{"id":2873,"date":"2013-06-21T02:55:33","date_gmt":"2013-06-21T00:55:33","guid":{"rendered":"http:\/\/blog.ilmanifesto.it\/antiviolenza\/?p=2873"},"modified":"2021-02-04T00:40:07","modified_gmt":"2021-02-03T23:40:07","slug":"femminicidio-in-carta-narrazione-della-violenza-sui-media","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/donnexdiritti.com\/2013\/06\/21\/femminicidio-in-carta-narrazione-della-violenza-sui-media\/","title":{"rendered":"Femminicidio in carta: narrazione della violenza sui mass media"},"content":{"rendered":"

Si parla continuamente del bisogno di un cambiamento di cultura rispetto alla violenza contro le donne, ma cosa significa cambiare la cultura? Significa prima di tutto cambiare la percezione della violenza, e uno dei nodi fondamentali \u00e8 l’informazione che, a differenza di fiction o della pubblicit\u00e0, si pone come \u201coggettiva\u201d e per questo influenza in maniera diretta la percezione del problema che viene posto: un\u2019informazione che, qualora non venga data in maniera corretta, pu\u00f2 procurare anche distorsioni e danni.<\/p>\n

Riguardo l\u2019informazione sul fenomeno della violenza contro le donne, almeno fino a poco tempo fa, i media italiani continuavano a ricalcare una cultura stereotipata della donna, proponendo il problema in maniera distorta e fondamentalmente riduttiva,<\/strong> sia riportando per lo pi\u00f9 casi isolati di cronaca nera in cui si insisteva su particolari morbosi del fatto (anche quando si trattava di minori) e\/o sulla vita privata della vittima, sia organizzando salotti televisivi in cui tutti, anche chi non se ne occupava, parlava facendo \u201copinione\u201d sul fenomeno con una pericolosa banalizzazione del discorso in un contesto di urgenza e di sicurezza: il tutto a fronte di un problema che \u00e8 invece strutturale e profondo, come quello appunto della violenza maschile sulle donne.<\/p>\n

\"\"<\/p>\n

Sul femminicidio (termine che indica la morte di una donna con movente di genere), si \u00e8 parlato e scritto a lungo in termini di omicidi per mano di uomini in preda a raptus o come delitto passionale, mentre riguardo la violenza contro le donne \u2013 femminicidio (che comprenda una gamma che va dalla violenza fisica, sessuale, psicologica, economica), si parlava quasi esclusivamente di casi di violenza sessuale arrivati in tribunale, mettendo l\u2019accento sulla morbosit\u00e0 e\/o sulla \u201cconsensualit\u00e0 o meno\u201d della vittima e senza una chiara cognizione dell\u2019intero fenomeno. Ma chi informa deve essere informato e non pu\u00f2 prescindere da una formazione seria su temi cos\u00ec delicati che non possono essere improvvisati da professionisti dell\u2019informazione, come appunto siamo noi giornalisti e giornaliste.<\/strong><\/p>\n

In Italia sono stata una delle prime giornaliste a usare la parola femminicidio scrivendolo nero su \u201cIl Manifesto\u201d e il blog \u201cAntiviolenza\u201d sul Manifesto online, molto prima che l\u2019ondata di indignazione si scatenasse in maniera cos\u00ec forte. Con queste premesse, ho messo a punto il lavoro sul femmicidio-femminicidio nella Rete nazionale delle giornaliste italiane (Giulia) in cui, quando sono arrivata, nessuna sapeva l\u2019esatto significato dei termini<\/strong> ed era poco consapevole di tutto il dibattito internazionale, dall\u2019Onu al Consiglio d\u2019Europa, che ruotava intorno a questo argomento.<\/p>\n

\"\"<\/p>\n

Per questo alla fine del 2011 – dopo la stesura della Convezione di Istanbul e dopo il Rapporto Ombra della Piattaforma Cedaw portato dalle Ong italiane all’Onu di New York \u2013 ho creduto opportuno condividere il mio lavoro e il materiale da me raccolto e studiato, con le giornaliste della rete, e ci\u00f2 succedeva quando ancora nessuno, sulla stampa e in Tv, parlava ancora di femmicidio\/femminicidio<\/strong>, come succede adesso.<\/p>\n

Il tam tam che \u00e8 scaturito da quel lavoro ha portato l\u2019informazione a concentrarsi in maniera differente sul problema<\/p><\/blockquote>\n

e mi ricordo come le giornaliste dopo le nostre riunioni, andassero con grande tenacia nelle redazioni in cui lavoravano, cercando di portare faticosamente quel bagaglio di studi e di informazione all\u2019interno del lavoro nelle diverse testate in cui erano. E\u2019 stato cos\u00ec che dall\u2019inizio del 2012 le giornaliste della Rete, e poi anche fuori dalla Rete, hanno cominciato a dare una prospettiva diversa al trattamento della violenza contro le donne all\u2019interno dell\u2019informazione<\/strong>, sia dandosi maggiori strumenti di analisi, sia ascoltando di pi\u00f9 la societ\u00e0 civile a contatto con le donne che subiscono violenza<\/strong> (come per esempio i centri Antiviolenza, le avvocate e le psicologhe specializzate, i movimenti delle donne), al fine di argomentare il fenomeno con una prospettiva che superasse il<\/p>\n

pregiudizio discriminatorio sia sulle donne che rispetto alla considerazione di un argomento \u201cinferiore\u201d e privo di una sua dimensione specifica di genere<\/p><\/blockquote>\n

\"\"Gi\u00e0 a marzo del 2012, dopo un mio ampio articolo sul femmincidio (\u201cIl Manifesto\u201d – 7 marzo 2012 – “La famiglia italiana fa pi\u00f9 vittime della mafia”), da parte delle giudici Antonella Di Florio (Tribunale civile di Roma) e Tiziana Coccoluto (Tribunale Penale di Roma), mi \u00e8 stato chiesto di istituire insieme un tavolo interdisciplinare<\/strong> che mettesse in contatto diverse categorie professionali (giudici, avvocati, giornalismo, psicologi, e societ\u00e0 civile) intorno al tema del femminicidio.<\/strong> Un altro grande passo avanti nella costruzione di una rete sempre pi\u00f9 larga e con contenuti professionalmente alti, che ha prodotto un tavolo proficuo dal titolo \u201cFemminicidio: analisi, metodologia e intervento in ambito giudiziario. Per una strategia concreta di lavoro interdisciplinare\u201d<\/em>,<\/strong> in cui erano sedute la procuratrice Maria Monteleone, la giudice Franca Mangano, la direttrice dello Sco, Luisa Pellizzari, l\u2019avvocata Barbara Spinelli, i giudici di Cassazione Giovanni Diotallevi ed Elisabetta Rosi, la psicologa Elvira Reale, e Vittoria Tola dell\u2019Udi (oltre la sottoscritta e la giudice Antonella Florio che conduceva).<\/p>\n

Un tavolo voluto da Magistratura Democratica, Giulia e Giuristi democratici, che, tra tutti i tavoli e i convegni che ho fatto nel corso di questi anni, \u00e8 stato uno dei pi\u00f9 importanti incontri sul femminicidio con spunti di riflessione che sono stati poi ripresi<\/strong> in diversi ambiti di discussione, e in cui gi\u00e0 si auspicava la ratifica della Convenzione di Istanbul.<\/strong> Convenzione che oggi, finalmente, vediamo ratificata dall\u2019Italia soprattutto per merito e sotto la spinta di tutta quella parte di donne, professioniste e della societ\u00e0 civile, che si \u00e8 mobilitata e ha prodotto sapere e consapevolezza su questo fenomeno, come oggi questo convegno.<\/p>\n

\"\"<\/p>\n

Un approccio, dicevo, interdisciplinare, indispensabile se si vuole intervenire con efficacia sulla violenza di genere nella sua trasversalit\u00e0, proprio perch\u00e9 la violenza discende da una discriminazione profonda delle donne che attraversa tutta la societ\u00e0, nessuna sua parte esclusa. Un sistema che oggi trova d\u2019accordo anche la ministra del pari opportunit\u00e0 Idem, sia per il suo dialogo con la societ\u00e0 civile – con l’istituzione di tavoli di discussione specifici – sia nell’organizzazione del tavolo interministeriale, che comprende il coinvolgimento dei ministri interessati<\/strong> (giustizia, istruzione, sanit\u00e0, interno, lavoro, ecc), a dimostrazione che senza un coinvolgimento di diversi ambiti di competenza non \u00e8 possibile affrontare un fenomeno che in Italia non \u00e8 un’emergenza ma un problema strutturale profondo. Ovviamente, auspichiamo che tutto questo sia fatto attraverso una preliminare indagine accurata – e speriamo anche in una commissione ad hoc<\/em> – che avvii un monitoraggio sulla realt\u00e0 riguardo la violenza contro le donne\/femminicidio,<\/strong> in un\u2019Italia gi\u00e0 redarguita dall’ONU con le Raccomandazioni Cedaw e quelle della Special Rapporteur, Rashida Manjoo, e nel rispetto della appena ratificata Convenzione di Istanbul.<\/p>\n

\"\"<\/strong>L\u2019impreparazione per\u00f2, non \u00e8 solo dei giornalisti ma degli stessi legislatori e delle istituzioni italiane. Un esempio \u00e8 l’ignoranza con cui si usa femmicidio e femminicidio, la cui differenza ci ha spiegato l\u2019avvocata Spinelli: un errore che non solo tocca i media ma anche le istituzioni – come dimostrato dal dibattito in aula della ratifica della Convezione di Istanbul a cui ho assistito alla Camera, e dove abbondavano termini scorretti e interventi che toccavano solo in superficie il problema.<\/strong> Risolvere quindi il problema culturale \u00e8 il nodo: ma lo dobbiamo fare da sole? Io farei un passo in pi\u00f9 perch\u00e9 vorrei costringere gli uomini a darci retta, a fare quello che noi diciamo, perch\u00e9 questa \u00e8 la vera scommessa: costringere gli uomini a prendere in mano il problema nella modalit\u00e0 da noi indicata perch\u00e9 comunque li riguarda.<\/p>\n

Nei giornali, per esempio, la maggioranza dei direttori e caporedattori centrali qui in Italia sono uomini, e per far adottare la parola femminicidio \u00e8 stata una lotta immane<\/p><\/blockquote>\n

figuriamoci per il resto. Giorni fa sono stata al #nohatespeech, seminario alla Camera promosso dalla presidente Laura Boldrini, e l\u00ec io, Loredana Lipperini e Lorella Zanardo, abbiamo parlato della violenza sulle donne nel web, un fenomeno odioso quanto grave di cui noi stesse siamo state oggetto<\/strong>, ma il muro sembra duro da abbattere.<\/p>\n

\"\"<\/p>\n

E ci\u00f2 \u00e8 dimostrato dal fatto che quando la presidente Boldrini, vittima di attacchi sessiti violenti, si \u00e8 mossa su questo, \u00e8 stata gridata la parola \u201ccensura\u201d malgrado lei non l\u2019avesse proferita, per una sottovalutazione di quello che rappresenta in realt\u00e0 la violenza sessista e discriminatoria,<\/strong> anche a mezzo web, contro le donne.<\/p>\n

Ma quel \u00e8 la libert\u00e0 di espressione che si rappresenta in uno sfogo violento fatto di epiteti e minacce?<\/p><\/blockquote>\n

In quella sede cos\u00ec importante e con addetti ai lavori, pochi hanno capito per\u00f2 la connessione tra la violenza psicologica, presente in tutte le convenzioni internazionali che riguardano le donne (dalla Cedaw alla Convenzione di Istanbul), e i suicidi delle ragazze che hanno subito assalti mediatici<\/strong>. Non si capisce che non accettare la violenza in tutte le sue forme, compresa quella psicologica anche mediata dalla nuova tecnologia, non significa censurare perch\u00e9 quella non \u00e8 libert\u00e0.<\/p>\n

\"\"Un pregiudizio, quello della discriminazione di genere, che non passa solo attraverso i media o il web, ma anche con l\u2019insegnamento nelle scuole in cui le protagoniste della storia umana vengono oscurate, nel trattamento delle donne nei posti di lavoro, o in famiglia nei ruoli che \u201ccompetono\u201d le donne<\/strong>, e anche in ambito giudiziario dove \u2013 al di l\u00e0 di un impianto giuridico anche attrezzato – ancora oggi le donne possono non essere credute quando denunciano una violenza.<\/p>\n

Donne che rischiano di essere rivittimizzate in tribunale, che non hanno la dovuta protezione nel lasso di tempo che va dalla querela al giudizio (momento in cui sono pi\u00f9 vulnerabili), che possono essere costrette a un affido condiviso coatto anche in presenza di violenza domestica se il procedimento penale non viene esplicato nei tempi dovuti<\/strong> (e quindi la violenza non \u00e8 tenuta in considerazione), che si ritrovano ancora adesso rimandate a casa dalle forze dell’ordine per mancanza di preparazione e di formazione di tutti gli operatori che si possono trovare ad avere a che fare con reati di questo tipo su tutto il territorio nazionale (come dimostrato anche dal fatto che il 70% dei femmicidi italiani del 2012 erano stati segnali ai servizi sociali o alle forze dell\u2019ordine).<\/p>\n

\"\"<\/strong>Il punto cruciale \u00e8 allora la percezione della violenza nella sua reale gravit\u00e0: una cultura della \u201csottovalutazione della violenza\u201d che traspare ovunque con conseguenze enormi, e in cui si rischia di far passare come normalit\u00e0, un danno o una violazione.<\/strong> Per questo l\u2019informazione ha un ruolo fondamentale: perch\u00e9 se i media sostengono in massa questa cultura della sottovalutazione \u2013 che poggia sul pregiudizio della discriminazione di genere \u2013 \u00e8 ovvio che anche la percezione dell\u2019intera opinione pubblica sar\u00e0 tale, a parte eccezioni.<\/p>\n

Raccontare uno stupro come una storiella, insinuare che lei era consenziente, andare a rovistare nelle storie intime, parlare di delitto passionale, non \u00e8 solo scorretto a ma \u00e8 dannoso<\/p><\/blockquote>\n

e per questo noi cercheremo di agire entrando nelle redazioni sulla base anche delle indicazioni ONU e della Convenzione di Istanbul. Le donne oggi sono l\u2019avanguardia di un profondo cambiamento culturale che far\u00e0 bene a tutti e che porter\u00e0 vantaggi all’intera societ\u00e0, sia alle donne che agli uomini,<\/strong> ma gli uomini devono ascoltarci e prendere sul serio le nostre indicazioni.<\/p>\n

________________________________________________________________________<\/p>\n

Indagine di Luisa Betti Dakli sui Media e femminicidio presentata nell\u2019ambito del Convegno \u201cViolenza di genere: nuove forme di tutela dei diritti fondamentali \u2013 Il femminicidio e la Convenzione di Istanbul\u201d<\/strong>, organizzato da ADMI (Associazione Magistrate Democratiche Italiane) a Roma presso sala Occorsio del Tribunale\u00a0<\/strong>Penale di Roma.<\/em><\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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