È possibile raccontare la Storia dell’Arte da un punto di vista non egemone, ovvero non androcentrico e quindi ripulita dall’impronta patriarcale? Possiamo riscrivere questa storia capovolgendo la sua lettura e mettendo le artiste nella posizione che merita senza alcuna discriminazione di genere? Certo, si può.
E questo è stato l’intento di Paola Ugolini che nel libro “Artiste Italiane e Femminismo. Per una rilettura non egemone della Storia dell’Arte” (Collana le Chiavi dell’Arte Christian Marinotti Editore) costruisce un percorso visivo in cui l’arte declinata al femminile diventa progetto non solo artistico, ma soprattutto politico, sociale e di genere. Tra i numerosi percorsi che possono essere tracciati per vicinanza geografica, temporale o stilistica, l’autrice seleziona un gruppo significativo di artiste che hanno operato in Italia dalla prima metà del Novecento a oggi e delle quali mette in evidenza tutta una serie di articolazioni estetico-politiche che hanno fatto dell’arte un campo per esprimere aspirazioni sociali, urbane ecologiche e femministe tanto radicali quanto oggi rimosse.
Anni ’20: Bice Lazzari e Carol Rama
L’indagine comincia con due artiste: la veneziana Bice Lazzari e la torinese Carol Rama che, pur non facendo parte del femminismo militante, con le loro scelte di vita fuori dagli schemi hanno agito in prima persona la liberazione dai codici comportamentali imposti dal patriarcato. Entrambe hanno cominciato a operare in Italia negli anni Venti del Novecento, ovvero nel periodo in cui è più pressante l’obbligo per una donna di aderire al modello dell’angelo del focolare e si sono cimentate con ambiti creativi ritenuti esclusivamente maschili, come l’arte astratta e l’erotismo.
Il surrealismo di Claude Cahun
Nonostante questo libro abbia come titolo Arte e Femminismo in Italia un capitolo è dedicato ad un’artista francese che non ha avuto rapporti con il Belpaese, la fotografa e scrittrice surrealista Claude Cahun. Questo personaggio controverso e ancora oggi poco conosciuto ha avuto la fortuna di trovarsi a Parigi nel decennio più libero e all’avanguardia del secolo, i ruggenti Anni Venti, che nella capitale francese sono stati un’incredibile fucina creativa per letterati, artisti, registi e poeti.
Rispetto alla grettezza della cultura patriarcale fascista, che ha dominato l’Italia dal 1924 alla fine della Seconda guerra Mondiale, che non solo aveva confinato le donne fra le mura di casa ma aveva imposto un modello sociale fondato sulla famiglia “naturale” spedendo al confine dissidenti, liberi pensatori e omosessuali. La capitale francese nello stesso periodo vive invece il suo momento di massimo splendore intellettuale e libertà di costumi.
Claude Cahun e le sue sperimentazioni fotografiche e letterarie ne fanno la rappresentante perfetta di quelli Anni Folli dove lei si autoritrae come soggetto neutro, anticipando di un secolo l’estetica Queer
Il dopoguerra in arte
Nel dopoguerra muoviamo verso Roma e verso Carla Accardi, unica donna del gruppo di pittori astrattisti Forma Uno, fondamentale per lo sviluppo delle teorie femministe in Italia il suo rapporto con Carla Lonzi con cui fonda nel 1970 Rivolta Femminile, primo gruppo femminista separatista italiano che fa dell’autocoscienza il proprio strumento di presa di coscienza. Sempre a Roma, negli anni Sessanta e Settanta, opera l’artista americana Suzanne Santoro che conduce una radicale, e all’epoca mal compresa, ricerca sulla rappresentazione dell’organo sessuale femminile nella tradizione delle arti visive, fondamentale per i rapporti tra arti figurative e femminismo la sua militanza sia in Rivolta Femminile che nella Cooperativa del Beato Angelico.
A Torino c’è Marisa Merz, unica artista donna di un gruppo “muscolare” quale quello degli artisti poveristi; il suo lavoro, apparentemente delicato, si fonde con l’esperienza della vita, con la maternità vissuta anche come momento di crisi e con l’ambiente domestico che diventa luogo di creatività e di resistenza all’omologazione.
La rosa si amplia con altri nomi altrettanto rivoluzionari: Tomaso Binga, Greta Shöedl, Ketty La Rocca e Lucia Marcucci, con loro la performance e la poesia verbo-visiva diventano militanti per destrutturare il linguaggio e la sua rappresentazione fino a trasformarlo in strumento di lotta; Marina Abramovic e Ulay, una coppia fuori dagli schemi che ha trasformato la loro relazione privata in opera d’arte, dalla prima performance in Italia durante la Biennale di Venezia del 1976 alla fine del loro rapporto umano e professionale sulla Grande Muraglia Cinese nel 2017.
A Milano e a Roma troviamo rispettivamente Marinella Pirelli e Laura Grisi che sono fra le pioniere in Italia delle sperimentazioni visive con l’utilizzo della cinepresa
In Austria Renate Bertlmann usa l’erotismo come strumento di lotta e di empowerment a partire dalla scandalosa performance Deflorazione in quattordici stazioni presentata alla Settimana della performance di Bologna nel 1977.
A Bergamo c’è Mariella Bettineschi che dai primi anni Ottanta sperimenta una serie di linguaggi artistici spaziando dal ricamo alla fotografia con cui dal 2008 comincia la serie dell’Era Successiva un work in progress sulle icone femminili della Storia dell’arte dallo sguardo raddoppiato. Negli Stati Uniti, a Providence nella sede della Rhode Island School of Design c’è la giovane e talentuosa Francesca Woodman che alla fine degli anni Settanta arriva con una borsa di studio nella capitale d’Italia, dove realizza una serie di scatti fondamentali per lo sviluppo della sua ricerca artistica basata sull’autorappresentazione.
La Roma Contemporanea
Nella Roma del contemporaneo c’è oggi Silvia Giambrone, artista militante che attraverso l’uso di diversi medium compie un lavoro scavo all’interno dei rapporti di coppia, la sua è un’indagine di archeologia domestica per indagare la violenza di genere e l’assuefazione che porta gli esseri umani ad accettarla. Opera nel mondo Marinella Senatore che con la sua School of Narrative Dance ha coinvolto dal 2012 ad oggi circa sei milioni di persone nelle sue parate, con lei l’arte relazionale crea comunità annullando la figura dell’artista creatore.
A New York Jenny Saville (in copertina Strategy) con la sua pittura ispirata ai maestri rinascimentali ma fatta di carne e di sangue rovescia i canoni estetici della rappresentazione del corpo femminile e della maternità. A Palermo vivono Claire Fontaine, all’anagrafe Fulvia Carnevale, e James Thornhill, duo nella vita e nelle pratiche, che attraverso il detournement e l’ironia hanno trasformato l’arte concettuale in militanza. A Parigi Romina de Novellis, antropologa e performer, e a Torino Elena Mazzi, artista visiva e ricercatrice, operano nell’affascinante e imprescindibile campo dell’eco-femminismo, a Milano Benni Bosetto attraverso il disegno, la scultura e la performance indaga concetti complessi come l’ambiguità tra realtà e finzione dando forma ad una narrazione inedita, situata fra l’onirico e il reale, in cui convivono i soggetti nomadi di Rosi Braidotti con le teorie cyborg di Donna Haraway.
Questo racconto di una Storia dell’Arte diversa da come la si può trovare nei manuali scolastici, è un tentativo, certamente non esaustivo, di tracciare un percorso filtrato attraverso le lenti rosa del femminismo e di una militanza che oggi è trans femminista, queer ed ecologica. È l’indagine di una creatività non situata e osservata da un punto di vista eccentrico, per aprire canali che, insieme alle mostre nelle gallerie e nei musei e agli approfondimenti sempre più ricchi operati nelle Università e nelle Accademie nel campo dei gender studies, possano continuare a trasmettere e attualizzare nel presente le voci di chi per secoli non ha trovato ascolto.