Nell’anniversario della Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo (20 novembre 1959) e della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia(20 novembre del 1989), le parole scorrono a fiumi nel celebrare la “Giornata Universale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza”. Parole “importanti” su quanto sia necessario proteggere i bambini, il loro futuro, la loro crescita: mentre i dati dicono che un bimbo su cinque in Italia è a rischio povertà (Save the Children) e che aumentano i minori che subiscono violenza (Terre des Hommes). Nello specifico:
il 24,4% dei bambini in Italia rischia la povertà, il 18,3% vive in miseria, il 18,6% è in condizioni di deprivazione e il 6,5% di povertà assoluta
L’intreccio di povertà e violenza per i minori si aggrava se, approfondendo i dati, si aggiunge anche la “violenza assistita”, quella violenza tra le mura di casa cui il minore è costretto ad assistere con danni enormi per la sua psiche e per la sua crescita.
Per quanto riguarda la violenza, in Italia i casi registrati dalla polizia di bambini abusati sono passati da 4.178 nel 2009 a 4.293 nel 2010, e tra questi ci sono stati 763 casi di violenza sessuale, 349 vittime di violenza sessuale aggravata, 186 bambini picchiati in famiglia con intervento di assistenza medica e denuncia per abuso dei mezzi di correzione e disciplina. Infine
1.004 bambini hanno subito gravi maltrattamenti in famiglia e 319 sono stati abbandonati
Ancora attuale è la ricerca del progetto Daphne III, Spettatori e Vittime: i bambini e le bambine che assistono ad un atto di violenza, lo subiscono, (Save the Children e Garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Regione Lazio), per cui delle 7 milioni di donne che tra i 16 e i 70 anni hanno subito una violenza fisica (18,8%), sessuale (23,7%), psicologica (33,7%) o stalking (18,8%), ce ne sono sono quasi 700mila che avevano figli al momento della violenza, con un totale di circa 400mila bambini che hanno assistito a violenze.
“La definizione di violenza assistita è ancora troppo vaga – dice l’avvocata Marcella Pirrone – in Germania per esempio si usa il termine ‘vissuta’ mentre in inglese è ‘violenza testimoniata forse per esprimere bene il concetto bisognerebbe usare la parola ‘violenza con-vissuta’”. Marcella Pirrone, avvocata del Coordinamento Internazionale dell’Associazione italiana “D.i.Re” (Donne in Rete contro la violenza) all’interno della Rete Europea dei Centri antiviolenza Wave (Women against Violence Europe), ha stimolato e messo a punto una ricerca, Joint Custody and Domestic Violence in Europe, con avvocate di altri 11 paesi europei (Svezia, Norvegia, Danimarca, Islanda, Austria, Serbia, Portogallo, Italia, Belgio, Armenia, Irlanda), coordinata dall’ufficio Wave, che ha un osservatorio di 4.000 centri antiviolenza in Europa, per la comparazione e l’analisi della violenza assistita dei minori in tutta l’area, una ricerca che oggi si è estesa alla Germania, Gran Bretagna, Francia e Spagna.
“Quando si parla di violenza assistita il sommerso è enorme – continua Pirrone – e non solo in Italia. Noi abbiamo visto che in molti casi nelle denunce di violenza domestica alla polizia non viene registrata la presenza del bambino anche se la madre lo riferisce e solo se il bambino è coinvolto in prima persona viene registrato e ascoltato. A questo si aggiunga che, oltre alla violenza fisica e sessuale, molti danni vengono provocati dalla violenza psicologica o economica, e a volte è vero un supplizio. I minori si abituano a convivere con questa situazione ed è come avere una giostra nel cervello.
Già a 2 o 3 anni i bambini percepiscono esattamente quando sta per scoppiare una violenza in famiglia e si preparano
rifiutandosi di allontanarsi dalla madre, pretendendo di dormire con lei, oppure si nascondono sotto il letto, mentre se sono più grandi cercano di tutelare la madre, di non uscire di casa per paura che la violenza si scateni, e possono anche intromettersi direttamente per difenderla. Un bambino che racconta come il papà picchia la mamma con la cinghia mentre lo guarda dicendo: vedi cosa succede se non si ubbidisce al papà? Come fa a metabolizzare una violenza così forte?
Per il Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia (CISMAI) violenza assistita in ambito familiare significa “fare esperienza da parte del minore di qualsiasi forma di maltrattamento compiuto attraverso atti di violenza fisica come percosse con mani oppure oggetti”, “impedire di mangiare, bere e dormire, segregare in casa o chiudere fuori casa, impedire l’assistenza e le cure in caso di malattia, assistere a violenza verbale, psicologica, svalutare, insultare, isolare dalle relazioni parentali e amicali, minacciare di picchiare, di abbandonare, uccidere, suicidarsi o fare stragi”.
Ma anche “impedire di lavorare, sfruttare economicamente, impedire l’accesso alle risorse economiche, far indebitare”, compiuto su figure di riferimento; a questo si aggiunga la violenza sessuale e le violenze messe in atto da minori su altri minori o su altri membri della famiglia, abusi di cui il minore può fare esperienza direttamente e indirettamente, per cui il sentire il rumore di percosse, rottura di oggetti, grida, insulti, le minacce, pianti, ha un impatto doloroso sul bambino, come anche il percepire la disperazione, l’angoscia e il terrore delle vittime.
“La violenza delle ingiurie è un’altra tortura perché sono frequenti e continue, una denigrazione per il genitore che si sente svalutato davanti ai figli
un’umiliazione fortissima e inquinante anche nel giudizio del bambino – dice Pirrone – che non è più libero di creare un suo pensiero al di là di questo trauma. Il pensare che un minore che assiste a violenza in casa sia esente dalla violenza è sbagliato e la realtà lo dimostra, tanto che in alcuni casi si parla addirittura di corruzione di minori, perché il martellamento continuo di giudizi e azioni deviate hanno poi un risultato di manipolazione sul piccolo che viene minato a livello psicologico e anche fisico”.
Sempre secondo il CISMAI i danni sui minori vanno dai disagi psichici come ansia, paura, serie difficoltà a scuola, iperattività, aggressività e difficoltà dell’attenzione, ma anche insonnia, incubi, reazioni acute come pianto, grida, tremori, fino a blocchi della crescita e ritardi mentali. “Questa ricerca, nata tre anni fa – spiega Pirrone – è stata ideata perché in Europa, oltre alla violenza domestica, c’è l’emersione della violenza che si sviluppa dopo che la coppia si è separata, soprattutto se ci sono minori in affido condiviso.
Il problema è che la violenza domestica viene scambiata per conflittualità e un padre che è stato violento ha lo stesso trattamento di un padre normale
con il grave rischio, come spesso succede che le violenze possano continuare dopo la separazione. In questi casi spesso c’è lo stalking dell’ex marito che usa i figli come arma di ricatto o come detective nei confronti della madre, una situazione di forte impatto psicologico in cui il bambino si trova a dover scegliere da che parte stare.
Ma è possibile anche che la violenza persista nei contatti che i genitori devono avere per forza per la gestione condivisa del minore”. In linea di massima la violenza assistita è ancora poco nominata nei tribunali e non esiste una norma specifica, in Italia ci si rifà agli articoli 330 e 333 del Codice civile in cui si parla di “grave pregiudizio e violenza psicologica sui bambini”, mentre in penale esiste il 572 che è maltrattamento: e anche se è ancora molto soggettiva l’interpretazione dei giudici, c’è una importante sentenza della Cassazione che ha riconosciuto la violenza assistita come reato facendola rientrare nei maltrattamenti.
“Il problema più grande è nei tribunali dove si consumano delle vere e proprie tragedie – conclude – perché a volte si impone il genitore violento anche se c’è un grave pregiudizio e anche se il minore esprime la volontà di non vederlo:
in Portogallo un padre con una sentenza di condanna penale per abuso sessuale sul figlio, poteva vedere il minore perché il giudice sosteneva fosse più importante la figura paterna che non il rischio
Mentre in Italia una bambina abbandonata dal padre, sparito quando lei aveva due anni, è stata costretta ad andare un anno dallo psicologo per un percorso di preparazione perché dopo 9 anni il padre si era ricordato di lei, un padre che è riscomparso dopo pochi incontri minando la psiche della ragazzina”.
Il gruppo di ricerca sta lavorando anche con l’Australia dove l’affido condiviso c’è da 20 anni e perché, a differenza dell’Europa che applica la legge da circa 10 anni, ha già sotto occhi gli effetti devastanti di una mancata regolamentazione e valutazione del rischio in caso di violenza. L’Australia infatti è l’unico paese al mondo che ha cominciato a rivedere e a cambiare alcuni parametri dell’affido condiviso in quanto si è resa conto nei fatti che la violenza domestica e l’affido condiviso sono fattori critici, e che è necessario domandarsi se il diritto alla bigenatorialità debba riconoscere un limite reale in caso di violenza assistita del minore.