Roma, butta il figlio di un anno dal ponte per vedetta sulla moglie: sbagliato parlare di raptus o follia

Luisa Betti Dakli
Luisa Betti Dakli
Direttrice DonnexDiritti International Women



La tragedia del piccolo Claudio di 16 mesi ucciso dal padre, Patrizio Franceschelli, che ha gettato il figlioletto nel Tevere in una gelida mattina romana strappandolo alle braccia della nonna che lo aveva in affidamento dopo il ricovero della madre in ospedale, richiama all’attenzione diversi punti su cui battiamo da mesi. Rita Maccarelli, la nonna del piccolo che ha cercato di difendere il nipote prima che il padre lo portasse via, ha rilasciato un’intervista, in cui chiarisce alcuni punti fondamentali:

“Non è un pazzo, come lui stesso si definisce – ha detto parlando del genero – ma è solo un uomo violento e un padre padrone che massacrava di botte mia figlia”

Patrizio Franceschelli

E poi sottolinea: “Lui aveva perso il padre, non aveva una famiglia. Qui da noi l’aveva trovata e sapeva che a casa nostra la porta era sempre aperta. Quando ieri (venerdì verso le sei di mattina, ndr) è arrivato, io non avevo capito la gravità della situazione finché non ha afferrato il bambino di peso e lo ha gettato a terra nella neve davanti al portone di casa. Dopodiché è scappato col bambino, io l’ho rincorso ma lui è arrivato sul lungotevere e lo ha appoggiato sul muretto. Poi lo ha spinto giù”. La donna ha poi specificato che qualche giorno prima la figlia era tornata a casa spaventata, con la giacca sporca di sangue, e non riusciva a riconoscere le persone: “Adesso ho paura per mia figlia – ha continuato la signora – perché lui ha scritto un messaggio che dice con Claudio e Claudia la fine del mondo. Non voglio che lui esca dal carcere, ho paura”.

Cosa ci fa capire tutto ciò? Primo: che la morte del piccolo Claudio è l’epilogo di una violenza domestica, quella che il mese scorso la relatrice speciale dell’Onu, Rashida Manjoo, in visita in Italia ha appellato come “la forma di violenza più pervasiva” nel nostro paese con dati che vanno dal 70 all’86%, e che quindi si delinea come la forma di violenza più diffusa e capillare in assoluto. Secondo: che l’uomo era lucido nel gesto, che l’uomo non è un pazzo in preda a raptus e non si tratta di un “gesto folle”, come la maggior parte dei giornali scrivono quando parlano di atti di violenza estrema nei confronti di donne e minori attutendo così la gravità dell’accaduto. Terzo: che il gesto dell’uomo,

l’omicido di suo figlio così come i femminicidi, è stato un atto vedetta verso la moglie e di possesso nei confronti del bambino, come fosse una proprietà di cui si può disporre per rivalsa

“è mio figlio, lo rivoglio!” ha detto alla nonna mentre lo svegliava per portarselo via. Quarto: mi chiedo perché quest’uomo non era stato allontanato? Perché circolava libero e bello? Perché nessuno non lo aveva ancora denunciato? Perché la difesa di questa madre e di questo bambino era affidato a una nonna?

Forse, mi viene da rispondere, perché lo Stato non è in grado di tutelare queste donne, forse perché in Italia le istituzioni non hanno ancora provveduto a definire una legge chiara sulle diverse forme di violenza, o forse perché, qualora le leggi ci fossero, il sistema giudiziario non è in grado di farle rispettare lasciando troppo spesso che la parte offesa diventi una corresponsabile del reato soprattutto se si tratta di coppie in conflitto e con figli, e anche forse perché le donne, senza lavoro e con figli a carico, si vedono costrette a rimanere in casa con il loro torturatore perché non sanno dove andare subendo una violenza che prima o poi esplode. Forse.

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