“Con l’invasione finisce l’illusione che la pace sia scontata ma io continuerò a cercarla con tutta la volontà, senza pausa”, ha detto Mario Draghi al senato, aggiungendo anche che se da una parte “Non è vero che ci siamo rassegnati a non perseguire la pace”, dall’altra “L’Italia non intende voltarsi dall’altra parte” e anche se “Da tutto ciò se ne esce con la pace, col dialogo – ha aggiunto Draghi – ho l’impressione che questo non sia il momento”.
Le contraddizioni di una risoluzione anticostituzionale
Insomma il presidente del Consiglio trascina l’Italia alla guerra perché oltre a prevedere l’obiettivo della de-escalation militare, l’assistenza ai civili in Ucraina e l’accoglienza delle persone in fuga che arrivano in Italia, prevede anche la sospensione del Patto di stabilità e soprattutto la cessione di armi e strumenti militari che è in netto contrasto con l’obiettivo della de-escalation. Una risoluzione pesante che rischia di alimentare la pericolosa escalation verso una guerra mondiale e cade come una pietra tombale sull’articolo 11 della nostra Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (…)”.
Svezia e Germania partecipano alla guerra
Una decisione già presa dalla Svezia, storicamente neutrale, e dalla Germania, che in realtà è pesantemente dipendente dalla Russia in materia di risorse energetiche. E se il cancelliere Olaf Scholz manderà 1.000 armi anticarro e 500 missili terra-aria Stinger, stanziando anche 100 miliardi di euro per la l’esercito federale “per investimenti necessari e nuovi sistemi d’arma”, Draghi è pronto a spedire in Ungheria e Romania 1.350 militari italiani che entro il 30 settembre saliranno fino a 4 mila. Un provvedimento, quello sulle armi da guerra italiane fornite all’Ucraina preparato dal ministero della Difesa e approvato dal Consiglio dei ministri, previa autorizzazione del Parlamento, che stanzia 12 milioni di euro per materiale bellico.
Chi ha già mandato armi all’Ucraina
Ma non è finita, perché c’è chi ha già inviato le sue armi all’Ucraina che dimostra di essere molto meglio equipaggiata di quanto non sembri tanto da rendere difficile l’occupazione russa. Gli Usa sono hanno già mandato missili anticarro portatili Javelin a guida infrarossi autonoma e i potenti missili antiaerei (Manpads); a Gran Bretagna armi leggere, anti-armatura, anticarro e personale militare di addestramento; gli Stati baltici missili anticarro e antiaerei; Repubblica Ceca armi leggere; Canada un contingente di forze speciali; Danimarca una fregata nel Baltico, più 4 caccia F-16 in Lituania; Olanda 2 caccia F-35; Turchia droni Bayraktar, in grado di combattere e acquisire informazioni.
Interventi massicci e decisi senza remore morale, malgrado i numerosi interessi economici che tutti questi Paesi hanno neo confronti della Russia di cui la maggior parte, non possono neanche pensare di fare a meno. Azioni che dimostrano che quando le economie sono in discesa libera, come succede adesso dopo due anni di pandemia che ha immobilizzato gran parte dell’economia mondiale, quello delle armi è un mercato che “non muore mai e che riesce a risollevare quelle economie in maniera rapida anche se non indolore.
Il ruolo determinate della Cina
L’impero del dragone potrebbe diventare il vero ago della bilancia per un accordo nella crisi russo-ucraina, come riportato in queste ore dopo le dichiarazioni Wang Yi, ministro degli Esteri cinese, nella telefonata avuta su richiesta di Kiev con la controparte Dmytro Kuleba. Ma se da un parte la Cina “deplora lo scoppio del conflitto tra Ucraina e Russia ed è estremamente preoccupata per i danni ai civili”, dall’altra mette la violazione della sovranità dell’Ucraina allo stesso livello dell’espansione della Nato verso la Russia, riconoscendo quindi la pericolosità dell’entrata dell’Ucraina nella UE e quindi nella Nato e la posizione scomoda di Putin nel caso fosse rivendicata a tutti i costi, come sembra, dal presidente Zelens’kyj. Wang Yi ha infatti sottolineato che la Cina ha sempre creduto che “la sicurezza di un Paese non possa essere a scapito della sicurezza di altri Paesi e che la sicurezza regionale non può essere raggiunta espandendo i blocchi militari“.
I Paesi non schierati contro la Russia e l’Onu
Mentre l’Unione Europea smania per avere l’Ucraina tra gli scranni del suo Parlamento votando la mozione che approva lo status di candidato per il Paese, e applaudendo al discorso del presidente Zelensky intervenuto in collegamento alla plenaria, non tutti sono d’accordo nel condannare la Russia: c’è chi tace o chi lo dice apertamente. A non aver preso ancora posizione contro la Russia ci sono molti paesi: oltre naturalmente la Bielorussia anche il Venezuela, l’Eritrea, Cuba, Iran, Siria, Armenia, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan, Brasile, ma anche Mauritania, Namibia, Senegal, Somalia, Sudan, Camerun, Gabon, Pakistan, gli Emirati Arabi e soprattutto soprattutto l’India.
Oggi c’è grande attesa per l’Assemblea generale delle Nazioni Unite di New York convocata d’urgenza per votare la risoluzione contro Mosca che definirà tutti gli schieramenti della nuova guerra. Il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha detto che “la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale dell’Ucraina, entro i suoi confini internazionalmente riconosciuti, devono essere rispettate”, e poi ha annunciato il piano da 1,6 miliardi di dollari per aiutare le persone che scappano dalla guerra.