L’invito a “stare a casa” è apparso subito preoccupante per le organizzazioni femministe impegnate a garantire una via di fuga alle donne che sono esposte a violenza sessista proprio in casa loro né si ferma l’aggressione istituzionale cui sono esposte molte donne che in sede giudiziale stanno lottando per difendere la loro genitorialità così come i diritti dei figli e delle figlie a una vita serena e libera da prevaricazioni e violenze.
Caso che richiama l’attenzione sul tema è quello della musicista maliana Rokia Traoré, arrestata a Parigi, dove faceva scalo per raggiungere Bruxelles e partecipare all’udienza di appello contro la decisione di affidamento esclusivo della figlia pronunciata dal tribunale belga a favore del padre. Da quanto si legge sulla stampa internazionale, la musicista tiene con sé la figlia per proteggerla dal padre, denunciato per pedofilia. Conosciuta la notizia, l’associazione Differenza Donna ha inviato agli organismi internazionali una richiesta formale di monitoraggio delle condizioni della donna e di verifica affinché Rokia Traoré possa vedersi garantito il pieno ed equo accesso alla giustizia per difendere la sua genitorialità e tutelare i diritti della figlia.
Come Rokia Traoré, tante donne in Italia e nel mondo sono esposte a un trattamento istituzionale discriminatorio da parte degli uffici giudiziari, assistenti sociali come anche da psicologi forensi
allorché osino segnalare inadeguatezze e violenze paterne nei confronti delle figlie e dei figli minorenni. Come rilevato dalla Piattaforma dei meccanismi indipendenti ONU e regionali che si occupano di diritti e di violenza maschile contro le donne (Comitato CEDAW, Grevio e le Special Rapporteurs), la discriminazione sessista nei confronti delle donne nei giudizi di affidamento è particolarmente estesa e sono esposte in modo preoccupante e generalizzato a un rischio maggiore di esiti negativi nei procedimenti riguardanti diritti di affidamento (custody rights) o visita parentale. Inoltre, a causa dei pregiudizi sessisti ancora imperanti, la piattaforma ha rilevato la persistenza di una diffusa diffidenza nei confronti delle
donne, sempre meno credute quando esprimono preoccupazione per l’incolumità dei figli e delle figlie a causa delle condotte paterne, fino ad essere additate loro stesse come causa di pregiudizio per i figli e le figlie
rischiando di essere addirittura allontanate dai figli, in nome della cosiddetta “bigenitorialità”, che traduce in paradigma giuridico un modello di genitorialità adultocentrica e proprietaria. Neppure la situazione di emergenza sanitaria epocale che ha paralizzato la nostra società vale a mettere in discussione la bontà di tale paradigma: in base al buon senso e responsabilità, ma pure leggendo alla lettera i provvedimenti adottati dall’8 marzo in poi per prevenire il contagio, sarebbe ragionevole tenere presso la casa familiare e comunque limitare al massimo gli spostamenti dei bambini e delle bambine dalla casa familiare, garantendo zero esposizione in caso di contatti e ambienti a rischio dei genitori, come peraltro consigliano in ogni momento della giornata dai vari specialisti che si susseguono sui media.
Nei fatti, dall’8 marzo in poi le donne sono sommerse di richieste continue dai padri di modifiche della organizzazione dei figli e delle figlie perché sia assicurata loro non solo la frequentazione ordinaria, ma una sua rimodulazione paritaria da una casa all’altra “come se fosse il periodo di vacanze estive”, non già per farsi carico in modo uguale della obbligata ridefinizione della quotidianità, ma rivendicando il presunto diritto a “godere” in modo eguale dei figli e delle figlie che non vanno a scuola, come se si trattasse di poter usufruire in modo paritario di un bene o di un servizio, minacciando denunce per violazione dei provvedimenti di affidamento ogni volta che le donne osano obiettare.
Così i padri, avallati dai siti istituzionali dove ci si è affrettati a chiarire che non rientrano nelle attività sospese “gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso l’altro genitore o comunque presso l’affidatario, oppure per condurli presso di sé
sono consentiti, in ogni caso secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione o divorzio”, in spregio e anzi spesso deridendo le preoccupazioni che la madri esprimono per l’andirivieni dei bambini e delle bambine o per la stessa esposizione paterna a contatti e ambienti a rischio, confermano, ancora una volta, che alle rivendicazioni maschili in tema di genitorialità spesso sono ancora sottese pretese di prevaricazione e dominio, la bigenitorialità è sbandierata come diritto di disposizione sui figli e le figlie, mentre si continua a ignorare il portato complesso di cura e responsabilità che dovrebbe informare la relazione genitoriale.