Mentre alcuni giornali si sperticano a fare improbabili ritratti di Alessandro Impagnatiello condannato all’ergastolo per il femminicidio di Giulia Tramontano, ex compagna incinta uccisa con 37 coltellate, continua il tentativo di “salvare” l’altra “star” del momento: il giovane Filippo Turetta, assassino di Giulia Cecchettin ammazzata in strada da lui con 75 coltellate.
Due processi esemplari che si consumano sotto i riflettori di un 25 novembre anomalo in cui diversi esponenti del governo, tra cui la premier Meloni e il ministro Valditara, continuano a sostenere che il problema sia nell’aumento di immigrati clandestini, mentre sul banco degli imputati ci sono due “insospettabili” italiani rei confessi di due atroci femminicidi. Uno, Impagnatiello, ancora oggi descritto come un bugiardo esperto trasformista e abile scacchiere che è passato dal sorriso rassicurante del barman allo sguardo di pietra durante la lettura della sentenza, e l’altro come un giovane bravo ragazzo sprovveduto che si è accanito per sbaglio sulla ex uccidendola dopo averla rapita e stakerizzata dopo che “lei lo aveva lasciato”. Due uomini violenti che al culmine della loro crudeltà hanno ucciso in maniera spietata e premeditata.
Il processo Turetta
Un disperato tentativo, quello della difesa che si è aggrappata sugli specchi dicendo che “L’ergastolo è da molto tempo ritenuto una pena inumana e degradante”, e che lui, Turetta, accusato di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dall’efferatezza, stalking, sequestro di persona, detenzione d’armi e occultamento di cadavere, in fondo non ha sempre pensato di uccidere Giulia, in quanto la premeditazione, secondo l’avvocato Giovanni Caruso, non sarebbe stata continuativa nel tempo.
Legale che sta cercando di convincere la corte sul fatto che Turetta sia “uno che non sa premeditare” perché è insicuro: “insicuro di fare gli esami”, uno che “non sa se riprendere a giocare a pallavolo”, e che “non sa se Giulia è ancora innamorata di lui”. I grandi dilemmi della vita davanti a un’evidenza schiacciante dove gli avvocati chiedono alla Corte d’Assise non solo l’insussistenza “delle aggravanti, della premeditazione, della crudeltà, degli atti persecutori e del rapporto affettivo”, ma anche che vengano riconosciute le circostanze delle attenuanti generiche. Una difesa che pur essendo il fulcro della democrazia, si spinge in questo caso nella linea che divide la realtà dei fatti e il potere seduttorio dello stereotipo che ci fa pensare, anche in maniera recondita, che in fondo quel ragazzo con quella faccia così non poteva essere pericoloso.
L’elenco di Giulia Cecchettin
Alle infinite domande su come sia potuto succedere però ci è venuta in aiuto Giulia stessa, che pur essendo stata uccisa ha ancora la forza di dirci due cose su questo ragazzo imbranato e insicuro, e lo fa lasciando nelle nostre mani il prezioso elenco delle ragioni per cui all’epoca lasciò Turetta e del perché lei avesse delle riserve in proposito e sicuramente anche qualche paura. Un elenco pubblicato su Repubblica che, soprattutto per gli addetti ai lavori, rivela veramente chi fosse quel ragazzo e in quale grave pericolo fosse Giulia. E soprattutto ci dice che Giulia poteva essere salvata perché gli elementi di rintracciabilità del fattore di rischio c’erano ma che dovevano solo essere letti correttamente, confermando così l’importanza della sensibilizzazione, della formazione, e di una opinione pubblica altamente consapevole e in allerta per essere in grado di rintracciare i segnali nascosti tra le pieghe del “bravo e insospettabile”, dato che le istituzioni sono ancora in alto mare.
L’elenco di Giulia infatti ci fa capire cosa pensava Turetta e ci fa chiedere da quale sacco siano venuti fuori quei comportamenti, dato che ieri lo stesso fratello ha pronunciato parole sconcertanti affermando che Filippo pagherà per quello che ha fatto ma che “Lui è mio fratello, punto. Non mi interessa quello che è successo”. Come se il legame di sangue potesse sanare quello che tuo fratello ha fatto. Tornando però all’elenco sconcertante di Giulia, i comportamenti di questo fratello invece erano molto chiari e forse se solo per caso fossero andati sotto l’occhio di una operatrice di un centro antiviolenza o di una avvocata specializzata, qualcosa si sarebbe potuto fare, contrariamente a quanto ha affermato la ministra Roccella per la quale “nessuna legge avrebbe salvato Giulia”.
Giulia ci dice che decide di lasciare Filippo per 15 motivi:
«Abbiamo litigato per il fatto che non lo avessi fatto venire al compleanno della Elena (la sorella di Giulia, ndr)».
«Ha sostenuto più volte fosse mio dovere aiutarlo a studiare».
«Si lamentava quando mettevo meno cuori del solito».
«Necessitava di messaggi molte volte al giorno».
«Ha idee strane riguardo al farsi giustizia da soli per i tradimenti, alla tortura, robe così».
«Quando lui ha voglia tu non puoi non averne se no diventa insistente».
«Non accetta le mie uscite con la Bea e la Kiki».
«Non accetterebbe mai una vacanza mia in solitaria con maschi nel gruppo».
«Tendenzialmente i tuoi spazi non esistono».
«Lui deve sapere tutto, anche quello che dici di lui alle tue amiche e allo psicologo».
«Durante le litigate dice cattiverie pesanti e quando l’ho lasciato mi ha minacciato solo per farmi cambiare idea…».
«C’è stato un periodo in cui dopo esserci detti “Buonanotte” mi mandava sticker finché non vedeva che non ricevevo più messaggi per controllare che fossi davvero andata a dormire».
«Tutto quello che gli dici per lui è una promessa e prova a vincolarti così».
«Prendeva come un affronto il fatto che volessi tornare a casa prendendo l’autobus alla fermata più vicina e non in stazione».
«Una volta si è arrabbiato perché scesa dall’autobus volevo fare 5 minuti a piedi da sola mentre lui era da un’altra parte senza aspettarlo».
Qual è dunque il quadro che ne esce? Di certo non l’insicuro e traballante ragazzetto di buona famiglia, come l’avvocato vorrebbe farci credere, ma uno impositivo, controllante, ricattatorio, possessivo, invadente che aveva inchiodato Giulia in una rete da cui lei non riusciva più a uscire, perché lei era sua, roba sua. Lui che in fondo sembrava magari un po’ appiccicoso, insistente, rompi scatole ma mai offensivo, mai pericoloso, neanche adesso che si è rivelato nella maniera più tremenda. Continuano a risuonare le parole del padre di Turetta, che ha continuato a dire che in fondo suo figlio era un bambino, o le 75 coltellate come culmine di un comportamento violento, molestante, controllante?
Il vero volto di Turetta
Dalle parole scritte da Giulia si intende come Filippo fosse impositivo anche nella sfera sessuale («Quando lui ha voglia tu non puoi non averne se no diventa insistente»), oltre che in quella relazionale affettiva essendo richiedente fino all’eccesso («Si lamentava quando mettevo meno cuori del solito». «Necessitava di messaggi molte volte al giorno») e come le impedisse di avere una vita sociale normale («Non accetterebbe mai una vacanza mia in solitaria con maschi nel gruppo». «Non accetta le mie uscite con la Bea e la Kiki»). Ma Filippo era anche violentemente controllante («Lui deve sapere tutto, anche quello che dici di lui alle tue amiche e allo psicologo». «Tutto quello che gli dici per lui è una promessa e prova a vincolarti così». «C’è stato un periodo in cui dopo esserci detti “Buonanotte” mi mandava sticker finché non vedeva che non ricevevo più messaggi per controllare che fossi davvero andata a dormire»).
E violento anche nelle intenzioni che davanti alla stessa Giulia si sono anche espresse chiaramente («Ha idee strane riguardo al farsi giustizia da soli per i tradimenti, alla tortura, robe così». «Durante le litigate dice cattiverie pesanti e quando l’ho lasciato mi ha minacciato solo per farmi cambiare idea…»). Non esiste un lato meno violento e meno pericoloso quando un uomo arriva a uccidere per possesso e controllo della partner: i veri protagonisti di queste storie, gli uomini, sono quelli che si sono messi a pensare a tavolino come far fuori donne che non corrispondevano al loro modello, donne che non li avevano assecondati, donne che hanno osato e che per questo sono state punite con la pena più grave: quella capitale.