Alla fine qualcuna l’ha citata, la violenza maschile sulle donne, e a farlo è stata la senatrice della Lega Giulia Bongiorno, ministra mancata anche stavolta, colmando il grande vuoto lasciato dalla nuova presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che pur avendo citato nel suo discorso alla Camera “le donne che ce l’hanno fatta” come lei, ha dimenticato quelle che non ce l’hanno fatta perché ammazzate dai loro mariti e anche quelle che a fatica sopravvivono pur avendo un maltrattante in casa.
Il vuoto sulla violenza maschile sulle donne
Un vuoto che Bongiorno si è sbrigata a colmare ma solo dopo aver sciorinato parolone su quanto è bello avere per la prima volta una donna premier in Italia: una presenza che addirittura andrebbe a sostituire le stesse normative che tutelano i diritti delle donne con un automatismo del tutto opinabile. Primo perché le donne non sono tutte uguali e non basta una semplice connotazione biologica (come insegna Simone de Beauvoir), secondo perché forse neanche Bongiorno immagina (o forse sì) che esiste quella tentazione dell’omologo maschile che seduce così tanto le donne che agognano una posizione di potere, per cui pur di arrivarci diventano peggio degli uomini.
Una fascinazione del maschile che Meloni non ha tardato a manifestare chiedendo di essere chiamata come un uomo, “il presidente”, buttando nel cesso alcune delle conquiste più importanti degli ultimi anni (su cui l’Italia è ancora molto indietro) ovvero il rispetto dell’identità femminile a partire dal linguaggio e senza il quale le donne spariscono simbolicamente dal mondo (non è proprio una cosetta).
Le donne citate senza cognome
Come ha dimostrato nel suo discorso alla camera in cui ha ricordato per nome, rimanendo così anonime, quelle donne che hanno costruito la scala dove è salita lei per diventare premier, Meloni sembra sostenere quella simpatica favoletta per cui le donne ce la fanno quando sono brave e meritevoli veramente. Una favoletta che sembra esentarla dal rafforzare le politiche di genere, dato che ognuna fa per sé in base ai propri individuali talenti, come dimostra la nomina dell’antiabortista Eugenia Roccella in un ministero in cui le pari opportunità sono state pericolosamente post-poste a Famiglia e natalità.
Una favoletta che potrebbe presto diventare un incubo perché non riconosce che dietro quei nomi senza cognomi ci son tutte quelle donne non citate e mai ricordate nei suoi discorsi, che quella scala l’hanno costruita per tutte a suon di lotte, ribellioni, botte prese per strada e in prigione, anche a costo della vita: le femministe.
Perché la storia, per chi la conosce davvero, ci insegna che a loro, a quelle femministe che hanno lottato per tutte, va tutto il merito di aver fatto in modo che oggi lei potesse essere là, al centro e non ai lati, come ha detto Bongiorno
Quelle femministe che solo poco tempo fa Meloni additava perché secondo lei silenziose (ma quando mai) sulle morti di Sana Cheema, pakistana di Brescia ammazzata dai parenti, o Pamela Mastropietro, la diciottenne di Roma uccisa e fatta a pezzi a Macerata, e lo faceva perché arrabbiata del fatto che quelle stesse femministe, che ovviamente non sono mai state in silenzio su nessun femminicidio e tanto meno questi, avessero chiesto di rimuovere i giganteschi manifesti di pro-vita contro l’aborto in giro per Roma accusandole di censura.
Donne che forse hanno poco “impeto, ragione e amore” per se stesse ma che hanno sicuramente a cuore i diritti di tutte le altre
Mi sono fatta da sola e me ne vanto
Sulla stessa linea del “mi sono fatta da sola e me ne vanto”, ma in maniera più sapiente perché più avvezza a certe questioni, Giulia Bongiorno al senato ieri ha ricordato il delitto d’onore in vigore in Italia fino al 1981 paragonando le donne a “uno scooter” (fantastico) in quanto le pene inflitte a chi uccideva una moglie “fedigrafa” era la stessa di chi dava fuoco a uno scooter: da tre a sette anni. E lo fa omettendo che malgrado in Italia ci siano delle ottime leggi (avute sempre grazie a quelle femministe di cui sopra), oggi troppo spesso quelle leggi non sono applicate per cui il femminicidio e la violenza sulle donne sono un fenomeno endemico che la nuova presidente non può assolutamente ignorare.
Bongiorno nel suo discorso sulla fiducia al nuovo governo, cita anche il 25 novembre e la violenza come frutto della discriminazione di genere (che va benissimo), e citando le donne “di valore”, quelle senza cognome, dice che sono loro a combattere questa violenza, aggiungendo che Meloni presidente del consiglio “vale più delle leggi, delle iniziative, delle sanzioni” perché se lei sta lì “le donne non sono più scooter a cui dare fuoco”.
Un’affermazione pericolosa dato che nessuna donna in nessuna posizione neanche apicale può sostituirsi alle leggi preposte al contrasto alla violenza né tanto meno una premier che non ha mai nascosto il suo sodalizio con uomini come Victor Orban, premier ungherese che ha fatto ritirare la ratifica della Convenzione di Istanbul al suo paese, o Santiago Abascal, capo del partito di estrema destra Vox, che ne ha chiesto l’uscita della Spagna: una Convenzione che a oggi è il massimo strumento internazionale per il contrasto alla violenza maschile sulle donne, redatta dal Consiglio d’Europa, e da cui le destre europee chiedono da anni e a gran voce l’uscita in quanto può danneggiare la “famiglia tradizionale” (dato che la maggioranza dei maltrattamenti e degli abusi avviene proprio in famiglia), quella che piace tanto anche alla presidente Meloni.
Bongiorno e la proposta di legge sulla Pas
Ma che Bongiorno sia in realtà la meno adatta a parlare di violenza sulle donne ce lo dice la sua storia. Come dimenticare che la senatrice, famosa anche per aver fondato con la sua amica Michelle Hunziker l’associazione “Doppia difesa”, ha presentato, sempre insieme a lei, una proposta di legge d’iniziativa popolare in cui voleva inserire l’Alienazione parentale con cui incriminare le donne che cercano di sottrarsi alla violenza del partner proteggendo i loro figli? Una legge dal titolo “Disposizioni penali in tema di abuso delle relazioni familiari o di affido” che avrebbe voluto inserire dopo l’art. 572 c.p. il “perseguire (con la pena della reclusione da sei mesi a tre anni) particolari condotte di abuso dei rapporti intra-familiari o di affido, volte a impedire l’esercizio della potestà genitoriale, ingenerando nel minore sentimenti di astio, disprezzo o rifiuto verso il genitore alienato”.
Dov’è la posizione del governo?
Per dirla in breve quella stessa Pas o Alienazione parentale condannata dal Ministero della Salute, respinta in varie sentenze di Cassazione come addirittura “colpa d’autore” di stampo nazista, analizzata dalla Commissione d’inchiesta al senato, presieduta dalla senatrice Valeria Valente, come uno dei più gravi elementi presenti nei tribunali e responsabile dell’invisibilità della violenza domestica che ribalta lo status di vittima (madre che denuncia maltrattamenti e abusi) in carnefice (bugiarda manipolatrice che aliena il padre dal figlio, e quindi malevola autrice di false accuse).
Questo è davvero il massimo che questa maggioranza sa dire sulla violenza maschile sulle donne nei giorni della votazione della fiducia al nuovo governo?
Perché Meloni, neo presidente (donna) del consiglio, non ha pronunciato una sola parola su un fenomeno endemico che coinvolge più di un miliardo di donne e ragazze nel mondo, lasciando un vuoto oltretutto mal riempito ieri in senato? È davvero questa la tutela che questo nuovo governo offre alle donne e ai loro figli?