Il film si apre con alcune donne che parlano di quelle che sono state le loro esperienze con l’hate speech e con le minacce da parte degli uomini. Si tratta di “Blacklash: misogyny in the digital age”, documentario girato da Lea Clermont-Dion e Guylaine Maroist, che racconta appunto della misoginia nell’era digitale o meglio della violenza maschile sulle donne online e di come questa può portare a effetti devastanti, compresa la morte.
Se ne parla oggi, 23 ottobre alle 17, al Maxxi (Via Guido Reni 4a) alla proiezione in anteprima del documentario, in un incontro organizzato da Alice nella Città in collaborazione con la Casa Internazionale delle Donne nell’ambito della diciassettesima edizione della Festa del Cinema di Roma, dove insieme a Laura Boldrini ci saranno le giornaliste Luisa Betti Dakli, direttrice di DonnexDiritti, e Silvia Garambois, presidente di GIULIA Giornaliste, con la moderazione di Giulia Minoli.
Un documentario che rivela gli effetti devastanti dell’hate speech e l’obiettivo della cyber-misoginia, ovvero mettere a tacere le donne. Un odio raccontato seguendo quattro donne in due continenti: l’ex presidente della Camera dei deputati italiana, Laura Boldrini, l’ex rappresentante democratica alla Camera statunitense Kiah Morris, l’attrice francese e youtuber Marion Séclin e Donna Zuckerberg, specialista in violenza online contro le donne e sorella del fondatore di Facebook.
Laura Boldrini e l’onda di odio sessista
La prima ad essere intervistata nel film è Laura Boldrini, ex presidente della camera dei deputati in Italia, che mostra l’ala della Camera dove ha deciso di inserire le foto di alcune delle donne più importanti della politica italiana e due specchi al posto dei ritratti della Presidente del Consiglio (riempito proprio ieri con la nomina di Giorgia Meloni) e della Repubblica. Eletta nel 2013 Presidente della camera, Boldrini racconta del suo primo discorso dove al centro c’erano i diritti delle donne, applaudito e sostenuto dal Centro e dalla Sinistra, ma non dalla Destra.
Un momento in cui niente lasciava presagire quello che sarebbe successo dopo, quando l’odio nei suoi confronti ha cominciato a diventare un’onda devastante che la sommergerà. Il primo a renderla violentemente bersaglio politico in chiave sessista è stato però il fondatore di MS5. Chi non ricorda Beppe Grillo che postò sulla sua pagina facebook, seguita più di un milione di persone, una foto che ritraeva un uomo in macchina con una caricatura di Boldrini e che si chiedeva: “cosa faresti se fossi in macchina con la Boldrini?”.
Un post in cui essendo stata esposta produsse migliaia di commenti di una violenza inimmaginabile comprese minacce di stupro, di morte, violenza ripetuta come un’orda inarrestabile
Matteo Salvini e la Lega
Non solo perché in seguito a fregiarsi di metodi violenti c’è stato anche Matteo Salvini, l’attuale ministro delle Infrastrutture, che sul palco dove stava comiziando portò una bambola gonfiabile chiamandola “Boldrini” e mostrando il tipo di servizio che una donna come lei poteva offrire. Senza tralasciare il famoso commento di Matteo Camiciottoli, sindaco di Pontinvrea, che su Tweeter scrisse: “Mandiamo degli stupratori a casa della Boldrini, così le tornerà il sorriso”.
Camiciottoli che è stato denunciato e poi condannato per diffamazione: un processo in cui le associazioni femministe sono state accanto alla ex presidente. Ma Camiciottoli non è solo, perché poco dopo i giovani della Lega contruiscono un fantoccio con il volto della presidente e le danno fuoco in piazza, pensando di fare una goliardata, mentre il giorno dopo le viene recapitato un proiettile nella posta. Ma Laura Boldrini si rifiuta di considerare questo tipo di violenza come una cosa “normale” su cui passare sopra e stare in silenzio, e decide di scrivere una lettera a Mark Zuckerberg, sull’hate speech online ma risposta sarà deludente: il crimine di diffondere odio non è un tale per facebook dato che si tratta di una piattaforma internazionale.
Laurence Gratton e le foto sui siti porno per vendetta
Laurence Gratton invece è un’insegnante delle elementari e racconta della sua esperienza cominciata all’università con un account fake che si spacciava per un’altra ragazza e che ha iniziato a commentare le sue foto, insultandola e bullizzandola sul suo aspetto fisico e sul fatto che parlava troppo in classe. Confrontandosi con le sue amiche si rende conto che sta capitando anche a loro e che dopo aver investigato scoprono che si trattava di un loro compagno di classe universitario, un misogino. Ragazze molestate che vengono minacciate quando decidono di denunciare quel ragazzo alla preside che non fa niente, mentre lui, che è in possesso delle loro foto, le pubblica sui siti porno esponendole a una violenza ancora più grande. Una violenza che continua con messaggi di minacce di stupro e morte, e in cui afferma la volontà di picchiarle, stuprarle e ammazzarle, dato che sapeva dove vivevano.
E quando si rivolgono alla polizia, vengono liquidate dicendo che non possono fare niente e di cancellare il loro profilo online se per loro questo rappresentava un problema
Kiah Morris e la campagna di diffamazione
La terza donna intervistata è Kiah Morris, una donna che vive in Vermont che si ritrova vittima di hate speech durante la sua seconda campagna elettorale per essere rieletta rappresentante democratica alla Camera statunitense. È il 2016, Trump corre per la presidenza degli Stati Uniti e i suoi seguaci cominciano una campagna di molestie e odio online che travolge anche lei, con insulti, ingiurie e minacce, in cui si chiede che venga rispedita in Africa, l’unico luogo sicuro per una come lei.
Minacciata da un uomo che vive nel suo distretto, un neo nazista che la tartassa di commenti e messaggi minatori, Morris riesce ad ottenere un ordine restrittivo dal giudice ma una volta finito, quest’uomo torna alla carica e inizia a raccogliere seguaci che cominciano a perseguitarla dicendo che è una donna criminale, una pericolosa e che deve essere isolata. Subissata di email in cui è scritto che dovrebbe andare in prigione perché ha rubato fondi ed è complice di frode, i suoi persecutori cominciano a cercare di introdursi nella sua casa, mettendo in allarme il marito e costringendoli a cambiare tutte le serrature. Stremata, dopo che l’autore primo delle sue molestie si presenta a un comizio, Morris decide di abbandonare la carriera politica e di trasferirsi altrove con la propria famiglia.
Sarà solo dopo un’indagine del Vermont Human Rights Commission, che la città di Bennington e il dipartimento di polizia verranno richiamati e condannati per non aver fatto nulla
Marion Seclin: odio online peggio dello stupro
Passiamo poi a Marion Seclin, una ragazza di Parigi che ha deciso di fare del femminismo online un mezzo per educare gli altri, e che per questa scelta ha il record della persona con più odio online di tutta la Francia con più di 40.000 insulti online, tra minacce di morte, di stupro e altro. È lei a raccontare di essere stata stuprata a 16 anni dal suo ex fidanzato e i suoi amici, e a dire che l’odio online è peggio dello stupro perché è pubblico e continuo, non si ferma mai. “È devastante leggere ogni commento con ingiurie, insulti e minacce ogni giorno”, dice confessando di aver iniziato a contemplare il suicidio. Laurence Rosier, linguista presso la Free University of Brussel, analizza questo fenomeno spiegando che più le donne parlano di diritti e rievocano il femminismo, più gli uomini cominciano a insultarle. Un “vizietto” che comincia già nell’antichità e che esplode con le sufraggette con molestie e violenze sessiste per la strada, e con insulti diffusi sulla carta stampata.
Un fenomeno globale di cui le prime vittime sono le donne, secondo i report delle Nazioni Unite, soprattutto quelle che parlano in pubblico e si espongono
La stessa Donna Zuckeberg, sorella dell’inventore di Facebook che lavora sulla violenza maschile sulle donne nei social, racconta di come tutte le donne di potere siano state vittime di violenza online con immagini del loro volto mentre vengono abusate, stuprate o uccise. E più le donne sono vicino al potere e peggio è. Per Sarah T. Roberts, Professoressa alla UCLA e Content moderation specialist, la possibilità di caricare qualsiasi cosa online, porta anche a poter caricare video e immagini estremamente pericolosi che inneggiano alla violenza contro le donne, allo stupro e alla distruzione dei diritti delle donne, il tutto condito da insulti e minacce. Una cosa che diventa ancora più grave quando ci si rende conto che c’è un’intera generazione cresciuta con il web per cui un certo immaginario misogino è diventato normale.
Non ci rendiamo conto delle conseguenze che tutto questo avrà a livello sociale
Rehtach, la ragazza che si è suicidata
L’ultimo intervistato è il padre di Rehtach, una ragazza che si è suicidata 6 anni fa. Tutto è cominciato quando è andata a dormire da una sua amica dove c’erano due ragazzi che l’hanno fatta bere. Il mattino dopo si è svegliata mezza nuda senza sapere che cosa fosse successo e quando è andata a scuola tutti parlavano di lei dato che i ragazzi che della sera prima avevano mandato in rete le foto di lei mentre la stupravano e le mettevano la testa fuori dalla finestra perché stava vomitando.
La gente ha cominciato a scrivere che “le puttane non erano benvenute a scuola” ed è stata minacciata che se avesse cambiato scuola avrebbero continuato a diffondere le sue foto
Come se un fiume in piena l’avesse travolta, Rehtach non ce l’ha fatta ed è andata in depressione lasciando la scuola. I genitori l’hanno sostenuta e aiutata, si sono anche rivolti alla polizia che però non ha fatto niente a riguardo, e alla fine nella disperazione più assoluto, lei si è suicidata in camera sua impiccandosi. Il problema fondamentale è che le donne non vengono credute quando raccontano di essere vittime di qualsiasi tipo di violenza. Sono costrette ad affrontare tutto questo da sole, nella paura costante che qualcosa possa accadergli. Non si sa mai chi c’è dietro una tastiera e dovessero decidere di colpire dal vivo, oltre che online, di attuare quello che hanno minacciato o promesso nei confronti delle donne, la paura diventa terrore. Paura di non avere uno spazio sicuro, paura di vivere.