{"id":5039,"date":"2016-11-27T07:33:38","date_gmt":"2016-11-27T06:33:38","guid":{"rendered":"http:\/\/bettirossa.com\/?p=5039"},"modified":"2020-03-04T02:07:37","modified_gmt":"2020-03-04T01:07:37","slug":"le-donne-portano-in-piazza-250mila-italian-contro-la-violenza","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/donnexdiritti.com\/2016\/11\/27\/le-donne-portano-in-piazza-250mila-italian-contro-la-violenza\/","title":{"rendered":"Le donne portano in piazza 250mila italiani contro la violenza di genere"},"content":{"rendered":"

Mentre cammino accanto al fiume di persone che scorre per via Cavour a Roma, incontro un\u2019amica che non vedo da un po\u2019 e che, venendomi incontro con il volto sorridente, mi dice: \u201cQuanto tempo lo abbiamo pensato? quante volte abbiamo desiderato di vedere in piazza tante donne come oggi? Tutte quelle riunioni, tutte le cose scritte, tutte le nottate fatte, e guarda oggi, guarda quante persone in piazza abbiamo portato. Oggi noi donne abbiamo vinto, dovranno farsene una ragione\u201d<\/strong>. \u00c8 vero, ieri quella che ha attraversato Roma \u00e8 stata un\u2019onda che in un pomeriggio d\u2019autunno ha travolto le strade. Il giorno dopo la Giornata internazionale contro la violenza maschile,<\/p>\n

l\u2019Italia ha detto s\u00ec al diritto di ogni donna a vivere libera dalla violenza quotidiana<\/p><\/blockquote>\n

Una data che rimarr\u00e0 storica, quella del 26 novembre, in cui nella Capitale il gruppo di donne dietro lo striscione \u201cNon una di meno<\/a>\u201d, che ormai conta migliaia di adesioni, sono state seguite da 250 mila persone provenienti da ogni parte del Paese per sfilare da piazza Esedra e San Giovanni in un corteo fatto da tutti: maschi, femmine, bambini, bambine, studenti e studentesse, persone di ogni et\u00e0, <\/strong>e ognuna portatrice di una realt\u00e0 diversa. Un\u2019onda colorata, danzante, pacifica e aperta a tutti, che ha avuto il coraggio di rendere visibile la propria forza senza gridare. Nessuna bandiera di partito, nessuna istituzione, solo un unico grande fiume: donne che ogni giorno combattono sul campo come guerriere in prima linea, donne che ci rimettono i soldi, la vita, gli spazi privati, perch\u00e9 sono convinte che quello che stanno facendo \u00e8 giusto e va fatto malgrado, o proprio a causa, delle inefficienze dello Stato e di fronte a istituzioni che continuano a pronunciare<\/p>\n

promesse senza seguito, patti non rispettati, parole che cadono inesorabilmente nel vuoto, in un Paese famoso per le sue buone norme mai pienamente applicate<\/p><\/blockquote>\n

L\u2019Italia oggi si sveglia cos\u00ec, con centinaia di migliaia di essere umani che finalmente sono scesi in piazza per rivendicare diritti negati: donne, uomini, bambini e bambine, ma anche trans, lesbiche, gay, diversamente abili accanto a quelle donne che a partire dalla rivendicazione di un contrasto reale alla violenza maschile,<\/strong> sono riuscite a far diventare quella piazza, la piazza dei diritti, quelli mai rispettati o addirittura violati, quelli che fanno capire il grado di civilt\u00e0 di un Paese.<\/p>\n

\"\"
La manifestazione a Roma<\/figcaption><\/figure>\n

\u201cNon siamo pi\u00f9 disposte a perdere in alcuna parte del mondo nessuna donna per mano di un uomo o a causa dell\u2019obiezione di coscienza o per qualsiasi altra forma di violenza\u201d, dice Tatiana Montella della rete Io Decido, uno dei gruppi promotori di Non una di meno insieme a Udi (Unione donne in Italia) e D.i.Re (Rete dei centri antiviolenza). In piazza ci sono centri antiviolenza e associazioni sparse per tutto il territorio nazionale: da Firenze, Lecce, Brindisi, Terni, dalla Sicilia al Piemonte, insieme alle donne ucraine che ballano l\u2019hopak, le musulmane che cantano, e sopratutto tantissimi uomini che ritengono che il patriarcato non solo non sia morto ma che sia qualcosa che riguarda anche loro. Gli slogan sono nuovi e vecchi: da \u201cCome mai noi non decidiamo mai, d\u2019ora in poi decidiamo solo noi\u201d a \u201cInsieme siamo venute, insieme torneremo, Non una di meno, non una di meno\u201d.\u00a0<\/strong><\/p>\n

Una piazza che viene dal basso, ordinata e spedita anche grazie a un\u2019organizzazione eccellente<\/p><\/blockquote>\n

Sui cartelli scritte che inneggiano alla libert\u00e0 dei corpi, alla piena applicazione della 194 contro l\u2019obiezione di coscienza, la fine della precarizzazione del lavoro e contro le molestie, ma soprattutto si chiede uno stop definitivo al femminicidio con le foto delle donne uccise dall\u2019inizio dell\u2019anno attaccate a un cartellone. \u201cOggi si parla di una donna uccisa ogni 3 giorni \u2013 dice Vittoria Tola dell\u2019Udi – ma in realt\u00e0 non sappiamo cosa succede veramente riguardo la violenza sulle donne. <\/strong>Non abbiamo dati dei pronto soccorso, delle forze dell\u2019ordine, i dati sui processi e sulle condanne, quelli dei servizi territoriali, dalle assistenti sociali e dei comuni. Abbiamo solo i dati, non completi, dei centri antiviolenza, e due indagini Istat in quasi 10 anni\u201d. Quello che manca \u00e8 in definitiva non solo i soldi, su cui \u00e8 giallo dato che il governo dice sempre che sono stati stanziati mentre alcuni centri muoiono di fame e chiudono per mancanza di fondi, ma<\/p>\n

un piano che contrasti la violenza con piena applicazione delle norme esistenti<\/p><\/blockquote>\n

prima fra tutte l’implementazione della Convenzione di Istanbul <\/a>(Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica<\/em>) – e non solo riguardo il femminicidio ma anche riguardo altri diritti tra cui\u00a0l\u2019applicazione della 194: un piano che comporta un serio lavoro su una trasformazione culturale molto citata nei discorsi ma mai effettivamente pianificata con strumenti adatti.<\/p>\n

\"\"Due giorni fa \u00e8 stato presentato lo spot della Rai per la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, che ricorreva il 25 novembre, in cui vengono intervistati bambini e bambine che dicono davanti a una telecamera: Io voglio fare la veterinaria, la stilista, il musicista, e poi a un certo punto una bambina dice \u201cQuando sar\u00f2 grande finir\u00f2 in ospedale perch\u00e9 mio marito mi picchia\u201d. Un messaggio in cui la televisione di Stato d\u00e0 per scontato che nella vita di una donna debba in ogni modo essere compresa la violenza, pi\u00f9 o meno in linea con quello che in \u201cTransforming a Rape Culture<\/a>\u201d, Emilie Buchwald,\u00a0Pamela R. Fletcher e Martha Roth definiscono come \u201ccultura dello stupro\u201d, ovvero<\/p>\n

\u201cUna cultura che condona come normale il terrorismo fisico ed emotivo contro donne\u201d e in cui \u201csia gli uomini che le donne assumono che la violenza sia un fatto della vita inevitabile\u201d<\/p><\/blockquote>\n

Spot la cui rimozione immediata \u00e8 stata chiesta dai comitati delle pari opportunit\u00e0 della Federazione nazionale della stampa italiana (FNSI), dell\u2019Usigrai e della stessa Rai, dalla societ\u00e0 civile, come il gruppo \u201cRebel Rebel\u201d che ha lanciato una petizione online<\/a>, e naturalmente da \u201cNon una di meno\u201d che ha scritto una lettera aperta alla presidente della Rai<\/a>, Monica Maggioni, per far ritirare lo spot.<\/p>\n

\"\"Da quando nel 2006 l\u2019informazione identificava con lo “stupratore tipo” l\u2019immigrato rumeno, malgrado l\u2019Istat ci dicesse che l\u201980% della violenza maschile sulle donne era agito da partner o ex e quindi maschi adulti bianchi,<\/strong> le cose sono cambiate ma non abbastanza.
\nLa presentazione nel 2011 del Rapporto ombra alle Nazioni Unite fatto dalle associazioni sulla non completa applicazione della
Cedaw <\/a>(Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna<\/em>) in Italia, la successiva mobilitazione delle donne il 13 febbraio dopo 20 lunghi anni di Berlusconi<\/strong> (con tutto quello che quel periodo ha comportato nell\u2019esasperare l\u2019oggettivizzazione del corpo femminile), le Raccomandazioni delle Nazioni Unite riguardo la necessit\u00e0 di una trasformazione culturale del nostro Paese – sia per porre fine alla discriminazione delle donne sia per contrastare la violenza maschile in maniera sistematica – e soprattutto la ratifica della Convenzione di Istanbul passata sotto la pressione della societ\u00e0 civile, hanno contribuito a un cambiamento reale che in questi ultimi dieci anni ha fatto diventare<\/p>\n

il femminicidio una parola di uso comune e la violenza come un problema di tutti<\/p><\/blockquote>\n

Un lavoro a 360 gradi fatto dalle donne e dall\u2019associazionismo in cui tutte hanno lavorato nei propri spazi di azione \u2013 a lavoro, in ambito privato, o nelle diverse forme di attivismo e professioni \u2013 e che hanno fatto fare grandi passi in avanti a tutta la societ\u00e0, e questo in un contesto in cui le istituzioni hanno a volte accolto le richieste<\/strong> (facendone anche battaglie personali nei casi pi\u00f9 felici), ritardando per\u00f2 troppo spesso gli interventi, o addirittura ostacolando il cambiamento, e questo sotto gli occhi di tutti.<\/p>\n

Un equilibrio ormai traballante che finalmente si \u00e8 rotto con la manifestazione di ieri che \u00e8 il prodotto sia di questo instancabile lavoro delle donne nei vari ambiti \u2013 proseguito in diversi segmenti e accelerato in questi ultimi anni proprio sul tema della violenza maschile – sia dall\u2019aver saputo, a un certo punto, mettere da parte le differenze per unirsi su obiettivi comuni, seppur faticosamente.<\/p>\n

\"\"Alla vigilia del 25 novembre, Elizabeth Huayita<\/a> di 29 anni, \u00e8 stata uccisa dal compagno, Vittorio Fernando Vincenzi, davanti ai bambini a Seveso in una dinamica molto comune: una storia finita dove l\u2019idea di perdere il possesso della donna con cui conviveva ha portato l\u2019uomo a uccidere la compagna,<\/strong> mentre lei, che non si era mai rivolta a un centro antiviolenza, probabilmente non aveva chiara la valutazione del rischio che stava correndo. E questo accadeva mentre l\u2019Eures ci diceva che le donne uccise con movente di genere in Italia quest’anno sono 116 e che la maggior parte dei femmicidi avviene in relazioni intime,<\/strong> perch\u00e9 malgrado sia vero che la violenza sulle donne in Italia sia in calo, esiste sempre lo zoccolo duro della violenza domestica e degli stupri<\/strong>: una violenza che in generale \u00e8 diventata pi\u00f9 crudele, pi\u00f9 efferata, dove le donne che denunciano sono in aumento ma non sono ancora abbastanza (solo il 36%).<\/p>\n

Ma perch\u00e9 le donne non denunciano? Perch\u00e9 le donne in Italia non si sentono protette, e se una donna decide di denunciare e si sente dire che se l\u2019\u00e8 cercata, o addirittura non \u00e8 creduta<\/p><\/blockquote>\n

e quindi non viene protetta perch\u00e9 la stessa istituzione che dovrebbe proteggerla sottovaluta il rischio e non applica le norme che comunque si dovrebbero-potrebbero applicare per evitare che venga colpita di nuovo, rivittimizzata o uccisa, quella donna continuer\u00e0 a prendere le botte a casa, dato che potrebbe anche perdere i figli. Una settimana\u00a0<\/strong>fa un giudice che si \u00e8 visto davanti una donna massacrata ha scarcerato e non ha ordinato l\u2019allontanamento del partner perch\u00e9 anche lui aveva dei lividi<\/a>, <\/strong>dato che lei aveva osato difendersi, e quindi ha deciso che non era violenza ma i due avevano litigato e anche lei gliele aveva suonate.<\/strong> Oltre alla vittimizzazione secondaria, che induce la donne a non denunciare, c\u2019\u00e8 poi la scarsa valutazione del rischio che viene sempre imputata alla donna che vive una violenza<\/strong> – ma come faceva lei a stare con uno cos\u00ec? \u2013 senza considerare che sono proprio le istituzioni a non riconoscerla \u2013 aveva denunciato tre volte ma \u00e8 stata uccisa.<\/p>\n

\"\"In Italia pu\u00f2 accadere che le donne perdano l\u2019affidamento dei propri figli perch\u00e9 dopo aver denunciato una violenza del partner si possono ritrovare in un Tribunale ordinario o dei minori che non considerando la situazione come violenza ma conflitto, valutino i genitori sullo stesso pian<\/strong>o e interpretino lo stato della donna, che magari subisce violenza da anni in casa, come instabile da psicologi che relazioneranno in una Ctu che codesta madre non \u00e8 affidabile, anzi malevola. <\/strong>Al di l\u00e0 delle promesse delle istituzioni, in Italia le donne, i bambini e le bambine che vivono la violenza maschile sono in un mare di guai:<\/p>\n

un mondo in cui entri e non sai n\u00e9 come n\u00e9 quando potrai uscire e dove se incontri la persona giusta hai delle possibilit\u00e0, altrimenti sar\u00f9 un calvario<\/p><\/blockquote>\n

Quindi sia nel contrasto che nella prevenzione, malgrado i passi avanti fatti con grande fatica, le mancanze sono ancora enormi: nei tribunali, nelle forze dell\u2019ordine, nei pronto soccorso, nell\u2019ancora esiguo numero dei rifugi e dei centri antiviolenza che vivono con fatica, nell\u2019ascolto, nell\u2019accoglienza,<\/strong> nella rilevazione dei dati, nella scuola, nella narrazione del fenomeno e quindi nella trasformazione culturale – che \u00e8 un nodo fondamentale della prevenzione. E questo in un ambito di diritti fondamentali come quello di vivere una vita fuori dalla violenza.<\/p>\n

\"\"Ed \u00e8 davanti a tutto questo che le donne hanno deciso non solo di manifestare la propria presenza, forse considerata finora troppo sotterranea, ma anche di scrivere un Piano antiviolenza femminista, grazie a un sapere che, sebbene non riconosciuto n\u00e9 preso in considerazione da chi governa, \u00e8 pi\u00f9 che prezioso perch\u00e9 accumulato in anni di lavoro sul campo. Un percorso di scrittura di un Piano femminista contro la violenza che inizia oggi a Roma alla Facolt\u00e0 di Psicologia, e che arriva dopo che, malgrado le richieste,<\/strong> nessuno si \u00e8 mai immaginato di valutare l\u2019esito del primo Piano antiviolenza della ex ministra Carfagna, e dopo l\u2019ennesima brutta figura del governo con il Piano antiviolenza<\/a> straordinario (come se la violenza che \u00e8 strutturale avesse bisogno di un piano d\u2019emergenza e in cui si \u00e8 fatto finta di chiamare ai tavoli una parte delle associazioni), rimesso poi subito nel cassetto per la vergogna.<\/p>\n

Ora che le donne sono scese in piazza, dove \u00e8 stata\u00a0dimostrata una forza eccezionale nel richiamare centinaia di migliaia di persone alla protesta su diritti<\/p><\/blockquote>\n

sempre pi\u00f9 corrosi, si incontreranno in otto tavoli: dal piano giuridico, alla salute, scuola, narrazione, fino al sessismo, lavoro, migranti e ai percorsi di fuoriuscita dalla violenza<\/strong>. In particolare su alcuni tavoli \u00e8 interessante notare come gi\u00e0 dalle prime indicazioni sia chiaro quale sia la strada da fare\u00a0e quali sono le disfunzioni su cui lavorare.<\/p>\n

\"\"<\/strong>Per il piano legislativo, ad esempio, si legge che \u201cl\u2019effettivit\u00e0 del quadro legislativo esistente \u00e8 compromessa dall\u2019assenza di specializzazione di tutti gli operatori coinvolti, dalla mancanza di coordinamento tra il sistema penale, civile e minorile e dalla non tempestivit\u00e0 della risposta delle istituzioni\u201d, e che \u201ci principi della Convezione di Istanbul, si scontrano, nella pratica, in ambito penale, con la mancata applicazione delle misure cautelari, l\u2019inadeguatezza della tutela processuale delle vittime\/testimoni; lo scarso riconoscimento degli strumenti risarcitori;<\/strong> in ambito civile, con provvedimenti in materia di affidamento dei figli minorenni che non tengono conto della violenza assistita e di misure volte a garantire la sicurezza dei minori nell\u2019esercizio del diritto di visita\u201d: un quadro che gi\u00e0 di per s\u00e9, in queste 5\u00a0righe, dovrebbe mettere in allarme qualunque ministro della giustizia.<\/p>\n

Per il lavoro al tavolo si parler\u00e0 \u201cdi 1 milione 224mila donne tra i 15 e i 65 anni che hanno subito molestie o ricatti sessuali pari all\u20198,5% delle lavoratrici attuali o passate\u201d<\/strong>, mentre per la salute riproduttiva si affronter\u00e0 la violenza \u201cprima, durante e dopo il parto\u201d, e un’obiezione di coscienza che \u201cormai ha quasi svuotato di senso la legge 194, sia per quanto riguarda il diritto all\u2019aborto sia per la contraccezione di emergenza\u201d, e che con la morte di Valentina Milluzzo ci fa capire come in Italia oggi il femminicidio non solo non sia adeguatamente contrastato all\u2019interno delle relazioni intime, ma stia ormai entrando a pieno titolo anche negli ospedali.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

Mentre cammino accanto al fiume di persone che scorre per via Cavour a Roma, incontro un\u2019amica che non vedo da un po\u2019 e che, venendomi incontro con il volto sorridente, mi dice: \u201cQuanto tempo lo abbiamo pensato? quante volte abbiamo desiderato di vedere in piazza tante donne come oggi? 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