Al punto 9.2 della Carta dei Diritti Umani dell’Asia adottata nel 1998 nella conferenza di Kwangju in Corea del Sud da più di 200 Ong e attivisti dei diritti umani, si legge: “Il crescente grado di militarizzazione di molte società asiatiche ha portato all’aumento degli atti di violenza contro le donne in situazioni di conflitto armato, incluso lo stupro di massa, il lavoro forzato, il razzismo, i rapimenti e l’allontanamento dalle loro abitazioni. Poiché alle donne vittime dei conflitti armati viene spesso rifiutata la possibilità di ottenere giustizia, la riabilitazione, compensi o indennizzo per i crimini di guerra subiti, è importante sottolineare che lo stupro sistematico è un crimine di guerra nonché un crimine contro l’umanità”.
Parole che sottintendono come nella storia dei conflitti asiatici siano tristemente presenti stupri di massa continui, permanenti e istituzionalizzati. A partire dalle “donne di conforto” e dalla tragedia di Nanchino, ovvero dall’invasione della Cina da parte del Giappone nel ‘37,
si contano circa 200.000 donne cinesi, coreane, filippine, indonesiane, tailandesi, vietnamite, malesi e olandesi, brutalizzate, stuprate e rese schiave sessuali dalle truppe nipponiche
“Dodici soldati mi violentarono uno dopo l’altro – descrive una filippina – e dopo mi venne data un’ora di pausa. Poi seguirono altri dodici soldati. Erano tutti allineati fuori dalla stanza aspettando il loro turno. Sanguinavo e provavo così tanto dolore che non mi reggevo in piedi. Il mattino seguente ero troppo debole per alzarmi e non riuscivo a mangiare. Provavo molto dolore e la mia vagina era gonfia. Piangevo e piangevo, chiamando mia madre. Non potevo oppormi ai soldati perché mi avrebbero uccisa. Che altro potevo fare? Ogni giorno, dalle 2 del pomeriggio alle 10 di sera, i soldati si allineavano fuori dalla mia stanza e dalle stanze delle altre sei donne che c’erano. Non avevo neanche il tempo di lavarmi al termine di ogni assalto. Di sera riuscivo solo a chiudere gli occhi e a piangere. Il mio vestito strappato si sarebbe sbriciolato a causa della crosta formata dal seme secco dei soldati. Mi lavavo con acqua calda e pezzi di vestito per essere pulita. Tenevo premuto il vestito sulla mia vagina come un impacco per alleviare quel dolore e il gonfiore”.
Donne costrette a sottoporsi a violenze continue da parte dei soldati e per questo chiamate “donne di conforto”, un incubo che ha avuto inizio con 223 stupri da parte della marina giapponese di stanza a Shanghai già nel ‘32, dove il Luogotenente Okamura inviò la richiesta per un bordello a uso militare, pianificando una prassi che durò per più di 10 anni. “La vita per noi non aveva più senso – racconta una sopravvissuta – e se qualcuna provava a ribellarsi, era la fine. Una sera la più giovane tra noi, che aveva forse 13 anni, cercò di sottrarsi alle attenzioni di un ufficiale giapponese particolarmente violento. Fummo tutte radunate nel cortile, la ragazza che aveva osato opporsi allo stupro venne trascinata per i capelli fin nel centro. Un soldato le staccò la testa di netto con la sciabola. E il suo corpo fu ridotto in tanti piccoli pezzi”.
Le ragazze potevano essere decapitate, sepolte vive, bruciate, bastonate, date in pasto ai cani, con sadismo patologico
e il risultato di questo scempio fu che alla fine della Guerra tra i 50 tribunali istituiti in Asia, l’unico a emettere sentenze per “prostituzione forzata” fu quello a Batavia (Jakarta) in Indonesia in quanto neanche il Tribunale di Tokyo riconobbe la colpa degli autori di questo massacro. L’orrore nell’orrore però, fu che questo sistema sopravvisse e dopo la fine della II Guerra Mondiale, le truppe d’occupazione americane tennero in piedi le strutture facendone largo uso. Poi, negli anni ’60, la presenza militare americana nel Sud est Asiatico, in Thailandia, Cambogia, Laos, Vietnam e Birmania, provocò un sensibile balzo in avanti della prostituzione con aumenti anche di stupri, violenze su minori, maltrattamenti, prestazioni sessuali forzate e violenze di ogni genere:
in Thailandia nel ‘50 c’erano 20.000 prostitute che dopo la costruzione delle basi americane diventarono 400.000 solo a Bangkok con il 30% di minorenni e bambine stuprate e inserite nel mercato del sesso
Alla fine della guerra del Vietnam, a Saigon, c’erano circa 500.000 prostitute, mentre in Cambogia, dopo la firma degli accordi di pace quando giunsero 100.000 soldati, le Nazioni Unite e altre istituzioni internazionali, il numero delle prostitute passò da 6.000 a 20.000 nel giro di 2 anni. Gli americani crearono la più grande base Usa nella città di Olongapo, a Nord di Manila, che divenne un enorme bordello con 60.000 ridotte a schiave sessuali comprese le bambine. Ora in Asia, ma non ne parla quasi nessuno, l’emergenza è in Birmania dove la guerra, nel Kachin e nello Shan, porta da 40 anni morti, torture e stupri di massa usati come arma per piegare la popolazione. Zau Raw, del Kachin Refugee Committee, parla di “soldati birmani in abiti civili che derubano e assaltano ininterrottamente in Kachin dal 9 giugno del 2011.
Oggi in Birmania le donne subiscono, nel silenzio dei media internazionali, le conseguenze devastanti del conflitto, soprattutto al Nord, tra l’esercito governativo birmano e le milizie ribelli. Stupri sistematici sono stati denunciati da organizzazioni umanitarie: nel 2002 lo Shan Women’s Action Network ha pubblicato un rapporto, “Licenza di stupro”, che documenta, tra il ‘96 e il 2001, più di 600 rapimenti e assalti sessuali commessi dalle truppe birmane, mentre nel 2007 il rapporto “State of Terror”, della Karen Women’s Organisation, dava più di 4.000 abusi, rapimenti, assassini, torture in circa 200 villaggi.
Qui lo stupro è un’arma di guerra da quando nel 1950 l’esercito birmano iniziò la repressione contro le milizie etniche
Nel giugno 2009 Nay Pay aveva 18 anni, era incinta di 8 mesi, e Naw Wah Lah aveva 17 anni e un bambino di 6 mesi, entrambe venivano dal villaggio di Kwee Law Plo: sono state fermate, violentate e uccise dai soldati birmani. Le donne sono spesso incarcerate e violentate nelle basi militari per mesi: nell’85% dei casi gli ufficiali violentano le ragazze per poi passare le vittime alle truppe per stupri di gruppo o per essere uccise, soffocate, pugnalate o bruciate, con il corpo che spesso è esposto come monito per la comunità.
Alcune sopravvissute sono state trovate in stato d’incoscienza: Naang Hla, incinta di 7 mesi, dopo essere stata stuprata è rimasta sola in un rifugio nella giungla con diarrea e perdite di sangue, non riusciva né a camminare né a stare in piedi, e dopo 4 giorni ha partorito in uno stato confusionale;
una bambina di 5 anni è stata trovata legata e semicosciente in una pozza di sangue, portata di corsa in ospedale, è stata ricucita per le lesioni gravissime riportate alla vagina lacerata dallo stupro
Le superstiti a questo scempio non hanno alcun sostegno in Birmania e non possono ottenere giustizia, e il fatto più grave è che sono completamente isolate dal resto del mondo in quanto le agenzie internazionali per i diritti umani non hanno accesso in Birmania.Lo stupro ha echi lontani, è un certo modo di vedere la donna che ha radici difficili da sradicare sia in tempi di pace che in tempi di guerra: se la donna è considerata meno di niente in una società, sarà facile bersaglio nei momenti di tensione.
In Nepal la violenza sessuale veniva usata da esercito e polizia come arma di punizione per le donne che si univano all’esercito maoista e spesso gli stupri avvenivano in pubblico. Nel conflitto tra Pakistan e Bangladesh nel ‘71 sono state stuprate circa 200 mila donne e se nessuna di queste ha mai ricevuto giustizia non c’è da stupirsi perché se in Bangladesh la legge sulla violenza sessuale prevede che lo stupro abbia testimoni, in Pakistan la Hodood Ordinance impone che uno stupro sia provato da 4 testimoni maschi e musulmani a carico della vittima la quale, qualora non riesca a provare la violenza, viene accusata di adulterio e va la prigione dove sarà regolarmente stuprata prima di essere lapidata.
“Da sempre lo stupro fa parte dei conflitti, è menzionato nella guerra di Troia e nella Bibbia, e qualcuno potrebbe perfino pensare che sia un danno collaterale. Ma in realtà non è così: lo stupro non è inevitabile”, dice Margotr Wallstrom, rappresentante speciale dell’Onu per le violenze sessuali nei conflitti aggiungendo che “la legislazione internazionale esiste ma il problema è che deve cambiare atteggiamento” in quanto gli stupratori non devono sentire di agire nella più totale impunità.
Un tema, quello della giustizia, riportato anche nel recente rapporto “Progress of the World Women: In Pursuit of Justice” (Il progresso delle donne nel mondo: alla ricerca della giustizia), redatto dalla UN Women, l’agenzia dell’Onu per le donne presieduta da Michelle Bachelet, ex presidente del Cile e ora Executive Director di UN Women, in cui si legge che troppo spesso “i crimini contro le donne non vengono divulgati” e che “milioni di donne nel mondo continuano a subire ingiustizia, violenze e disparità nelle loro case, nel loro posto di lavoro e nella loro vita sociale”, fattori che rendono difficile il superamento reale di una disparità tra uomini e donne.