{"id":4266,"date":"2014-11-01T17:15:11","date_gmt":"2014-11-01T17:15:11","guid":{"rendered":"http:\/\/bettirossa.com\/?p=4266"},"modified":"2020-03-02T08:28:29","modified_gmt":"2020-03-02T07:28:29","slug":"stato-dimpunita-permanente-cucchi-e-gli-altri","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/donnexdiritti.com\/2014\/11\/01\/stato-dimpunita-permanente-cucchi-e-gli-altri\/","title":{"rendered":"Stato d\u2019impunit\u00e0 permanente"},"content":{"rendered":"

Il fatto non sussiste, il fatto non costituisce reato, quindi nessuno \u00e8 colpevole per la morte di Stefano Cucchi. Questa la sentenza dalla Corte d\u2019Appello di Roma arrivata ieri come un macigno sulla famiglia Cucchi – ma anche su tutt* noi \u2013 sulla morte di un ragazzo che, fermato dalle forze dell\u2019ordine per 20 grammi di droga leggera, mor\u00ec una settimana dopo nell\u2019ospedale Sandro Pertini di Roma sotto la custodia di uno Stato che avrebbe dovuto tutelare i suoi diritti di cittadino. Un macigno, uno schiaffo per l\u2019intero Paese che guarda ancora oggi le foto scattate al corpo scheletrico e tumefatto di Stefano Cucchi, su cui non \u00e8 possibile avere dubbi riguardo l\u2019accanimento disumano che qualcuno ha agito su di lui.<\/p>\n

Un risultato, l\u2019assoluzione di ieri, su cui la famiglia annuncia una causa contro il ministero della Giustizia e su cui la sorella Ilaria ha dichiarato senza dubbio alcuno: \u201cPer fermarmi devono uccidermi\u201d, aggiungendo \u201cNon ce l\u2019ho con i giudici di appello ma adesso da cittadina comune mi aspetto il passo successivo e cio\u00e8 ulteriori indagini, cosa che chieder\u00f2 al procuratore capo Pignatone\u201d.<\/strong> Una voglia di verit\u00e0 che porter\u00e0 il caso in Cassazione e alla Corte Europea e che sar\u00e0 una battaglia di tutti coloro che non vogliono essere presi in giro da uno Stato che se predica i diritti non pu\u00f2 non andare a fondo sulle responsabilit\u00e0 di fatti criminosi cos\u00ec evidenti. Una sentenza che, tra le altre cose, suona malissimo proprio a pochi giorni di distanza dalla presentazione del Rapporto dell\u2019Italia sui diritti umani alle Nazioni Unite, che gi\u00e0 nel 2009 aveva raccomandato al\u00a0Paese\u00a0(nelle sue 92 raccomandazioni) di inserire nell\u2019ordinamento il reato di tortura <\/strong>– come prevenzione anche a questi abusi di potere \u2013 che \u00e8 ancora sulla carta e a cui il governo ha risposto con un \u201clo stiamo facendo\u201d.<\/p>\n

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Ilaria Cucchi espone la foto del fratello Stefano davanti alla Corte d’appello dopo aver ascoltato la sentenza di assoluzione<\/figcaption><\/figure>\n

Una mancanza grave, una sentenza che lascia attoniti ma che a leggere attentamente tra le righe contiene un subdolo ammonimento: oggi \u00e8 toccato a lui ma potrebbe toccare a chiunque, e fate attenzione perch\u00e9 \u00e8 legale. Un\u2019affermazione forte basata su una domanda precisa: quali diritti tutela uno Stato che sancisce l\u2019impunit\u00e0 di chi colpisce con tanta violenza quando gli autori sono coloro che dovrebbero\u00a0invece tutelare quegli stessi diritti? e quale credibilit\u00e0 ha questo Stato nel momento in cui un cittadino o una cittadina chiede aiuto? E perch\u00e9, quindi, una donna che subisce violenza dovrebbe denunciare a chi della violenza ne fa un metodo di controllo sociale, rendendola cos\u00ec\u00a0normale a tutti gli effetti in quanto impunita?<\/strong><\/p>\n

Ma Stefano Cucchi non \u00e8 il solo caso eclatante di chi \u00e8 morto sotto le mani di questo Stato, a lui si aggiungono tanti nomi<\/p><\/blockquote>\n

tra cui Federico Aldrovrandi, Giuseppe Uva, Michele Ferrulli, Stefano Brunetti, Riccardo Rasman, tutti morti mentre erano sotto la custodia di chi ha scelto di servire lo Stato per proteggere e difendere i cittadini e le cittadine: nelle caserme, in carcere, nelle strade, ovunque. Morti su cui ha regnato, e regna, omert\u00e0 e menzogna per uno Stato che non vuole ammettere le sue di violazioni e le sue storture.<\/p>\n

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Federico Aldovrandi<\/figcaption><\/figure>\n

Ma vediamo come rendere reali queste parole cos\u00ec dure. Federico Aldrovandi \u00e8 morto nel 2005 a Ferrara durante \u201cun controllo di polizia\u201d, picchiato fino a morire, pestato a sangue da chi lo aveva fermato.<\/strong> Un caso in cui solo la lotta della madre, Patrizia Moretti, ha permesso che non fosse archiviato, e che ha portato alla condanna in Cassazione dei quattro poliziotti che quella notte massacrarono suo figlio che aveva solo 18 anni. Condanna che cost\u00f2 a Patrizia Moretti insulti e invettive online contro lei e il figlio morto, in quanto un tutore dell\u2019ordine \u00e8 al di sopra della legge e pu\u00f2 fare quello che vuole.<\/p>\n

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Giuseppe Uva<\/figcaption><\/figure>\n

viene invece fermato a Varese nel 2008 e una volta arrivato in caserma viene massacrato, tanto che l\u2019amico con cui era stato fermato chiama l\u2019ambulanza sentendo le urla di Uva da un\u2019altra stanza<\/strong>. Una testimonianza, quella dell\u2019amico, che non sar\u00e0 valutata se non alla fine, mentre alla famiglia sar\u00e0 riconsegnato un corpo privo di vita pieno di ecchimosi sul volto e su altre parti, e gli indumenti sporchi di sangue con macchie rosse tra pube e ano.<\/p>\n

Tre casi, quelli di Cucchi, Aldrovandi e Uva, che valgono per tutti e che sono testimoniati da foto di volti e corpi tumefatti, ricoperti di lividi, corpi massacrati e torturati, a riprova di una verit\u00e0 insabbiata perch\u00e9 scomoda. Ma c\u2019\u00e8 anche chi \u00e8 sopravvissuto al braccio armato della legge e che pu\u00f2 raccontare di persona quello che \u00e8 successo.<\/p>\n

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Stefano Gugliotta<\/figcaption><\/figure>\n

Come nel caso del 25enne Stefano Gugliotta, pestato dagli agenti vicino allo stadio Olimpico durante la partita Roma-Inter nel 2010, in cui il ragazzo non solo \u00e8 stato picchiato ma \u00e8 stato accusato di resistenza a pubblico ufficiale.<\/strong> Un caso dove solo il video fatto da un testimone ha dimostrato come fosse stato il ragazzo ad essere aggredito da un gruppo di celerini senza nessuna aggressione da parte sua. Oppure Paolo Buglione, che pestato senza alcun motivo e manganellato alla testa mentre saliva sul bus dopo la partita, ha oggi un grave handicap al 100%: fatica a muovere braccia e gamba e anche a parlare.<\/p>\n

Diritti violati nell’indifferenza pi\u00f9 totale per una violenza di Stato che dal G8 in poi (2001) \u2013 dove molti dei responsabili di quelle gravi violazioni dei diritti umani sono sfuggiti alla giustizia rimanendo impuniti – \u00e8 diventata sempre pi\u00f9 prassi, come dimostrano le manganellate date \u201cper sbaglio\u201d<\/strong> pochi giorni fa dalle forze dell\u2019ordine in testa agli operai che manifestavano a Roma contro la chiusura delle acciaierie di Terni-Ast. Un avvertimento, quello della violenza legale contro vittime inermi, che in un momento di crisi come quella italiana, le manovre di austerity del governo ha messo in conto per controllare un eventuale risveglio del malcontento sociale in\u00a0piazza. Non errori, quindi, ma una precisa metodologia di controllo sociale, che a volte pu\u00f2 culminare in fatti criminosi, e che per questo non \u00e8 considerata grave violazione.<\/p>\n

Come racconta Antonio Crispino nella sua inchiesta per il Corriere della sera<\/a>, in carcere ci sono stati \u201c2.230 decessi in poco pi\u00f9 di un decennio”. Crispino parla anche di “Quasi un morto ogni due giorni. Morte naturale, arresto cardio-circolatorio, suicidio. Queste le cause pi\u00f9 comuni. Quelle scritte sulle carte.<\/strong> Poi ci sarebbero i casi di pestaggio, di malasanit\u00e0 in carcere, di detenuti malati e non curati, abbandonati, le istigazioni al suicidio, le violenze sessuali, le impiccagioni a pochi giorni dalla scarcerazione o dopo un diverbio con il personale carcerario”, e le chiama “le ombre del sistema\u201d. Inchiesta che parla di celle singole speciali (come la cella 24 del carcere di Opera) che esistono in molti penitenziari e che viene nominata come \u201ccella zero, cella interrata, cella frigorifera, cella nera, cella estiva\/invernale\u201d, un luogo di possibile non ritorno, come \u00e8 successo a Cucchi e Aldovrandi, e a tutti quelli su cui l\u2019opinione pubblica sa poco o nulla: come Marcello Lonzi, Manuel Eliantonio, Carlo Saturno, Bohli Kaies, Raffaele Montella, Aldo Tavola, Stefano Guidotti, Antonino Vadal\u00e0, Mauro Fedele, Gregorio Durante, Giuseppe Rotundo, e tantissimi altri.<\/p>\n

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Katiuscia Favero<\/figcaption><\/figure>\n

Storie poco chiare come quella del suicidio di Katiuscia Favero, ritrovata impiccata il 16 Novembre 2005 in ginocchio su una recinzione bassa e leggera, con i pantaloni striati di erba e fango dietro cosce e glutei<\/strong> – come se fosse stata trascinata – e le suole perfettamente pulite, nel recinto interno dove l\u2019accesso avviene solo con un pass in dotazione esclusivamente al personale medico nelle ore notturne. Katiuscia Favero che aveva denunciato\u00a0un medico e due infermieri <\/strong>dell\u2019Opg di Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova, per stupro <\/strong>e che fu rimandata al carcere di Genova dove, a seguito della violenza da lei denunciata 20 giorni prima, venne visitata con il risultato di un referto ginecologico in cui si riferivano<\/p>\n

lacerazioni \u201calle ore 6\u201d, cio\u00e8 nella parte inferiore esterna vaginale: un particolare che attestava il fatto in maniera inequivocabile perch\u00e9 significava che la donna tentava di tenere gi\u00f9 le gambe durante la violenza<\/p><\/blockquote>\n

Un referto per\u00f2 che poi spar\u00ec nel nulla, tanto che nel 2008 furono assolti sia il medico che gli infermieri denunciati da Katiuscia, per mancanza di prove. Eppure le morti in carcere, i suicidi e i decessi poco chiari, i pestaggi, sono stati analizzati da \u201cMorire in carcere<\/a>\u201d, indagine curata dal Centro Studi di Ristretti Orizzonti, che ha fatto un dossier su \u201cle reali condizioni del carcere, a cominciare dallo stato di difficolt\u00e0 e, a volte, di abbandono in cui si trova la sanit\u00e0 penitenziaria\u201d<\/strong>: \u201cpagine che raccolgono tutto quello che sappiamo sui detenuti morti\u201d. Qui si analizzano \u201ci casi nei quali la causa della morte non \u00e8 circostanziata a sufficienza\u201d, con uso di termini generici come \u201cmalore\u201d o \u201carresto cardiocircolatorio\u201d e i casi di overdose da droghe, psicofarmaci, alcool, gas delle bombolette da camping; ma anche i casi \u201cnei quali le versioni ufficiali presentano zone d\u2019ombra e incongruenze tali da far nascere il sospetto che mascherino episodi di maltrattamenti a opera di agenti o di violenza da parte altri detenuti\u201d.<\/p>\n

\"\"<\/p>\n

Il primo gruppo \u00e8 il pi\u00f9 consistente, su questi \u201cil riserbo degli operatori e dei magistrati \u00e8 strettissimo”. Il secondo gruppo \u00e8 rappresentato dai \u201ccasi nei quali c\u2019\u00e8 il sospetto che la morte sia stata causata da un pestaggio<\/strong>, compiuto da agenti, oppure da altri detenuti\u201d e \u201csi tratta di possibili casi di omicidio che, in attesa degli esiti dell\u2019inchiesta giudiziaria, sono comunque catalogati come morti per cause naturali\u201d. Come il suicidio di Luigi Acquaviva<\/strong>, morto nel carcere di Nuoro nel 2000 e su cui otto poliziotti penitenziari furono messi sotto indagine, che mor\u00ec nella sua cella impiccato alle sbarre con un cappio costituito da una serie di calzini annodati. Una versione ufficiale a cui i familiari di Acquaviva non avevano creduto, avvalorati dalla perizia necroscopica dei consulenti del pubblico ministero, Vindice Mingioni e Roberto Demontis, che certificarono un fatto inequivocabile: e cio\u00e8 che alcune ore prima della morte <\/strong><\/p>\n

Acquaviva sub\u00ec un violentissimo pestaggio, presentando ecchimosi su tutto il corpo, violenti traumi agli arti, alla testa, mentre mancavano lembi di pelle<\/p><\/blockquote>\n

\u201cUn uomo fortemente debilitato \u2013 dice il dossier – che stando alla ricostruzione ufficiale avrebbe trovato la forza di impiccarsi, e che, per di pi\u00f9, avrebbe dovuto essere sorvegliato a vista\u201d. O come Mauro Fedele<\/strong>, morto nel 2002 nel carcere di Cuneo, su cui la versione ufficiale parl\u00f2 di arresto cardiocircolatorio malgrado Giuseppe Fedele, padre di Mauro, lanciasse accuse contro gli agenti di custodia dicendo che il corpo del figlio era \u201cpieno di lividi, con ha la testa fasciata e segni blu su collo, sul petto, specialmente a destra, come uno zoccolo di cavallo\u201d, e dichiarando che era chiaro che il figlio fu\u00a0\u201criempito di botte, forse con i manganelli\u201d, e che quindi era morto per questo.<\/p>\n

Un dossier, quello di \u201cMorire in carcere<\/a>\u201d in cui si dice\u00a0apertamente\u00a0che \u201ca riprova del fatto che i pestaggi compiuti dagli agenti non sono eventi rarissimi\u201d, esiste \u201cil numero consistente di procedimenti penali dei quali danno notizia i giornali\u201d<\/strong>: fatti su cui \u201cper un detenuto \u00e8 arduo denunciare d\u2019essere stato picchiato, perch\u00e9 \u00e8 esposto al rischio di ritorsioni, e perch\u00e9 sa che potr\u00e0 vincere la causa soltanto producendo prove inconfutabili\u201d in quanto\u00a0\u201caltrimenti sar\u00e0 lui ad essere condannato per calunnia\u201d. Raccolta di prove che nel carcere \u201cviene spesso ostacolata\u201d, alimentando cos\u00ec \u201cil ragionevole sospetto che le denunce depositate in procura rappresentino soltanto la punta di un iceberg, dalle dimensioni difficilmente verificabili\u201d.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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