Era il 1976 e Susan Brownmiller, autrice di uno dei primi manifesti sulla violenza di genere (Contro la nostra volontà. Uomini, donne e violenza sessuale), scriveva: “La difesa delle donne è stata fin dalla notte dei tempi un simbolo dell’orgoglio maschile, così come il possesso delle donne è stato un simbolo del successo maschile.
Il corpo di una donna violentata diventa un campo di battaglia rituale, un terreno per la parata trionfale del vincitore
Un concetto che i conflitti etnici degli anni ‘90 hanno ampliato chiarendo, grazie al Tribunale Internazionale per il Ruanda che nel ‘98 sanzionò la violenza sessuale come “crimine di guerra” emettendo poi condanne per gli autori del genocidio, come lo stupro non sia più una “semplice” conseguenza della guerra ma un’arma utilizzata a fini di terrorismo politico, sradicamento di un gruppo, pulizia etnica volontaria. Margot Wallstrom, inviata speciale delle Nazioni Unite per i crimini sessuali in situazioni di conflitto, afferma:
La violenza sessuale è utilizzata dai combattenti come un’arma per instillare paura tra la gente
Inoltre, il fenomeno è diventato sistematico ed esteso, e si registra un incremento dei casi di violenza contro le donne perpetrate da civili consapevoli di non incorrere in sanzioni penali. E’ necessario quindi cambiare il punto di vista che considera lo stupro durante i periodi di conflitto solo come danno collaterale. Lo stupro non è né culturale, né sessuale ma è criminale”. Un’affermazione importante se si pensa che nello stesso periodo in cui è stato messo sotto processo Ratko Mladic, il boia di Srebrenica, è stato catturato anche Bernard Munyagishari, ex leader delle milizie hutu che partecipò al genocidio ruandese con l’eccidio di 800mila persone e che durante quel conflitto creò un reparto speciale per violentare e uccidere le donne.
Oltre al Ruanda, anche il Burundi, Uganda e Angola sono stati accusati delle atrocità avvenute in Congo tra il ‘93 e il 2003 in cui l’uso sistematico dello stupro da parte di tutte le forze combattenti è denunciato in un rapporto delle Nazioni Unite con un documento di 500 pagine che elenca 617 gravi violazioni accertate: “La violenza sessuale è stata una realtà quotidiana che non ha dato tregua alle donne del Congo – si legge nel rapporto – e i diversi gruppi armati hanno commesso violenze sessuali che si iscrivono nel quadro di vere campagne di terrore.
Stupri in pubblico, collettivi, sistematici, incesti forzati, mutilazioni sessuali, donne sventrate, mutilazione degli organi genitali, cannibalismo, tecniche di guerra usate contro la popolazione civile nel conflitto”
Una guerra che dal 2004 ha visto gli stupri aumentare 17 volte. Pochi mesi fa Amber Peterman, autore dello studio pubblicato dall’America Journal of Public Health, ha parlato del dramma congolese come di un fenomeno 26 volte più grave rispetto a quello valutato dall’Onu: “I dati raccolti mostrano quanto le precedenti stime sui casi di violenza sessuale nella Repubblica Democratica del Congo siano ben lontane dal fotografare la reale situazione presente nel Paese” in quanto, secondo questo rapporto, i casi di stupro sarebbero circa 1.100 al giorno su un totale di 400mila donne, tra i 15 e 49 anni, violentate solo tra il 2006 e il 2007 – una media di 48 all’ora, quasi una al minuto – stima basata sui dati delle strutture sanitarie contro le 15.000 registrate dall’Onu e basate sui rapporti della polizia. Secondo un operatore di Medici senza Frontiere in Congo: “Lo stupro è usato come un mezzo per terrorizzare la popolazione e il numero dei casi aumenta con ogni nuovo scoppio di combattimenti e attacchi.
Se le giovani sotto i 18 anni sono più esposte, il gruppo più colpito sono donne tra i 19 e i 45 anni
Ogni giorno violenze inaudite si consumano nella parte orientale della RDC con soldati che provengono da diverse parti ma che compiono le stesse atrocità: “Siamo di fronte a un cancro che si diffonde nel mezzo dell’impunità e del silenzio”, dice Michael van Rooyen, direttore della Harvard Humanitarian Initiative che fatto un’inchiesta su un gruppo di vittime, tra i 3 e gli 80 anni, nell’ospedale Panzi di Bukavu dove il 60% ha subito violenza collettiva da un numero di uomini che varia dai 3 a 15 violentatori a volta. Nei villaggi, a casa, in campagna o durante il tragitto, le donne che incontrano una pattuglia sono spacciate: esiste lo stupro a domicilio, in cui un padre è costretto a violentare le figlie o un figlio a stuprare la madre sotto minaccia di morte; lo stupro di donne dai 70 ai 90 anni o di bambine dai 2 ai 7 anni in quanto, secondo credenze magiche, violentare un’anziana di diversa etnia dà allo stupratore fortuna, virilità e invulnerabilità, mentre lo stupro pedofilo rende immuni dall’Aids o, per chi è infetto, dà guarigione.
Lo stupro può essere seguito anche dal taglio dei seni, distruzione della vagina, distruzione dell’utero fatto con tizzoni ardenti, armi da taglio, canne di fucile o bastoni
Alcune giovani vengono impalate dopo la violenza mentre le ragazze incinte, nei casi più estremi, possono correre il rischio di essere sventrate con la baionetta che serve anche a estrarre il feto. Molte ragazzine, dai 7 ai 15 anni, vengono ridotte in schiavitù e se le più “belle” diventano proprietà dei comandanti, le altre subiscono stupri collettivi giornalieri: una tragedia chiamata “re-rape” in quanto la maggior parte viene violentata più volte e dove si arriva anche all’auto-cannibalismo in cui le vittime sono costrette a mutilarsi e a cibarsi della propria carne. L’aggravante è che le violenze nella RDC provengono sia dalle milizie sia dalle forze statali che ingaggiano stupratori seriali, e anche se la guerra è ufficialmente finita nel 2003, gli scontri proseguono.
La scorsa estate 250 donne e bambini sono stati violentati in pochi giorni nella provincia di Nord-Kivu a pochi passi dai caschi blu, che non sono intervenuti pur avendo una base a 30 km dall’area, e medici dell’ospedale Heal Africa hanno raccontato di pazienti terrorizzati, come una bambina di 10 anni stuprata per ore che non ha parlato per mesi. Per avere un’idea dei responsabili delle violenze in Congo bisogna vedere le fasi di conflitto: all’inizio entrarono in azione (‘94-‘96) l’ex esercito hutu ruandese (FAR), le milizie genocidarie Interahamwe e la FAZ (Forces armees du Zaire); poi, nella guerra di liberazione e Prima Guerra Pan Africana (‘96 – ‘03) i responsabili furono i RASTA e il FDLR, le milizie congolesi Mai Mai, i militari della RDC, le milizie di Bemba, gli hutu burundesi e la FARDC (Forces armees de la Republique Democratique du Congo); nella terza fase, dal 2004 a oggi, i RASTA, il FDLR, i Mai Mai, la FARDC, i ribelli ugandesi LRA e ADF, le milizie tusti del Generale N’Kunda. A questo si aggiungano gli
stupri commessi dagli stessi peacekeepers, un’inchiesta che ha individuato 319 operatori dell’Onu, accusati di abusi sessuali nei confronti delle popolazioni che avrebbero dovuto proteggere
L’Africa è uno dei teatri di guerra più cruenti del mondo, nell’Africa Sub-sahariana gruppi armati in Congo, Somalia, Etiopia, Nigeria, Liberia e molti altri paesi hanno consumato e consumano quotidianamente violenze di ogni tipo contro le donne, come se lo stupro fosse parte integrante degli obiettivi di guerra. In 14 anni di guerra civile liberiana il 40% delle donne ha subito violenze con conseguenze psichiche e fisiche devastanti; nella sanguinosa guerra civile in Sierra Leone migliaia di donne, ragazze e bambine sono state stuprate e ridotte a schiave sessuali.
Un numero imprecisato di donne e ragazze sono state violentate in Darfur, nel Sud Sudan e sui Monti Nuba durante i conflitti, dove bambine di 8 anni venivano stuprate e dove, secondo Amnesty International, venivano spezzate le gambe alle ragazze che scappavano per poi consumare lo stupro. Durante i recenti scontri in Costa d’Avorio una missione di Amnesty International ha appreso che sia le forze del presidente uscente Laurent Gbagbo sia le Forze legate al nuovo presidente Alassane Ouattara, hanno commesso gravi violazioni compresi stupri su donne che hanno raccontato di essere state violentate di fronte ai loro figli, bambini fuggiti in Liberia che hanno riferito a operatori dell’Ong Equip di essere stati costretti a guardare le loro madri mentre venivano stuprate e uccise, e una donna che ha detto di essere stata costretta a guardare soldati mentre violentavano la figlia di 4 anni.