{"id":3984,"date":"2017-07-06T11:37:59","date_gmt":"2017-07-06T09:37:59","guid":{"rendered":"http:\/\/bettirossa.com\/?p=3984"},"modified":"2021-03-04T09:25:10","modified_gmt":"2021-03-04T08:25:10","slug":"i-danni-di-una-informazione-che-sostiene-la-cultura-dello-stupro","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/donnexdiritti.com\/2017\/07\/06\/i-danni-di-una-informazione-che-sostiene-la-cultura-dello-stupro\/","title":{"rendered":"Femminicidio: per un’informazione che superi la rivittimizzazione"},"content":{"rendered":"

Si parla spesso di un cambiamento culturale per contrastare la violenza contro le donne in quanto fenomeno strutturale. Ma cosa significa cambiare la cultura? La cultura non \u00e8 un qualcosa di estraneo e si pu\u00f2 cambiare solo partendo da noi. Per questo cambiare la cultura, significa cambiare il modo di pensare, con una consapevolezza e una conoscenza che permetta di rintracciare stereotipi e ruoli nascosti nelle pieghe profonde della societ\u00e0, e cos\u00ec tanto radicati nel nostro modo di essere, da risultare quasi invisibili. Stereotipi che sono parte integrante del nostro modo di vivere, e che pongono uomini e donne su piani di superiorit\u00e0 e subalternit\u00e0 in base al sesso, e senza alcuna altra motivazione,<\/strong> condizionando pesantemente le relazioni umane attraverso un pregiudizio. Ruoli definiti, gabbie invisibili ma pesantissime, che sono l\u2019humus su cui proliferano la discriminazione e la violenza di genere con un pregiudizio cos\u00ec interno alla societ\u00e0 che anche l\u2019occhio pi\u00f9 attento pu\u00f2 non rendersi conto.<\/p>\n

Una discriminazione che \u00e8 gi\u00e0 una forma di violenza che considera la donna come un oggetto da conquistare, possedere, controllare, e non un soggetto
\n<\/strong><\/p><\/blockquote>\n

L\u2019aspetto internazionale<\/strong><\/p>\n

\"\"La violenza maschile contro le donne non \u00e8 un fenomeno n\u00e9 nuovo n\u00e9 solo italiano, e i dati dell\u2019Onu ci dicono che nel mondo 7 donne su 10 subiscono una forma di violenza nel corso della vita, e che 600 milioni di donne vivono in nazioni che non considerano questo come reato: una violazione di diritti umani planetaria. Dati su cui si sono concentrati a livello internazionale le Nazioni Unite che hanno siglato una storica carta contro la violenza su donne e bambine alla \u201cCommission on the Status of Women\u201d dell\u2019anno scorso (CSW, 8\/15 marzo 2013), e il Consiglio d\u2019Europa con la \u201cConvenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica\u201d<\/strong>, redatta a Istanbul nel maggio 2011: organi internazionali che hanno sentito il bisogno di dare disposizioni organiche in merito, previa consultazione di Ong e associazioni della societ\u00e0 civile, delineando chiaramente sia i termini in cui questa violenza si manifesta, sia le forme di contrasto.<\/p>\n

\"\"Nel novembre del 2012 a Vienna, la \u201cAcademic Councilon United Nations System\u201d(ACUNS), ha redatto un documento sul femmicidio (da non confondere femminicidio), in cui esperte internazionali come Diana EH Russell (criminologa statunitense che ha coniato il termine), Michelle Bachelet (ex UN Women e ora presidente del Cile), Rashida Manjoo (relatrice speciale dell\u2019ONU sulla violenza contro le donne)<\/strong>, hanno discusso in un simposio di studiose ed esperte sulla radice di genere delle varie forme di violenza contro le donne che portano fino alla loro uccisione. Nel rapporto finale si pu\u00f2 leggere che<\/p>\n

\u00abil femmicidio \u00e8 l\u2019ultima forma di violenza contro le donne e le ragazze, e assume molteplici forme\u00bb<\/em><\/p><\/blockquote>\n

\u00a0e che\u00a0\u00abLe sue molte cause sono radicate nelle relazioni di potere storicamente ineguali tra uomini e donne, e nella discriminazione sistemica basata sul genere\u00bb<\/em>.\u00a0 <\/strong>Infine il documento rammenta che\u00a0<\/strong>\u00abPer considerare un caso come femmicidio, ci deve essere l\u2019intenzione implicita di svolgere l\u2019omicidio e un<\/em> collegamento dimostrato tra il crimine e il genere femminile della vittima\u00bb<\/em><\/strong>\u00a0e che\u00a0\u00abFinora, i dati sul femmicidio sono altamente inaffidabili e il numero stimato di donne che ne sono state vittime variano di conseguenza\u00bb<\/em>, ma che\u00a0\u00abi femmicidi avvengono in ogni paese del mondo e la pi\u00f9 grande preoccupazione \u00e8 che questi omicidi continuano ad essere accettati, tollerati o giustificati come fossero la norma\u00bb<\/em>.<\/p>\n

\"\"
Mar\u00eda Marcela Lagarde<\/figcaption><\/figure>\n

Invece la Special Rapporteur dell\u2019Onu, Rashida Manjoo, ha redatto e presentato al Consiglio dei diritti umani, che si \u00e8 svolto a Ginevra nel giugno 2013, il primo \u201cRapporto tematico sul femminicidio\u201d, adottando il termine sociologico coniato da Marcela Lagarde<\/strong>, che indica\u00a0\u00abla forma estrema di violenza di genere contro le donne, prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato <\/em><\/strong>attraverso varie condotte misogine che comportano l\u2019impunit\u00e0 delle condotte poste in essere, tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una situazione indifesa e di rischio, possono culminare con l\u2019uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambini, di sofferenze psichiche e fisiche comunque evitabili, dovute all\u2019insicurezza, al disinteresse delle Istituzioni e all\u2019esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia\u00bb<\/em>.<\/p>\n

\"\"
Rashida Manjoo<\/figcaption><\/figure>\n

In questo Rapporto Manjoo afferma che\u00a0\u00abla formulazione di istanze basate sul riconoscimento dei propri diritti fondamentali da parte delle donne, resta un\u2019importante strumento strategico e politico per l\u2019empowerment delle donne e per fronteggiare le violazioni dei diritti umani\u00bb<\/em>, chiarendo – durante la sua relazione – che i significati di femmicidio e femminicidio oltrepassano anche il carattere sociale e religioso specifici dei diversi paesi, e affermando che ovunque si consumi, l\u2019omicidio di genere, ha una chiara matrice comune a tutte le donne del mondo anche se con diverse declinazioni<\/strong>: per questo i\u00a0\u00abdelitti passionali\u00bb<\/em>dell\u2019Occidente e i\u00a0\u00abdelitti d\u2019onore\u00bb<\/em>\u00a0in Oriente, hanno la medesima matrice di genere.<\/p>\n

La violenza maschile contro donne e bambine, che pu\u00f2 portare alla morte, \u00e8 quindi un problema di dimensioni globali<\/p><\/blockquote>\n

storicamente basato sulla discriminazione e sul pregiudizio culturale della superiorit\u00e0 del maschio rispetto alla femmina, nonch\u00e9 manifestazione dei rapporti di forza diseguale tra i sessi. E anche se non ce ne accorgiamo adesso, \u00e8 un dato di fatto che in questo momento l\u2019attenzione su questa violazione dei diritti umani, che \u00e8 una conseguenza dei rapporti sbilanciati tra i sessi,<\/strong> non viene posta solo dai movimenti femministi nel mondo ma da un panorama molto pi\u00f9 ampio per una pi\u00f9 ampia consapevolezza su un fenomeno trasversale a culture e societ\u00e0 diverse tra loro, ed esteso a ogni classe sociale e a ogni et\u00e0. Dico questo come premessa perch\u00e9 per affrontare la violenza maschile sulle donne – femminicidio\/femmicidio, bisogna prima di tutto avere chiara<\/p>\n

la sua radice che \u00e8 nella discriminazione e nel radicamento degli stereotipi in tutti gli ambiti, da quello sociale, privato, politico<\/p><\/blockquote>\n

Sbilanciamento tra i sessi<\/strong><\/p>\n

\"\"La cultura maschile e maschilista non \u00e8 un vezzo, un optional, ma fa parte di un sistema saldamente basato sulla convinzione dell\u2019inferiorit\u00e0 della donna e del controllo su di lei, ed \u00e8 funzionale a un potere che gli uomini non desiderano condividere, malgrado siano anche inferiori numericamente. Una donna che sta a casa, che cura i figli, che fa la spesa e cura gli anziani, una donna che si accontenta di un mezzo salario, che si adatta a fare un lavoro precario e mal pagato, che si ritrova a essere ricattata dal datore di lavoro e sta zitta perch\u00e9 non pu\u00f2 perdere quei soldi, una donna che non pu\u00f2 accedere ai suoi diritti sulla salute riproduttiva e sulla gestione del suo corpo,<\/strong> che ha paura a separarsi da un marito violento perch\u00e9 dipendente economicamente o perch\u00e9 ha paura di non vedere pi\u00f9 i figli, e che infine rinuncia non solo al potere ma anche ai suoi diritti fondamentali: \u00e8 un risparmio per lo Stato e un\u00a0jolly<\/em>\u00a0collettivo e personale per ogni uomo.<\/strong> Per questo educare ogni bambina attraverso l\u2019oscurantismo delle sue simili nei libri di testo che \u00e8 costretta a studiare a scuola, forgiare la sua personalit\u00e0 nutrendola a piene mani della cultura del principe azzurro, \u00e8 un modo sicuro per l\u2019introiezione totale di un modello maschilista.<\/p>\n

\"\"Cos\u00ec, inconsapevole dei propri diritti e del suo protagonismo in questo mondo che per pi\u00f9 della met\u00e0 \u00e8 popolato da persone fatte come lei, la femmina diventer\u00e0 innocua, soprattutto se poi nella sua vita continuer\u00e0 a essere completamente immersa in una cultura che ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, la far\u00e0 apparire come seconda a un qualsiasi maschio della sua vita privata e pubblica.<\/strong> Naturalmente a tutto c\u2019\u00e8 un limite e le donne si sono organizzate scoperchiando questo enorme vaso di Pandora.<\/strong> Ma cos\u2019\u00e8 un secolo di rivendicazioni in confronto a millenni di sottomissione? In Italia, che a livello di cultura machista potrebbe essere un modello, il pregiudizio verso l\u2019inferiorit\u00e0 femminile \u00e8 talmente radicato nella societ\u00e0 che anche l\u2019occhio pi\u00f9 attento non si rende conto di quanto la discriminazione di genere sia una costante in famiglia, nella scuola, a lavoro, nelle istituzioni, nei rapporti con gli amici, per strada:<\/p>\n

una discriminazione che \u00e8 una forma di violenza e che ti costringe in un corpo estraniato ed estraniante<\/p><\/blockquote>\n

non pi\u00f9 tuo ma alla merc\u00e9. Imparare a memoria libri di testo in cui il proprio genere \u00e8 cancellato,\u00a0 percepirsi come inadeguata per motivi di genere, essere discriminate da parte dei propri genitori di fronte a fratelli maschi, sottostare alle avance indesiderate come se fosse normale \u201cinsistere\u201d da parte di un uomo, autoconsiderarsi un oggetto da conquistare e possedere, \u00e8 il pi\u00f9 profondo esproprio della soggettivit\u00e0 che un essere vivente pensante possa subire. Ed \u00e8 una violenza.<\/p>\n

La Convenzione di Istanbul<\/strong><\/p>\n

La Convezione di Istanbul, oltre a condannare\u00a0\u00abogni forma di violenza sulle donne e la violenza domestica\u00bb<\/em>, riconosce che il raggiungimento dell\u2019uguaglianza \u00e8 un elemento chiave per prevenire la violenza. z\u00a0queste leggi possono anche rimanere inapplicate, come gi\u00e0 succede in Italia e come sottolineato da Manjoo nelle sue Raccomandazioni sulla violenza contro le donne al nostro Paese.<\/p>\n

\"\"La Convenzione di Istanbul stabilisce anche esattamente cosa s\u2019intenda per violenza contro le donne:\u00a0<\/strong>\u00abCon l\u2019espressione violenza nei confronti delle donne – si legge – si intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano, o sono suscettibili di provocare, danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica,<\/strong> comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libert\u00e0, sia nella vita pubblica, che nella vita privata\u00bb<\/em>. Una Convezione che parte da un assunto per cui oltre a condannare\u00a0\u00abogni forma di violenza sulle donne e la violenza domestica\u00bb<\/em>, riconosce che\u00a0\u00abil raggiungimento dell\u2019uguaglianza di genere de jure e de facto \u00e8 un elemento chiave per prevenire la violenza contro le donne\u00bb<\/em>, la quale si mostra come\u00a0\u00abuna manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione\u00bb<\/em>.<\/strong> Riconoscendo\u00a0\u00abla natura strutturale della violenza contro le donne, in quanto basata sul genere\u00bb<\/em>, la Convenzione di Istanbul riconosce che<\/p>\n

\u00abla violenza contro le donne \u00e8 uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini\u00bb<\/em><\/p><\/blockquote>\n

\"\"Non solo, perch\u00e9 qui si osserva, da parte del Consiglio d\u2019Europa e\u00a0\u00abcon profonda preoccupazione\u00bb<\/em>, che\u00a0\u00able donne e le ragazze sono spesso esposte a gravi forme di violenza, tra cui la violenza domestica, le molestie sessuali, lo stupro, il matrimonio forzato, i delitti commessi in nome del cosiddetto onore e le mutilazioni genitali femminili\u00bb<\/em>, un pacchetto che costituisce\u00a0\u00abuna grave violazione dei diritti umani delle donne e delle ragazze, e il principale ostacolo al raggiungimento della parit\u00e0 tra i sessi\u00bb<\/em>. A ci\u00f2 si aggiunga che\u00a0\u00able donne e le ragazze sono maggiormente esposte al rischio di subire violenza di genere rispetto agli uomini\u00bb<\/em>\u00a0<\/strong>e che\u00a0\u00abi bambini sono vittime di violenza domestica anche in quanto testimoni di violenze all\u2019interno della famiglia\u00bb<\/em>.<\/p>\n

Inoltre\u00a0\u00abLa presente Convenzione si applica a tutte le forme di violenza contro le donne, compresa la violenza domestica, che colpisce le donne in modo sproporzionato\u00bb<\/em>\u00a0e che comprende\u00a0\u00abtutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all\u2019interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l\u2019autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima\u00bb<\/em><\/strong>.<\/p>\n

\"\"Una piattaforma complessa e articolata che, come gi\u00e0 si pu\u00f2 intuire, parte da un ristrutturazione dell\u2019esistente che non pu\u00f2 prescindere da un profondo cambiamento culturale e dall\u2019annullamento del pregiudizio che porta, adesso e nella realt\u00e0 dei fatti, a non avere chiara percezione della violenza e a sottovalutarne anche il rischio di vita<\/strong> – come dimostrano il 70% dei femminicidi del 2012 che in Italia potevano essere evitati, perch\u00e9 gi\u00e0 segnalati come situazioni a rischio. Un cambiamento culturale che non pu\u00f2 avvenire senza grosso investimento e di denaro e di forze.<\/p>\n

Convenzione di Istanbul e Raccomandazioni Onu<\/strong><\/p>\n

Ma avere una chiara percezione di questa violenza, oltre a un\u2019acquisizione ufficiale dei dati e un monitoraggio sull\u2019efficienza dello Stato che sono a oggi inesistenti in Italia, occorre una narrazione del fenomeno che sia fuori dagli stereotipi, che sono la spinta principale a una sottovalutazione del problema che influenza non solo l\u2019opinione pubblica ma anche gli addetti ai lavori.<\/p>\n

\"\"<\/p>\n

Alcune importanti indicazioni della Convezione di Istanbul erano gi\u00e0 state indicate, in maniera vincolante, dalle Raccomandazioni del Comitato Cedaw all\u2019Italia – che sorveglia l\u2019applicazione della \u201cConvenzione sull\u2019eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne\u201d ratificata dal nostro Paese nell\u201985 (con adesione al Protocollo opzionale nel 2002) – e anche in quelle della Special Rapporteur dell\u2019Onu sulla violenza di genere, Rashida Manjoo.<\/strong><\/p>\n

\"\"In realt\u00e0 l\u2019implementazione della Convezione di Istanbul, e l\u2019applicazione delle Raccomandazioni Onu, non sono un giochetto e non possono essere liquidate con ritocchi al codice penale come fatto la conversione in legge del decreto sicurezza nel 2013. Se questo Paese \u00e8 indietro sulla questione di genere, percepibile nella vita di tutti i giorni, le istituzioni non possono prescindere dall\u2019affrontare il problema alla radice, anche perch\u00e9 ne hanno la possibilit\u00e0, il potere e la disponibilit\u00e0. Ma per fare un passo cos\u00ec importante e decisivo, \u00e8 necessario avere la percezione reale di quello che succede sulla pelle delle donne, ragazze, bambine e bambini, anche attraverso un\u2019inchiesta accurata senza trascurare la consultazione e l\u2019ascolto reale di tutte le associazioni di donne che si occupano in maniera professionale e costante della violenza.<\/strong><\/p>\n

Una interazione tra societ\u00e0 civile e istituzioni che in Italia non c\u2019\u00e8, o \u00e8 spesso completamente fittizia<\/p><\/blockquote>\n

\"\"<\/p>\n

Cambiamento culturale e media<\/strong><\/p>\n

Lo smantellamento di una rappresentazione stereotipata \u00e8 invece una cosa seria e deve avere un grosso impatto culturale per essere efficace, ed \u00e8 per questo che tra le varie indicazioni, nei tre testi delle raccomandazioni dell\u2019Onu e di Istanbul – due rivolti all\u2019Italia e uno ratificato dal nostro Paese – ci sono indicazioni riguardo ai media e all\u2019informazione.<\/p>\n

\"\"Nelle Raccomandazioni Cedaw viene raccomandato all\u2019Italia di \u00abpredisporre in collaborazione con un\u2019ampia gamma di attori, comprese le organizzazioni femminili e le altre organizzazioni della societ\u00e0 civile, delle campagne di sensibilizzazione attraverso i media (\u2026), affinch\u00e9 la violenza nei confronti delle donne venga considerata socialmente inaccettabile\u00bb<\/em>. Nelle raccomandazioni Onu di Manjoo, si raccomanda di\u00a0\u00abformare e sensibilizzare i media sui diritti delle donne compresa la violenza contro le donne per ottenere una rappresentazione non stereotipata delle donne e degli uomini nei mezzi di comunicazione nazionali\u00bb<\/em>. Nella Convenzione di Istanbul si chiede, all\u2019art.17, che\u00a0\u00abLe Parti incoraggiano il settore privato, il settore delle tecnologie dell\u2019informazione e della comunicazione e i mass media, nel rispetto della loro indipendenza e libert\u00e0 di espressione, a partecipare all\u2019elaborazione e all\u2019attuazione di politiche e alla definizione di linee guida e di norme di autoregolazione per prevenire la violenza contro le donne e rafforzare il rispetto della loro dignit\u00e0\u00bb<\/em>.<\/strong><\/p>\n

\"\"\u00c8 opportuno riflettere su come tali indicazioni siano implementabili nel nostro Paese in relazione all\u2019informazione che ha bisogno, per la sua natura e carattere, di un approccio diverso rispetto a pubblicit\u00e0, fiction, ecc. e che non pu\u00f2 far parte di un unico calderone. L\u2019informazione di giornali, telegiornali, speciali e programmi d\u2019informazione tramite stampa, tv e web ha un suo specifico e non pu\u00f2 essere confusa con il resto. Perch\u00e9 se \u00e8 vero che la percezione della violenza \u00e8 uno dei nodi fondamentali, l\u2019informazione che – a differenza di fiction o della pubblicit\u00e0 – si pone come oggettiva, influenza in maniera diretta la percezione di quel problema come fosse\u00a0super partes<\/em>.<\/strong> Un\u2019informazione che, qualora non venga data in maniera corretta, pu\u00f2 procurare anche distorsioni e danni, in quanto nella formazione dell\u2019opinione pubblica, dell\u2019immaginario collettivo e nel sostegno degli stereotipi comuni, l\u2019informazione ha un ruolo fondamentale e particolare.<\/p>\n

Quando qualche anno fa, quando ho cominciato a monitorare l\u2019informazione italiana con un occhio di genere, ho visto che malgrado in Italia l\u201980% della violenza fosse violenza domestica e malgrado la maggior parte degli autori di femmicidio fossero membri maschi della famiglia italiana (mariti, fidanzati, ex o partner respinti) di cui solo il 10% con problemi psichici accertati, si parlava sempre di raptus, infermit\u00e0 mentale, gelosia, delitto passionale, stress dovuto al lavoro o alla perdita del lavoro. Mentre<\/p>\n

per la donna si tracciava un profilo che ricalcava stereotipi femminili comuni quasi a suggerire una complicit\u00e0 della donna stessa la quale, avendo provocato, tradito, esasperato, si era ritrovata uccisa<\/p><\/blockquote>\n

\"\"Quando si trattava di un\u2019uccisone dopo una lunga serie di maltrattamenti gravi in famiglia, nei giornali spesso il titolo riportava un\u2019attenuante psichiatrica dell\u2019autore e il solito il background stereotipato nell\u2019illustrazione dei fatti, ci si richiamava cio\u00e8 a evidenti stereotipi. Citando il \u201cRapporto Ombra\u201d presentato dalla \u201cPiattaforma Cedaw\u201d a New York nel 2011<\/strong>:\u00a0\u00abI media spesso presentano gli autori di femmicidio come vittime di raptus e follia omicida, ingenerando nell\u2019opinione pubblica la falsa idea che i femmicidi vengano perlopi\u00f9 commessi da persone portatrici di disagi psicologici o preda di attacchi di aggressivit\u00e0 improvvisa. Al contrario, negli ultimi 5 anni meno del 10% di femmicidi \u00e8 stato commesso a causa di patologie psichiatriche o altre forme di malattie, e meno del 10% dei \u00e8 stato commesso per liti legate a problemi economici o lavorativi\u00bb<\/em>.<\/strong><\/p>\n

\"\"La violenza sulle donne – femminicidio, che in Italia ha ancora un altissima percentuale di sommerso, era trattata, e spesso lo \u00e8 ancora, come un fatto di cronaca isolato e sporadico, attraverso una narrazione che per rendere pi\u00f9 appetibile il racconto andava a scavare nel torbido, indugiando su aspetti morbosi per interessare chi legge e facendo leva su stereotipi culturali privi di un quadro d\u2019insieme con il risultato di trasformare la donna in offender e minimizzando la gravit\u00e0 del reato commesso. Ma chi informa deve essere informato e non pu\u00f2 prescindere da una formazione e una preparazione adeguata su temi che non sono di serie B e che non possono essere improvvisati, soprattutto se si tratta di professionisti dell\u2019informazione, come siamo appunto noi giornalisti e giornaliste.<\/p>\n

\"\"Con queste premesse, \u00e8 iniziato il lavoro sul femmicidio-femminicidio nella Rete nazionale delle giornaliste italiane (\u201cGiUliA\u201d) e ci\u00f2 succedeva quando ancora nessuno, su stampa e tv, parlava di femmicidio\/femminicidio. Il tam tam che \u00e8 scaturito da quel lavoro, in Giulia e con Articolo21, ha portato l\u2019informazione a concentrarsi in maniera differente sul problema, perch\u00e9 le giornaliste cercavano con tenacia, e combattendo lo stesso maschilismo interno alle redazioni, di allargare gli orizzonti dove lavoravano e operavano.<\/strong> \u00c8 stato cos\u00ec che dall\u2019inizio del 2012 le giornaliste di molte testate italiane, hanno cominciato a dare una prospettiva diversa al trattamento della violenza contro le donne all\u2019interno dell\u2019informazione, al fine di argomentare il fenomeno con<\/p>\n

una prospettiva che superasse il pregiudizio discriminatorio, sia sulle donne sia rispetto alla considerazione di un argomento inferiore e privo di una sua dimensione specifica all\u2019interno delle redazioni<\/p><\/blockquote>\n

<\/div>\n

Il lavoro della societ\u00e0 civile<\/strong><\/p>\n

\"\"Un grande passo, dopo la Piattaforma Cedaw e Giulia, \u00e8 avvenuto nel marzo del 2012 in cui, dopo un mio articolo sul femmincidio titolato \u201cLa famiglia italiana fa pi\u00f9 vittime della mafia\u201d (\u201cIl Manifesto\u201d – 7 marzo 2012), Magistratura democratica con le giudici Antonella Di Florio (Tribunale civile di Roma) e Tiziana Coccoluto (Procura di Roma), mi ha stato chiesto di istituire un tavolo interdisciplinare che mettesse in contatto diverse categorie professionali come giudici, avvocati, giornaliste, psicologhe e societ\u00e0 civile, intorno al tema del femminicidio e per la costruzione di una rete professionalmente competente. Al tavolo, dal titolo \u201cFemminicidio: analisi, metodologia e intervento in ambito giudiziario. Per una strategia concreta di lavoro interdisciplinare\u201d, insieme a me e Antonella Di Florio, erano sedute la procuratrice Maria Monteleone, la giudice Franca Mangano, la direttrice dello Sco, Luisa Pellizzari, l\u2019avvocata Barbara Spinelli, i giudici di Cassazione Giovanni Diotallevi ed Elisabetta Rosi, la psicologa Elvira Reale e Vittoria Tola dell\u2019Udi.<\/p>\n

\"\"Un tavolo che, fra tutti i tavoli e i convegni fatti nel corso di questi anni, \u00e8 stato uno dei pi\u00f9 importanti incontri sul tema e con spunti di riflessione che sono stati poi ripresi in diversi ambiti di discussione nel corso del tempo. Un approccio interdisciplinare indispensabile se si vuole intervenire con efficacia sulla violenza di genere nella sua trasversalit\u00e0 con un sistema che coinvolgendo i diversi ambiti di competenza sia in grado di affrontare un fenomeno che in Italia non \u00e8 un\u2019emergenza ma un problema strutturale profondo.<\/strong><\/p>\n

Altra spinta propulsiva, nel maggio 2012, \u00e8 stata quella profusa dalla costruzione della Convenzione \u201cNo More\u201d contro la violenza sulle donne \/ femminicidio (di cui faccio parte come promotrice e referente in GiUliA), e dove sono confluite le forze della societ\u00e0 civile con le pi\u00f9 importanti associazioni che si occupano di violenza di genere in Italia. Una massiccia proposta di cambiamento a tutto quello che riguardava questi temi che ha cambiato le carte in tavola e con un grosso impatto culturale. Ma non basta.<\/p>\n

La sottovalutazione della violenza contro le donne<\/strong><\/p>\n

\"\"Il pregiudizio \u00e8 cos\u00ec forte che, grazie a un cos\u00ec ampio sostegno discriminatorio, anche in ambito giudiziario dove le donne dovrebbero trovare aiuto, spesso sono trattate come povere vittime incapaci di intendere e di volere, donne depresse che attirano a s\u00e9 uomini violenti, o ancora peggio soggetti non credibili che quando denunciano una violenza ampliano la portata dell\u2019accaduto esagerando. Donne che ogni giorno rischiano di essere rivittimizzate sui giornali, nella societ\u00e0 e in tribunale, che non vengono credute fino in fondo e non hanno la dovuta protezione, e possono essere costrette a un affido condiviso coatto in presenza di violenza domestica e violenza assistita o subita dai minori presenti, per mancanza di preparazione e di formazione di tutti gli operatori che si possono trovare ad avere a che fare con reati di questo tipo su tutto il territorio nazionale<\/strong>: situazione che non \u00e8 cambiata nella sostanza neanche dopo l\u2019approvazione e conversione del decreto sicurezza, in cui compare una parte dedicata alla violenza contro le donne.<\/p>\n

Un impasse dovuto alla sottovalutazione di quello che rappresenta la violenza sessista contro le donne<\/p><\/blockquote>\n

\"\"Un esempio per tutti. Quando la presidente della camera, Laura Boldrini, bersaglio di attacchi sessisti violenti pubblici ha reagito in maniera decisa, \u00e8 stata gridata la parola \u00abcensura malgrado lei non l\u2019avesse neanche proferita. Perch\u00e9? Durante seminario parlamentare #nohatespeech, \u201cParole libere o parole d\u2019odio, prevenzione della violenza online\u201d – promosso da Boldrini nel 2013 – si \u00e8 parlato della violenza sulle donne nel web come di un fenomeno odioso quanto grave <\/strong>di cui non solo la presidente della camera ma molte donne e ragazze sono l\u2019obiettivo quotidiano, ed \u00e8 emerso il contrasto tra la libert\u00e0 di espressione e lo sfogo violento pubblico.<\/p>\n

In quella sede, in cui erano presenti addetti ai lavori, pochi hanno capito per\u00f2 la connessione tra la violenza psicologica, presente in tutte le convenzioni internazionali che riguardano le donne (dalla Cedaw alla Convenzione di Istanbul), e i suicidi delle ragazze che hanno subito assalti mediatici o rivittimizzazione mediatica post-stupro. E questo perch\u00e9<\/p>\n

si continua a non capire che non accettare la violenza in tutte le sue forme, compresa quella mediata dai media, non significa censurare perch\u00e9 quella non \u00e8 libert\u00e0<\/p><\/blockquote>\n

\"\"<\/p>\n

Una situazione che pu\u00f2 diventare allarmante se si tratta di adolescenti, momento in cui l\u2019amplificazione \u00e8 enorme. Nello specifico i minorenni spesso ignorano che quello che stanno facendo attraverso il web e i social network – minacce, calunnie, violenza, bullismo e cyberbullismo – sia un reato, esagerando i comportamenti degli adulti in una maniera straordinaria, diventano straordinariamente pericolosi. Su quello che \u00e8 successo in Ohio, dove alcuni ragazzi sono stati condannati per stupro su una ragazza di 16 anni e per aver divulgato materiale sul reato da loro commesso, la cosa pi\u00f9 grave non \u00e8 stato solo il racconto derisorio del reato commesso su YouTube da parte dei ragazzi, ma il fatto che quando sono stati condannati la maggior parte dei media Usa, ha detto che le vite di questi ragazzi erano state \u201crovinate\u201d:<\/strong> erano dei giocatori promettenti ma essendo stati condannati, la loro carriera era stata stroncata. Un esempio eclatante di sottovalutazione della violenza sostenuta da una rivittimizzazione mediatica che ha anche rivelato indirettamente il nome della giovane che \u00e8 stata poi ricoperta di insulti su twitter.<\/p>\n

La responsabilit\u00e0 dell\u2019informazione<\/strong><\/p>\n

\"\"Qual \u00e8 allora il punto? Il punto \u00e8 che un\u2019informazione che si pone a livello oggettivo e che deve riportare un fatto, non pu\u00f2 esprimere giudizi rispetto a una situazione cos\u00ec delicata e basandosi oltretutto su stereotipi, perch\u00e9 \u00e8 dannosa e fuorviante per l\u2019opinione pubblica in quanto non d\u00e0 la giusta misura della gravit\u00e0 dell\u2019accaduto, anzi la sottovaluta volontariamente e senza mezzi termini, rivittimizzando la persona che si sente cos\u00ec di vivere una seconda violenza e giustificando la violenza stessa.<\/strong> Per questo, se si vuole risolvere davvero il problema, bisogna affrontarne il nocciolo, e cio\u00e8 la discriminazione di genere che tocca le donne, le ragazze e le bambine dell\u2019intero Pianeta.<\/p>\n

Il pregiudizio della discriminazione di genere e la sottovalutazione che ne consegue, \u00e8 cos\u00ec ampia da esigere un sistema di contrasto a 360 gradi, come indica la Convenzione di Istanbul, e con un approccio specifico e interdisciplinare. I media, l\u2019informazione, il web, la scuola, il lavoro, in famiglia e nella gestione del potere in cui le donne continuano, in molti casi, ad essere un optional. <\/strong><\/p>\n

Ma partiamo dall\u2019informazione che non \u00e8 un punto di arrivo ma una partenza e uno stimolo allo smantellamento culturale<\/p><\/blockquote>\n

\"\"
Anarkikka<\/figcaption><\/figure>\n

In Italia, la prassi per dare notizia sui giornali di un femminicidio che magari arriva dopo una lunga serie di maltrattamenti gravi in famiglia, lo schema era – e spesso \u00e8 ancora – il titolo con un\u2019attenuante psichiatrica dell\u2019autore, se italiano, o sbattuto in prima pagina con il nome dell\u2019offender in risalto, se immigrato. Delitto passionale, per il primo, e delitto d\u2019onore, per il secondo. Per gli omicidi di genere, che al 96% in Italia vengono commessi da conoscenti maschi, si parlava – e si parla ancora – di raptus, infermit\u00e0 mentale, gelosia, delitto passionale, stress dovuto al lavoro o alla perdita del lavoro, e si tracciava un profilo della vittima che potesse giustificare l\u2019atto che in realt\u00e0 era un omicidio di genere. <\/strong>Di solito il background culturale nell\u2019illustrazione dei fatti, si richiamava agli stereotipi femminili della donna \u201cpreda\u201d che istiga l\u2019istinto animale dell\u2019uomo: quindi se la vittima, dell\u2019omicidio o dello stupro, \u00e8 di bell\u2019aspetto, con la sua foto in bella vista, mentre un\u2019anziana o una donna non particolarmente avvenente, era accompagnata dall\u2019immagine del luogo del delitto o la foto di polizia o carabinieri:<\/p>\n

il tutto confezionato come se fosse un semplice fatto di cronaca isolato e non un fenomeno sociale<\/p><\/blockquote>\n

\"\"La narrazione indugiava su aspetti morbosi e perversi per interessare chi leggeva, senza preoccuparsi di dare un quadro d\u2019insieme ma facendo appunto leva su stereotipi culturali.<\/strong> Senza preoccuparsi di avere un linguaggio adeguato e immagini lontane dall\u2019immaginario maschile della donna \u201cpreda\u201d, la donna veniva trasformata in offender complice della sua stessa morte o dello stupro, un sistema che giustifica indirettamente il reato come se fosse una cosa normale e sostenendo quella cultura di cui la violenza si nutre. Una responsabilit\u00e0 che l\u2019informazione deve cominciare a prendersi. La scelta delle parole e delle immagini \u00e8 materia viva nell\u2019interpretazione della realt\u00e0, e quando la stampa riporta fatti che riguardano la discriminazione di genere come eventi eccezionali, di natura privata e sufficienti a s\u00e9 stessi attraverso un linguaggio distorto e un immaginario stereotipato, applica una doppia violenza in una cultura che ci sottopone, sempre pi\u00f9 spesso, a offese e umiliazioni anche pubbliche, attraverso apprezzamenti di carattere fisico e a sfondo sessuale, deprezzamenti a livello culturale e sociale, politico. <\/strong><\/p>\n

\"\"Esercitare violenza attraverso il linguaggio non significa solo insultare, offendere, ferire ma esercitare una violenza invisibile sui processi di identit\u00e0 della persona che in questo caso si estende al genere e che forzano e manipolano la realt\u00e0. <\/strong>Titolare l\u2019articolo di cronaca di un femmicidio con \u00abdramma della gelosia\u00bb<\/em>, oppure\u00a0\u00abuomo uccide per gelosia\u00bb<\/em>, o ancora\u00a0\u00abuccisa per motivi passionali\u00bb<\/em>, significa deviare la percezione comune dando un\u2019informazione sbagliata perch\u00e9 il femmicidio \u00e8 una conseguenza estrema della violenza di genere e rappresenta la volont\u00e0 (e non la follia) di un totale controllo sulla donna, ed \u00e8 anche l\u2019estrema\u00a0ratio<\/em>\u00a0di chi dice che del nostro corpo pu\u00f2 disporre, teoricamente e materialmente.<\/p>\n

\"\"<\/p>\n

Femminicidio come una moda o un brand mediatico<\/strong><\/p>\n

La sottovalutazione e la rivittimizzazione meditica per\u00f2, non ha la sua causa solo nella scarsa valutazione del fenomeno perch\u00e9 anche una iperinformazione, se fatta male, pu\u00f2 essere pericolosa. Il termine femminicidio che, una volta sdoganato, diventa un brand e una moda, pu\u00f2 essere pericoloso come e forse anche pi\u00f9 della scarsa attenzione. L\u2019altro pericolo da evitare \u00e8 infatti il meccanismo di speculazione strumentale che tratta il<\/p>\n

femminicidio come un passepartout<\/em>\u00a0che fa notizia e su cui anche chi non ha strumenti n\u00e9 competenze, pu\u00f2 avventurarsi<\/p><\/blockquote>\n

Con modi meno sfacciati e meno aggressivi di prima, ma pur sempre in maniera superficiale, chi schiaffa in prima pagina il termine “femminicidio\u201d senza cognizione, continua a sottovalutarne la portata e a cadere negli stereotipi senza cambiare una virgola dell\u2019esistente. Un pericolo in cui il pregiudizio della discriminazione di genere permane, e si riflette nel sostegno sotterraneo di una cultura che non essendo diversa da prima mette solo in evidenza che ci sono uomini-mostri e donne che non si sanno difendere e vanno difese da se stesse.<\/p>\n

\"\"Un esempio \u00e8 stato che il 25 novembre 2013, una data che fino a due anni fa nessuno si ricordava e che ora, invece, ha avuto mobilitazioni in tutta Italia e una inflazione di titoli e notizie anche prive di spessore che hanno avuto come conseguenza un abbassamento della guardia.<\/strong> I messaggi che sono stati veicolati alla fine del 2013, anche dall\u2019informazione, sono stati su un piano di superficialit\u00e0 che ha coinciso con il ristabilimento degli stereotipi, perch\u00e9 l\u2019importante \u00e8 non intaccare seriamente i ruoli che sostengono il sistema-famiglia italiano.<\/p>\n

\"\"Ed \u00e8 cos\u00ec che ci si \u00e8 concentrati sugli uomini ma solo per dividerli in buoni e cattivi, senza una vera analisi o una presa di coscienza reale da parte del maschile, in un 25 novembre che ha coperto l\u2019Italia di rosso al posto dell\u2019arancione – colore della campagna internazionale contro la violenza sulle donne del 25 novembre promosso dall\u2019Onu – in quanto colore del sangue delle morte ammazzate. Molti dei programmi tv sono stati confezionati da giornalisti impreparati che hanno contribuito ad abbassare fortemente il livello di confronto, mentre sulla stampa, malgrado il livello sia spesso pi\u00f9 alto<\/strong>, ci sono stati casi in cui giornalisti e opinionisti completamente a digiuno del tema, hanno sentito il bisogno di disquisire su situazioni e spiegare cause di fatti che non conoscono, ingenerando confusione e portando indietro il lavoro. Un metodo che altrove sarebbe etichettato come incompetenza.<\/p>\n

\"\"
Logo dell’Udi per la campagna contro il femminicidio<\/figcaption><\/figure>\n

Una superficialit\u00e0 che su ampia scala ha creato un\u2019onda mediatica enorme che, essendo instabile e priva di competenza, si \u00e8 inevitabilmente afflosciata creando stanchezza e disinteresse, e portando al \u201cquasi\u201d silenzio dopo aver toccato il suo apice. Un abbassamento di qualit\u00e0, condito anche con business, moda e addirittura calendari di belle ragazze in mutande, che ha portato a un ripensamento sul termine stesso di femminicidio ormai confuso e ridotto a uxoricidio sui giornali: un termine diventato fuorviante solo per chi – e per responsabilit\u00e0 di chi – \u00a0non ne sa nulla.<\/strong> In questo caso c\u2019\u00e8 da aggiungere che la responsabilit\u00e0 mediatica \u00e8 particolarmente grave, perch\u00e9 quando l\u2019informazione si consuma sulla pelle di esseri umani – come donne e bambine che rischiano la loro stessa incolumit\u00e0 – ognuno di dovrebbe fare un esame di coscienza chiedendosi: quali potrebbero essere le conseguenze se sbaglio o se sono superficiale?<\/p>\n

Un esempio esemplificativo della superficialit\u00e0 \u00e8 stato quando, in piena campagna contro il femminicidio, si \u00e8 parlato e riparlato del caso delle minorenni coinvolte in un giro di prostituzione ribattezzate da tutti i giornali come \u00abbaby squillo\u00bb<\/em>\u00a0attraverso articoli morbosi e pieni di attenzioni sulle ragazze: la dimostrazione che in quei giornali – che magari avevano pagine e pagine sul femminicidio – non si era capito che la radice della violenza sono proprio quegli stereotipi sbattuti cos\u00ec in prima pagina.<\/strong><\/p>\n

Un teatrino che sta portando a una normalizzazione e a una sottovalutazione di ritorno su un fenomeno in cui ormai l\u2019unica speranza \u00e8 che gli strilloni perdano la voce<\/p><\/blockquote>\n

\"\"Come evitare la rivittimizzazione mediatica<\/strong><\/p>\n

Il punto cruciale \u00e8 allora la percezione della violenza nella sua reale portata e senza improvvisazione: lo smantellamento di una cultura dello stupro coincide con quello della sottovalutazione della violenza e dei pregiudizi di genere, in cui si rischia di far passare come normalit\u00e0, un danno o una violazione.<\/p>\n

\"\"Per questo l\u2019informazione ha un ruolo fondamentale: perch\u00e9 se i media sostengono questa cultura della sottovalutazione, che poggia sul pregiudizio della discriminazione di genere, \u00e8 ovvio che anche la percezione dell\u2019opinione pubblica sar\u00e0 tale, e questo sosterr\u00e0 a sua volta anche la rivittimizzazione nei tribunali, nelle forze dell\u2019ordine, tra operatori e operatrici.<\/strong> Pubblicare articoli negazionisti della violenza contro le donne, o lasciare che giornalisti che non si occupano di queste tematiche si avventurino senza strumenti e conoscenze appropriate, \u00e8 pericoloso. \u00c8 quella che viene chiamata\u00a0vittimizzazione secondaria, che in questo caso \u00e8 fatta attraverso i media, e che si serve di quell\u2019arma affilatissima che \u00e8 l\u2019illusione che basta essere brave persone o bravi professionisti, per essere oggettivi e bilanciati anche su questo. Ma non si parla di sport e le conseguenze sono gravi.<\/p>\n

\"\"<\/p>\n

Trattare le donne come se fossero vittime indifese da proteggere, perenni inadeguate, mettere sullo stesso piano la violenza maschile con la reazione femminile di fronte a una violenza fisica e\/o psicologica, dare voce all\u2019autore della violenza senza dotarsi di strumenti di approccio e analisi adeguate, pu\u00f2 essere considerata causa di una rivittimizzazione mediatica.<\/strong> Una impreparazione che ha tenuto ben lontani i giornalisti da molti centri antiviolenza, i quali, per molto tempo, si sono rifiutati di dare in pasto le storie delle donne come se fosse materiale da scoop: un gap, tra la realt\u00e0 della violenza e l\u2019informazione, che abbiamo cercato faticosamente di riempire e su cui non vorremmo tornare indietro.<\/p>\n

\"\"Dare la sensazione che l\u2019uomo \u00e8 un poveretto respinto da una donna che giocava coi suoi sentimenti di uomo ferito, senza chiamare quel tipo di situazione col suo vero nome, cio\u00e8 violenza psicologica, \u00e8 molto pi\u00f9 pericoloso di quanto si possa immaginare.<\/strong> Quello che \u00e8 importante non \u00e8 soltanto il racconto dei fatti ma l\u2019imparare a raccontarli soprattutto in un contesto culturale cos\u00ec discriminatorio per le donne come quello italiano, dove l\u2019idea che continua a passare \u00e8 che comunque un certo tipo di atteggiamenti, anche violenti, siano un ingrediente scontato dei rapporti intimi: una convinzione che nei tribunali, nelle caserme, e in alcune perizie psicologiche (CTU), espone la donna a grave rischio, in quanto la violenza psicologica nei rapporti d\u2019intimit\u00e0, non \u00e8 una semplice conflittualit\u00e0 della relazione. Se il problema \u00e8 strutturale e culturale,<\/p>\n

l\u2019informazione e la narrazione mediatica di questa violenza, diventa uno dei fattori principali per il cambiamento<\/p><\/blockquote>\n

Per queste ragioni, non basta essere sensibili all\u2019argomento ma bisogna conoscerlo, bisogna essere preparati, studiare, ed \u00e8 fondamentale che la formazione valga per giudici, forze dell\u2019ordine, avvocati e avvocate, psicologi e psicologhe, assistenti sociali, ma anche per i giornalisti e le giornaliste che si vogliano occupare di questi temi. Risolvere il problema culturale anche attraverso una corretta informazione, \u00e8 il nodo: ma lo dobbiamo fare da sole continuando a punzecchiare direttori e caporedattori?<\/p>\n

\"\"In Italia gli uomini occupano la maggioranza dei posti di comando anche nelle redazioni italiane, e se davvero vogliono dimostrare di occuparsi di femminicidio potrebbero partire prendendo in seria considerazione le modalit\u00e0 indicate dalla societ\u00e0 civile<\/strong> che ha elaborato con un alto profilo professionale i contenuti e le modalit\u00e0 di narrazione della violenza sulle donne partendo da valutazioni e studi interdisciplinari sul campo, perch\u00e9 questa \u00e8 la responsabilit\u00e0 da prendersi in carico. Per dare una corretta informazione, che non sia soltanto attraverso i seppur utilissimi e validissimi blog e rubriche, bisognerebbe entrare a pieno titolo nel tessuto vivo del giornale, avviando un processo di trasformazione anche dentro le redazioni.<\/p>\n

\"\"Redazioni che vorremmo fossero attrezzate, non solo con un vademecum o linee di condotta, ma con redattrici e redattori formati su questi temi che possano evitare pericolosi scivoloni e produrre una nuova cultura, un nuovo modo di vedere le cose.<\/strong> Una specie di occhio di genere che attraverso giornalisti e giornaliste formati sulla materia, possano nei vari desk rintracciare e stimolare un nuovo linguaggio e un nuovo modo di raccontare la realt\u00e0, evitando non solo il neutro, ma anche mettendo in luce differenti aspetti di un certo avvenimento, compresi quelli legati al genere. Come esiste il giornalista di esteri, interni, cultura, sarebbe auspicabile che della violenza sulle donne e sui minori non si occupasse n\u00e9 il cronista n\u00e9 il redattore di turno, ma qualcuno che sa maneggiare l\u2019argomento.<\/p>\n

Lo mettereste uno che fa sport a fare la pagina di economia? Credo di no<\/p><\/blockquote>\n

\"\"Auspicare che le direzioni dei giornali si avvalgano di alcune figure professionali da inserire direttamente nel tessuto del giornale e che queste figure possano avere anche ruoli di responsabilit\u00e0, sarebbe un grande passo avanti. Ma si potrebbe parlare di vero e proprio salto se oltre agli argomenti, ci si attrezzasse per promuovere la soggettivit\u00e0 femminile direttamente all\u2019interno delle redazioni, tanto da scegliere la donna a parit\u00e0 di capacit\u00e0 con l\u2019uomo. Come indicano le Raccomandazioni Cedaw,<\/strong> \u00e8 indispensabile nel nostro Paese\u00a0\u00abadottare ulteriori misure per accelerare il raggiungimento della piena ed eguale partecipazione delle donne nei processi decisionali, a tutti i livelli e in tutti i settori\u00bb<\/strong><\/em>, senza dimenticare di\u00a0\u00absviluppare e applicare sistemi di valutazione del lavoro, basati su criteri di genere\u00bb<\/em>.<\/strong> Le donne oggi sono l\u2019avanguardia di un profondo cambiamento culturale che porter\u00e0 vantaggi all\u2019intera societ\u00e0 e alle nuove generazioni, maschi o femmine che siano.<\/p>\n

________________________________________________________________________<\/p>\n

Estratto del saggio “Femminicidio: per un’informazione che superi la rivittimizzazione mediatica” pubblicato in \u201cViolenza maschile e femminicidio<\/a>\u201d, M@gm@ vol.12 n.1 Gennaio – Aprile 2014<\/em><\/p>\n

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Si parla spesso di un cambiamento culturale per contrastare la violenza contro le donne in quanto fenomeno strutturale. Ma cosa significa cambiare la cultura? La cultura non \u00e8 un qualcosa di estraneo e si pu\u00f2 cambiare solo partendo da noi. 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