“Sono stata trattata senza dignità. Sono rimasta venti ore senza mangiare, dormire, senza cellulare, senza potermi fare una doccia o cambiare la maglietta. Alle 3 è successo tutto, ma ho parlato con mio fratello solo alle 11.45 della sera dopo. Orribile. Quella notte sono dovuta andare in tre ospedali diversi e a tutti raccontare sempre la stessa storia. Negli Stati Uniti non sarebbe successo, qui fai un solo step poi ti lasciano libera di andare a piangere nel tuo letto”. E’ con queste parole che Mary (nome fittizio) ha commentato la condanna a 4 anni e 8 mesi del suo stupratore, l’ex carabiniere Marco Camuffo, emessa dal giudice del tribunale di Firenze, Fabio Frangini, lo scorso giovedì. “È stato condannato, e questo mi conforta – ha aggiunto – ma non è vero che la pena è severa. Troppo poco, dovevano dargli di più. La mia vita è cambiata da quella notte, non si riesce a superare cose simili, e spero solo che sconti veramente la pena”.
Ma quella notte tra il 6 e il 7 settembre dello scorso anno a Firenze le studentesse che furono accompagnate a casa dalla discoteca Flo erano due, così come due sono i carabinieri coinvolti nell’aggressione avvenuta all’interno del palazzo dove le ragazze alloggiavano. E se per Camuffo la condanna per aver stuprato la studentessa e “per aver agito con violenza e con abuso di autorità”, è stata emessa con la riduzione di un terzo della pena grazie al rito abbreviato, per il suo collega, Pietro Costa, il processo inizierà il 10 maggio 2019.
“La verità è che in Italia c’è una cultura primitiva sulle donne, manca consapevolezza su questo tipo di violenze”
– dice Mary – e considererò finita la storia solo quando sarà condannato anche l’altro carabiniere”. Soddisfatta l’avvocata della studentessa americana, Francesca D’Alessandro, sebbene anche per lei “quella vicenda ha sconvolto la ragazza che è tornata in Italia dopo l’incidente probatorio ma non è voluta andare a Firenze e ha preferito essere ospitata da me anziché andare in albergo”.
Ragazze che non furono solo sconvolte da quanto loro accaduto, ma anche dal trattamento e la stigmatizzazione rivittimizzante che ricevettero quando denunciarono per i stupro i due carabinieri: un attacco feroce consumato per mesi su giornali e su tutti i media italiani, in un clima generale di discredito e sospetto nei loro confronti. Una vicenda, quella delle studentesse americane, che ora che è arrivata la condanna i giornali liquidano in poche righe, ma che ha riempito le pagine della stampa, i Tg e i talk show per mesi, nell’affannata ricerca di screditare in ogni modo la loro accusa. Per chi se ne fosse scordato
le ragazze che accusarono i carabinieri di stupro furono dipinte come bugiarde
e fu creato addirittura un fake secondo cui le stesse avrebbero potuto inventarsi la violenza per incassare una fantomatica assicurazione in caso di stupro. Giorni e giorni in cui quasi tutte le testate hanno titolato e scritto con sospetto, incalzando sulla cattiva fede delle ragazze:
Falsità rilanciate da molti giornali, a cui si era aggiunta anche la notizia che il 90% delle denunce di violenza sulle donne a Firenze fossero false: notizie smentite da uno degli avvocati delle parti lese e dal questore, e quindi rettificate da alcuni giornali. Un trattamento e una narrazione che influenzò anche le indagini e il processo, nonché lo stesso incidente probatorio in cui le ragazze furono costrette a rispondere per 12 ore con domande rivittimizzanti e lesive fatte dalla difesa dei due carabinieri.
Fu chiesto infatti alle studentesse se avevano una polizza e se avessero chiesto un risarcimento
domande fondate su un fake rilanciato dalla stampa come credibile, ma fu chiesto anche: “avete subito altre violenze? è mai stata arrestata? quella sera portava biancheria intima?”, quesiti il linea con il clima di discredito dei loro confronti che hanno ricalcato la strada tracciata dai giornali senza alcun appiglio alla realtà, e ritenute inadeguate dallo stesso magistrato che ne ha respinte parecchie dicendo che non sarebbe tornato indietro di 50 anni.
Sulla Nazione fu addirittura pubblicata la foto di Mary, poi eliminata, ma vista e salvata da moltissimi persone, e come ha spiegato l’avvocata di Mary, Francesca D’Alessandro – durante il corso di formazione organizzato a Roma dall’Ordine dei giornalisti del Lazio, “Anatomia delle cronache sulla violenza contro le donne” – le ragazze furono messe sul banco degli imputati pur essendo loro vittime di stupro (come dimostrato dalla prima condanna), con un atteggiamento altamente lesivo nei confronti della parte lesa e questo grazie al comportamento pregiudizievole dei giornali che invece di attenersi ai fatti, hanno per mesi lavorato a instillare pregiudizi pericolosi sulle vittime cercando di difendere in buon nome dell’arma dei carabinieri, pubblicando anche foto con ragazze seminude che bevevano in discoteca nei pezzi dedicati alle due studentesse americane.
Pregiudizi e motivi culturali che nulla avevano a che fare con i fatti, ma che hanno provocato dolore e sofferenza alle ragazze che erano in realtà due sopravvissute e che, come si legge nel messaggio di Mary, hanno fatto sentire la ragazza violentata una seconda volta, grazie a quell’informazione che diffonde “versioni porno-soft degli stupratori e offendono l’immagine delle vittime”. Per Mary, “le donne hanno bisogno di sentirsi al sicuro e l’informazione deve verificare i fatti prima che le parole entrino in circolazione”, e se “le azioni di questi uomini sono state vergognose”, “l’azione della stampa è stata ancora più vergognosa e dolorosa”.
Ebbene, oggi che è arrivata la prima condanna a carico di uno dei carabinieri accusato all’epoca dei fatti, chi risarcirà Mary per tutto quello che ha dovuto subire e per la lesione provocata, oltre allo stupro, alla sua dignità di persona?