Due giorni fa l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha votato la risoluzione contro la Russia con 141 voti a favore, 5 contrari e 35 astenuti. L’ultima volta che il Consiglio di sicurezza Onu aveva convocato una sessione d’emergenza dell’Assemblea generale era stato nel 1982 e la risoluzione non ha valore vincolante. Ma perché è importante? Perché ci dice quale sono gli schieramenti a livello mondiale di una guerra che potrebbe allargare il suo scenario anche molto rapidamente. Il fronte contro la Russia a guida Statunitense comprende Nordamerica, Unione Europea, Nato, Five Eyes, le “petromonarchie” del Golfo, il Giappone, la Corea del Sud e buona parte del Sudest asiatico ma soprattutto la Serbia, alleato storico di Mosca. Hanno votato contro sono: Russia, Siria, Eritrea, Corea del Nord, Bielorussia, ma la cosa più interessante sono state le astensioni tra cui: la Cina, l’India, il Pakistan, il Bangladesh, il Laos, la Mongolia, lo Sri Lanka, il Vietnam, Cuba e Nicaragua, Bolivia, El Salvador, e 17 paesi africani (Algeria, Angola, Burundi, Repubblica Centrafricana, Repubblica del Congo, Guinea Equatoriale, Madagascar, Mali, Mozambico, Namibia, Senegal, Sudafrica, Sud Sudan, Sudan, Uganda, Tanzania e Zimbabwe). Ma anche le repubbliche ex sovietiche dell’Asia centrale, come il Kazakhstan, il Kirghizistan e il Tagikistan, mentre l’Uzbekistan e il Turkmenistan non hanno partecipato al voto. Il Venezuela, tradizionale alleato della Russia, non ha potuto votare per il mancato pagamento delle quote. Ma come si è arrivati a questo schieramento? Cosa è successo di così importante in Ucraina da determinare una crisi tanto profonda? Ce lo spiegano le cartine di Laura Canali con testo di Niccolò Locatelli, pubblicate da Limes qualche giorno fa*.
Luisa Betti Dakli, direttrice di DonnexDiritti Network
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Giovedì 24 febbraio 2022 la Russia ha iniziato l’invasione dell’Ucraina. Il presidente Vladimir Putin ha detto che l’operazione militare è iniziata per difendere dalla “aggressione” di Kiev le autoproclamate repubbliche secessioniste di Donestk e Lugansk, riconosciute solo dalla Russia e da un manipolo di suoi alleati. Il presidente russo ha aggiunto che l’obiettivo è la “demilitarizzazione” e “denazificazione” dell’Ucraina (il cui presidente Volodymyr Zelensky è ebreo), non l’occupazione del paese. Frasi che inducono a ritenere che per Mosca la guerra non finirà con la conquista della porzione di Donbas attualmente sotto il controllo di Kiev.
Carta di Laura Canali – 2021
L’escalation in Ucraina ha ripercussioni locali, europee e mondiali
L’attacco russo, partito da molteplici direzioni, segue di tre giorni il riconoscimento dell’indipendenza dall’Ucraina delle repubbliche di Donec’k e Luhans’k (Donetsk e Lugansk), controllate da separatisti filorussi e supportate da Mosca a partire dal 2014. (vedi sotto, alcune carte di Limes aiutano a comprenderne le origini).
L’invasione di questi giorni è il proseguimento di un conflitto iniziato proprio nel 2014
Nel discorso con cui ha annunciato il riconoscimento, Putin ha fatto un lungo excursus storico – non inedito – durante il quale ha ribadito alcuni concetti a lui cari: l’Ucraina per la Russia non è un paese vicino, è parte della storia nazionale. Il richiamo implicito è alla Rus’ di Kiev, primo embrione di Stato russo fra il IX e il XIII secolo, durante il quale la popolazione abbracciò il cristianesimo.
Esplicito è stato invece il richiamo al periodo sovietico: il presidente della Russia ha attribuito la creazione dell’Ucraina moderna ai bolscevichi e a Lenin, oggetto di aspre critiche – come del resto Nikita Khrushchev, che cedette la penisola di Crimea dalla Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa all’Ucraina sovietica nel 1954.
In Ucraina si trova anche una porzione consistente di popolazione russofona e/o etnicamente russa, soprattutto nella parte orientale del paese. I russi etnici sono la maggioranza in Crimea, annessa dalla Russia nel 2014, ma non negli oblast di Donetsk e Lugansk
L’attuale invasione è il proseguimento di un conflitto iniziato nel 2014
Il 22 febbraio di quell’anno, il presidente filorusso Viktor Janukovič scappò in Russia dopo mesi di manifestazioni popolari di stampo europeista (Euromaidan o Jevromajdan) e anti-corruzione. Janukovič, che sarebbe stato destituito dal parlamento poche ore dopo la fuga, nel novembre 2013 si era rifiutato di firmare il protocollo di associazione all’Unione Europea, dietro le pressioni di Mosca. Al suo posto venne instaurato un governo europeista, filoamericano e antirusso. Non potendo più controllare l’Ucraina, Putin ha cercato di debilitarla riconquistando la Crimea e sostenendo – politicamente e militarmente – i ribelli filorussi nel Donbass.
La Crimea è stata riannessa dalla Russia nel 2014
Di fatto attraverso l’occupazione degli “uomini verdi“- militari russi privi delle insegne di riconoscimento – poi formalmente con un referendum. Il valore strategico della penisola è dato dal suo affaccio sul Mar Nero e dalla presenza di una base navale ex-sovietica a Sebastopoli (che era già a disposizione di Mosca dopo il crollo dell’Urss grazie a un accordo con Kiev). Tale valore è aumentato con l’autoproclamazione delle repubbliche del Donbas.
Il controllo della Crimea ha permesso infatti alla Russia di sigillare il Mar d’Azov all’occorrenza in questi anni e di avere un ulteriore avamposto da cui condurre l’attacco alle truppe ucraine nel 2022. Una delle prime conquiste dell’avanzata russa di quest’anno è stata non casualmente l’invaso idrico di Nova Kakhovka, nell’oblast di Kherson, che riforniva d’acqua la penisola fino al 2014 e che è stato rimesso in funzione dalle truppe di Mosca.
Le due repubbliche separatiste di Donec’k e di Luhans’k hanno proclamato l’indipendenza dall’Ucraina nella primavera del 2014. I separatisti attualmente non controllano tutto il territorio dei rispettivi oblast secondo la divisione amministrativa ucraina, ma entrambi lo rivendicano. L’intervento militare russo al loro fianco dovrebbe permettere loro di governarlo a breve.
L’invasione russa dell’Ucraina vuole sovvertire la situazione sorta in Europa alla fine della guerra fredda
Gli ultimi trent’anni sono stati segnati dal sostanziale avanzamento verso est della linea del fronte tra Nato e Unione Sovietica/Russia (oltre 1700 chilometri, da Berlino Est a Sebastopoli). Il collasso dell’Urss ha permesso l’integrazione nell’Alleanza Atlantica di Stati quali la Polonia e le repubbliche baltiche, già parte dell’impero sovietico e/o del Patto di Varsavia.
L’ingresso di Georgia e Ucraina nella Nato, mai escluso esplicitamente per quanto improbabile, rappresenterebbe agli occhi di Mosca un’ulteriore minaccia
Il riconoscimento delle repubbliche di Donetsk e Lugansk e soprattutto la guerra contro Kiev mirano a scongiurare questo rischio (in Georgia la situazione è in stallo dopo la guerra del 2008). L’Alleanza Atlantica e gli Stati Uniti hanno ripetuto che non interverranno militarmente in Ucraina per difenderla dall’invasione russa. La prima non è tenuta a difendere paesi non membri e i secondi non sono disposti a morire per Kiev. Entrambi hanno fornito in questi anni armi e addestramento alle truppe di Kiev. Ma esplicitando il loro non intervento, si sono privati di un elemento di deterrenza nei confronti di Mosca. La Russia ha invaso con la consapevolezza di non rischiare lo scontro diretto con gli Usa.
La questione ucraina per la Russia dunque travalica l’Ucraina
Ed è l’occasione per ridiscutere l’assetto dell’Europa. Più precisamente, per arginare la sfera d’influenza degli Stati Uniti. La presa di Washington sull’Europa si è rafforzata dopo il crollo dell’Unione Sovietica (i nuovi perni antirussi sono Polonia e Romania) e non si è indebolita dopo l’uscita del Regno Unito dall’Ue. I rapporti tra Londra e Mosca, già storicamente difficili, sono se possibile peggiorati dopo Brexit. Il governo del primo ministro Boris Johnson ha comminato le proprie sanzioni alla Russia per il riconoscimento delle repubbliche in Donbas addirittura prima degli Stati Uniti, oltre che dell’Unione Europea, e sta assumendo posizioni molto dure contro Putin.
In concomitanza con l’escalation di Mosca in Ucraina, e funzionale alla stessa, c’è il rafforzamento del legame tra Russia e Bielorussia
Putin ha investito nel suo omologo Aljaksandr Lukašenka (Lukashenko), indebolito dalla dimensione e dalla durata delle proteste popolari dopo aver vinto in maniera fraudolenta le elezioni presidenziali dell’agosto 2020. Negli ultimi mesi Mosca e Minsk hanno sottoscritto numerosi accordi economici e infrastrutturali; le truppe russe recatesi nel paese vicino per “esercitazioni” sono rimaste lì al termine delle esercitazioni stesse e hanno partecipato all’attacco all’Ucraina; l’unione tra i due Stati è sempre più vicina.
Il regime di Lukašenka negli ultimi mesi ha represso le proteste di piazza e organizzato l’afflusso di migliaia di migranti (in gran parte iracheni) alla frontiera con la Polonia, dunque con l’Unione Europea. Bruxelles non è andata oltre alcune modeste sanzioni perché la Bielorussia è un paese di transito del gas russo, in particolare verso la Germania. Proprio sull’importanza del suo gas scommette la Russia. In pieno inverno, con i prezzi dell’energia alle stelle, in assenza di alternative, i membri dell’Ue quanto avranno voglia di essere punitivi nei confronti di Mosca?
Uno dei due osservati speciali in questa crisi è la Germania
Gli Stati Uniti guardano con sospetto a Berlino – prima acquirente mondiale del gas russo – e temono che i suoi legami economici con Mosca alimentino un asse geopolitico che metterebbe in discussione il predominio americano in Europa. Le reazioni del nuovo governo tedesco sono sinora oltre le migliori aspettative di Washington: subito dopo il riconoscimento russo delle repubbliche del Donbas, il cancelliere Olaf Scholz (incapace di nominare in pubblico Nord Stream 2 durante la sua recente visita al presidente degli Stati Uniti Joe Biden) ha sospeso l’entrata in funzione del gasdotto, che al pari del suo predecessore (già attivo) trasporta il gas direttamente dalla Russia alla Germania, saltando le repubbliche baltiche e la Polonia.
Dopo l’invasione, ha annunciato la costruzione di due terminal portuali per il gas naturale, con l’obiettivo di ridurre la dipendenza energetica da Mosca
L’invasione russa dell’Ucraina sta rivoluzionando la politica estera della Germania
Non solo Scholz ha dato il suo via libera all’esclusione di alcune banche russe dal sistema di pagamenti internazionali Swift, una misura successivamente decisa da membri dell’Unione Europea, Usa, Regno Unito, Canada e Giappone. Soprattutto, ha ribaltato una politica tradizionale della Germania del secondo dopoguerra: sabato 26 febbraio ha autorizzato l’invio di armi letali in un teatro di guerra, domenica 27 ha annunciato l’aumento della spesa militare tedesca a un livello superiore al 2% del pil. Berlino ora rifornisce le Forze armate ucraine di armi anticarro e missili.
La scommessa di Putin è che nel medio periodo il fronte dei paesi favorevoli alle sanzioni perda vigore e possibilmente aderenti. Due elementi depongono a favore del Cremlino: i forti interessi economici in Russia non sono un’esclusiva della Germania; l’Occidente europeo è molto meno russofobo degli ex membri del Patto di Varsavia, della Svezia e del Regno Unito. La Grecia è legata anche per vie religiose a Mosca. L’Italia ha un rapporto culturale e commerciale profondo con il mondo russo. La Francia è interessata a mediare tra Stati Uniti e Russia per accrescere il proprio peso in Europa (a scapito della Germania) e alimentare le sue ambizioni/illusioni da grande potenza. Nei primi giorni di guerra, tale scommessa non sta pagando. I paesi europei stanno rispondendo in maniera piuttosto compatta contro Mosca.
L’altra osservata speciale è la Cina
Dallo scoppio della crisi ucraina in poi (fine 2013), Russia e Repubblica Popolare Cinese si sono molto avvicinate – o sono state molto avvicinate dagli Stati Uniti, che cercano di isolare sia Mosca sia Pechino. Non è una vera e propria alleanza, ma è un legame che si è consolidato in una “amicizia senza limiti“. Almeno così è scritto nella dichiarazione congiunta pubblicata in occasione della visita di Putin al suo omologo cinese Xi Jinping per l’apertura dei Giochi olimpici invernali 2022.
L’escalation russa in Ucraina potrebbe mettere alla prova questa assenza di limiti. Pechino si oppone alle dichiarazioni di indipendenza unilaterali e ai secessionismi perché ha paura che possano essere usati contro di lei (dal Xinjiang a Taiwan)
Più diretto nel rifiuto della mossa di Putin è stato Recep Tayyip Erdoğan
La Turchia è un paese membro della Nato, ma il suo presidente persegue una politica da battitore libero che porta Ankara a oscillare tra le potenze – non considerando “alleati” né Mosca né Washington. L’Ucraina interessa la Turchia per motivi etnici (i tatari di Crimea) ed economico-militari (investimenti, scambi commerciali, coproduzione di droni). Erdoğan ha accusato proprio l’Alleanza Atlantica e l’Unione Europea di mancanza di determinazione nella crisi ucraina.
Per l’Ucraina, la guerra comporta il rischio della distruzione dello Stato (nel peggiore dei casi) o la quasi-certezza di un’ulteriore riduzione del suo territorio (nel “migliore”). Per Mosca, è l’occasione di impedire l’ingresso di Kiev nella Nato e di porre con rinnovata urgenza agli Stati Uniti la questione dell’assetto degli equilibri in Europa.
Per gli Usa, comporta il rischio di dissidi interni alla Nato e di dover distrarre energie dallo scontro più importante del XXI secolo: quello con la Cina
Per l’Unione Europea, può essere la causa di rinnovate spaccature interne derivanti dai legami (non solo energetici) con la Russia e da una possibile emergenza migratoria. Per l’Italia, infine, questa guerra è un banco di prova. Gli obiettivi di Roma sono tanti e non facilmente conciliabili: l’appartenenza alla sfera d’influenza statunitense richiede di mostrarsi allineati a Washington. Gli interessi economici richiedono di non rompere né con la Russia né con gli altri paesi dell’Unione Europea, ma la ricerca di una linea più morbida sulle sanzioni rischia di isolarci. La presenza di un’importante diaspora ucraina (oltre 230 mila persone) suggerisce un’attenzione particolare all’aspetto umanitario. L’eventuale afflusso di profughi nell’Ue andrà affrontato senza dimenticare i flussi verso il nostro paese da Medio Oriente e Nord Africa e i nostri obiettivi al riguardo.