di eventi, incontri e manifestazioni in cui le mimose si vedranno poco.
La sensazione è che qualcosa si sia alzato in piedi perché tutte le donne del mondo vogliono vivere diversamente, libere dalla violenza, e vogliono contare nelle decisioni come è giusto che sia, mentre donne di ogni età, ma anche qualche uomo, sono ancora disposte a lottare per altre donne. Oggi in Italia la percezione è che le donne non abbiano più voglia di lasciare che le cose vadano in direzione opposta ai loro diritti, qualsiasi sia la forza politica che è al governo: se abbattiamo le barriere e ci uniamo tutte, sento che questa volta noi vinceremo.
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Inchiesta di Luisa Betti presentata all’Hotel de Ville de Paris per l’inaugurazione della Giornata Internazionale delle donne 8 marzo, al Convegno “Donne e poteri” organizzata dal Comune di Parigi dall’assessora alle pari opportunità, Fatima Lalem, e moderata dalla giornalista di Radio France, Stéphanie Duncan. Un ringraziamento particolare a Tiziana Jacoponi.