{"id":20623,"date":"2021-08-18T10:47:21","date_gmt":"2021-08-18T08:47:21","guid":{"rendered":"https:\/\/donnexdiritti.com\/?p=20623"},"modified":"2021-08-18T10:48:25","modified_gmt":"2021-08-18T08:48:25","slug":"perche-il-ritorno-dei-talebani-e-una-catastrofe-per-le-donne-afghane","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/donnexdiritti.com\/2021\/08\/18\/perche-il-ritorno-dei-talebani-e-una-catastrofe-per-le-donne-afghane\/","title":{"rendered":"Perch\u00e9 il ritorno dei talebani \u00e8 una catastrofe per le donne afghane"},"content":{"rendered":"

Una mattina dell\u2019estate 1999, Shukriya Barakzai<\/strong> si \u00e8 svegliata stordita e febbricitante. Secondo le regole dei Talebani, aveva bisogno di un \u201cMaharram\u201d, un tutore maschile per uscire di casa e andare dal dottore. Suo marito si trovava a lavoro e non avendo figli maschi ha deciso di rasare la testa della sua bambina di due anni, vestendola con abiti maschili per farla passare come tutore, ed \u00e8 scivolata dentro a un burqa. Le sue pieghe blu nascondevano la punta delle dita, dipinte con smalto rosso in violazione del divieto dei talebani.<\/strong> Ha quindi chiesto alla sua vicina, un\u2019altra donna, di accompagnarla dal medico al centro di Kabul.<\/p>\n

La storia di Shukriya Barakzai<\/strong><\/h4>\n
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Shukriya Barakzai<\/figcaption><\/figure>\n

Intorno alle 16:30 hanno lasciato lo studio del medico con una prescrizione. Mentre si dirigevano verso la farmacia, un camion carico di talebani del Ministero per la propagazione della virt\u00f9 e buoncostume si \u00e8 fermato accanto a loro.<\/strong> Gli uomini andavano regolarmente in giro per Kabul su camioncini e in gruppo, alla ricerca di donne da mettere alla gogna pubblica e punirle per aver violato il codice morale. Gli uomini sono saltati gi\u00f9 dal camion e hanno cominciato a frustare Barakzai con un cavo di gomma finch\u00e9 non \u00e8 caduta, per poi continuare a frustarla<\/strong>. Una volta terminato, la donna si \u00e8 alzata piangendo, scioccata e umiliata: non era mai stata picchiata prima.<\/p>\n

\u201cConosci il termine sadismo?\u201d mi ha chiesto Barakzai di recente. \u201cCome se non sapessero il perch\u00e9, il loro unico desiderio era quello di picchiarti, farti del male, mancarti di rispetto. Questo \u00e8 ci\u00f2 di cui godono, nemmeno loro ne conoscono il vero motivo\u201d<\/p><\/blockquote>\n

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Bimba di 11 anni studia a casa, dopo che la sua famiglia e\u0300 fuggita dai combattimenti nella provincia di Ghazni<\/figcaption><\/figure>\n

Shukriya Barakzai<\/strong> fa coincidere questo momento con la nascita della sua vita come attivista. Prima che la capitale dell’Afghanistan cadesse durante la guerra civile del 1992, Barakzai aveva studiato Idrometeorologia e geofisica all’Universit\u00e0 di Kabul.<\/p>\n

\"\"Quando i talebani, allora una milizia relativamente nuova, salirono al potere nel 1996, le donne afghane furono costrette tutte ad abbandonare gli studi<\/strong>. Quando Barakzai si riprese dal pestaggio, aveva una sola idea in testa: organizzare corsi clandestini per ragazze nel grande condominio di circa 45 famiglie dove lei e la sua famiglia vivevano. In seguito Barakzai \u00e8 stata eletta in Parlamento, ha avuto due mandati e ha contribuito a redigere la costituzione dell’Afghanistan.<\/strong><\/p>\n

L\u2019Afghanistan dei talebani<\/strong><\/h4>\n
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Studentesse a Kandahar<\/figcaption><\/figure>\n

Ho viaggiato per la prima volta in Afghanistan nel maggio 2000, quando avevo 26 anni. All’epoca vivevo in India, e come fotoreporter mi occupavo delle donne nell’Asia meridionale ma ero molto curiosa di come vivessero le donne sotto i talebani. L’Afghanistan stava emergendo dopo 20 anni di conflitto brutale, prima con la Russia, e poi dopo una lunga guerra civile che aveva lasciato Kabul completamente a terra.<\/strong> A met\u00e0 degli anni ’90 i talebani avevano promesso di porre fine alle violenze e molti afghani, stremati da anni di insicurezza e distruzione implacabile, non si opposero al gruppo fondamentalista-islamico. Ma la pace ottenuta \u00e8 costata cara, con la privazione di molte libert\u00e0 sociali, politiche e religiose.<\/p>\n

La prima volta che sono arrivata in Afghanistan, i talebani avevano gi\u00e0 applicato la Sharia, la legge islamica<\/p><\/blockquote>\n

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Laureande a Kabul<\/figcaption><\/figure>\n

L’istruzione femminile era proibita in quasi tutti i casi, e le donne (a eccezione di medici selezionati e approvati) non erano autorizzate a lavorare fuori casa n\u00e9 potevano lasciare le mura domestiche senza un tutore maschile. Le donne che uscivano erano costrette a indossare il burka<\/strong>: un indumento tradizionale che copre le donne dalla testa fino alle caviglie coprendole completamente e quindi rendendole non identificabili in pubblico. In generale tutte le forme di intrattenimento erano vietate: musica, televisione, socializzazione al di fuori della famiglia. La maggior parte degli afghani istruiti erano gi\u00e0 fuggiti nel vicino Pakistan o altrove, mentre quelli che erano rimasti sono stati costretti a cambiare vita per conformarsi ai dettami del regime oppressivo.<\/p>\n

\u00a0<\/strong>I viaggi clandestini<\/strong><\/h4>\n
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Farzana ha cercato di togliersi la vita auto-immolandosi dopo essere stata picchiata dai suoceri<\/figcaption><\/figure>\n

In quanto donna americana single<\/em>, avevo bisogno di un marito fittizio per muovermi in Afghanistan e per scattare fotografie senza essere catturata (la fotografia era proibita dai talebani).<\/strong> Cos\u00ec ho preso contatto con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, una delle poche organizzazioni internazionali ancora in funzione in Afghanistan, e con il Programma globale afghano per i disabili, un’agenzia Onu che ha cercato di riabilitare le vittime delle mine sparse in tutto il Paese. Loro mi hanno organizzato scorte di uomini, autisti e traduttori, che mi hanno permesso di attraversare le province di Ghazni, Logar, Wardak, Nangarhar, Herat e Kabul dove ho potuto fotografare e intervistare molte donne afghane<\/strong>. Questo per\u00f2 ha avuto anche i suoi vantaggi: essere una fotoreporter donna significava anche avere libero accesso in spazi in cui gli uomini non potevano entrare per tradizione o per legge.<\/p>\n

\"\"Dal maggio 2000 al marzo 2001, nel corso di tre viaggi, mi sono spostata con le macchine fotografiche e la videocamera nascosti in una piccola borsa, e sono andata in case private, ospedali femminili, e scuole segrete per ragazze<\/strong>. Ho partecipato a matrimoni clandestini misti dove la colonna sonora del \u201cTitanic\u201d rimbalzava sulle pareti del seminterrato in cemento mentre uomini e donne pesantemente truccate (con lo smalto alle unghie) danzavano gioiosi: un piacere semplice che era punibile con l’esecuzione sotto il regime talebano.<\/p>\n

Il silenzio della vita sotto il regime dei talebani \u00e8 la cosa che ricordo meglio. pochissime auto, niente musica, niente televisione n\u00e8 telefoni, e niente chiacchiere sui marciapiedi<\/p><\/blockquote>\n

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Le donne tornano ai loro villaggi nella provincia di Badakhshan<\/figcaption><\/figure>\n

Le strade polverose erano affollate di vedove che avevano perso i loro mariti in guerra: essendo bandite dal lavoro, il loro unico mezzo di sopravvivenza era quello di mendicare. <\/strong>La gente era spaventata, dentro e fuori. Chi aveva coraggio teneva comunque un basso profilo, per paura di un pestaggio talebano per qualcosa di semplice come una barba non abbastanza lunga (per un uomo) o un burka troppo corto (per una donna), o a volte per un niente.<\/p>\n

Quando il nastro marrone lucido della cassette musicali pendeva da alberi, segnali stradali o pali della luce, l\u00ec qualcuno aveva osato infrangere la legge ascoltando musica illegalmente<\/em><\/p><\/blockquote>\n

Le partite allo stadio Ghazi di Kabul erano sostituite con esecuzioni pubbliche, il venerd\u00ec dopo la preghiera. I funzionari talebani usavano bulldozer o carri armati per spiaccicare contro i muri uomini accusati di essere gay. <\/strong>Mentre tagliavano la mano a chi veniva accusato di essere un ladro, e lapidavano le donne accusate di adulterio.<\/p>\n

La forza delle donne afghane<\/strong><\/h4>\n
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Donne a Kabul<\/figcaption><\/figure>\n

Durante questi viaggi, ho assistito alla forza e alla resistenza delle donne afghane. Spesso mi sono chiesta cosa sarebbe stato dell’Afghanistan se i talebani fossero caduti.<\/strong> Immaginavo che gli uomini e le donne che mi offrivano cos\u00ec grande ospitalit\u00e0, umorismo e forza avrebbero prosperato, e che gli afghani che erano fuggiti dal loro paese sarebbero potuti finalmente tornare a casa. Poi arrivarono l\u2019attacco dell\u201911 settembre 2001 e poco dopo l\u2019invasione americana dell’Afghanistan.<\/strong> I talebani furono cacciati e le donne si dimostrarono preziosissime per il lavoro di ricostruzione di quel paese distrutto. Ho potuto vedere con i miei occhi l\u2019ottimismo, la determinazione e la fiducia nello sviluppo e nel futuro dell’Afghanistan.<\/p>\n

Eppure anche quando i talebani scomparvero dalle citt\u00e0 e dai villaggi, molti dei loro precetti, che avevano profonde radici nella societ\u00e0 afghana, hanno resistito<\/em><\/p><\/blockquote>\n

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Addestramento delle poliziotte afghane<\/figcaption><\/figure>\n

Ho fotografato la sconfitta dei talebani a Kandahar alla fine del 2001 e sono ritornata nel paese con la mia macchina fotografica almeno una dozzina di volte negli ultimi vent\u2019anni. Da Kabul a Kandahar, da Herat a Badakhshan, ho fotografato donne che si recavano a scuola, che si laureavano, che si specializzavano come chirurghe, che facevano nascere bambini<\/strong>, che lavoravano come ostetriche, che si candidavano in Parlamento e che entravano nel governo, che guidavano la macchina, si addestravano per diventare poliziotte<\/strong>, recitavano in un film, lavoravano come giornaliste, traduttrici, conduttrici, collaborando con organizzazioni internazionali. <\/strong>Molte di loro cercavano di bilanciare il lavoro con la famiglia, un mestiere impossibile, per essere al contempo una moglie, una madre, una sorella o una figlia in un luogo dove le donne rompevano i soffitti di cristallo ogni giorno, e spesso a un grande prezzo.<\/p>\n

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Manizha Naderi<\/figcaption><\/figure>\n

Una delle persone che ho incontrato durante i miei viaggi \u00e8 stata Manizha Naderi, co-fondatrice di \u201cWomen for Afghan Women\u201d<\/strong>. Per pi\u00f9 di un decennio la sua organizzazione ha aiutato ad costruire reti di rifugio, assistenza, servizi legali per le donne afghane che avevano problemi in famiglia, che erano vittime di abusi o che erano in prigione senza essere rappresentate. Naderi ora vive con la sua famiglia a New York e quando abbiamo parlato le ho chiesto se pensava che le cose fossero davvero migliorate per donne afghane negli ultimi due decenni.<\/strong> \u201cAssolutamente s\u00ec\u201d, mi ha risposto. \u201cPrima che gli americani invadessero l\u2019Afghanistan, non c\u2019era niente, n\u00e9 infrastrutture, n\u00e9 un sistema legale o di istruzione, non c\u2019era nulla. Negli ultimi 20 anni tutto \u00e8 stato creato nel paese, dall\u2019educazione, al sistema legale, all\u2019economia. Le donne ci hanno guadagnato in tutto e per tutto. <\/strong>Non solo loro, ma in generale la popolazione afghana ha fatto davvero molti progressi\u201d.<\/p>\n

Il ritorno dei talebani<\/strong><\/p>\n

\"\"Adesso per\u00f2 questi progressi sono destinati a sparire. Durante la settimana scorsa, i talebani sono riusciti a conquistare tutte le principali citt\u00e0 del Paese, hanno assediato Kabul e il Presidente afghano Ashraf Ghani \u00e8 scappato. <\/strong>I militanti hanno sfondato le porte della prigione e hanno rilasciato migliaia di prigionieri, hanno mandato le donne a casa dal posto di lavoro e rimosso le ragazze delle scuole.<\/strong> Nell\u2019avanzata verso la capitale, le forze talebane hanno distrutto le strutture sanitarie, ucciso civili e hanno lasciato migliaia di afghani dispersi.<\/p>\n

Alcuni affermano anche che i talebani abbiano costretto alcune donne dei villaggi conquistati a sposare i talebani ancora senza moglie (anche se il gruppo ha negato queste stesse affermazioni)<\/p><\/blockquote>\n

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Fawzia Koofi<\/figcaption><\/figure>\n

Fawzia Koofi<\/strong> \u00e8 un\u2019altra donna che ho conosciuto in Afghanistan che ha dedicato la sua vita al suo paese da quando i talebani sono saliti al potere nel 1996. Anche lei negli anni \u201990 ha dato il via a una rete segreta di scuole per ragazze a casa sua, in provincia di Badakhshan<\/strong>. Koofi \u00e8 stata in Parlamento dal 2005 al 2019 ed \u00e8 stata una delle persone che ha rappresentato la Repubblica dell\u2019Afghanistan durante i negoziati per la pace con i talebani prima della partenza delle truppe americane dal paese.<\/strong> Quando l’ho incontrata per la prima volta, nel 2009, era a Kabul insieme a un piccolo gruppo di consiglieri maschi e una scorta di sicurezza, e stava tornando a casa dopo lunghi giorni passati in Parlamento. Davanti la sua casa c\u2019era una fila di persone con diverse richieste su vari problemi. Koofi ha anche cresciuto due figlie da sola: suo marito \u00e8 morto di tubercolosi nel 2003, contratta mentre era prigioniero dei talebani. Lei per\u00f2 sembrava non fermarsi, non si stancava mai.<\/p>\n

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Maida-Khal, 22 anni, grida nella sua cella nel carcere di Mazar-e Sharif. A 12 anni, era sposata con un uomo di 70 paralizzato. Incapace di trasportarlo e\u0300 stata picchiata dai fratelli. Ha chiesto il divorzio, e\u0300 stata imprigionata<\/figcaption><\/figure>\n

I talebani hanno tentato di assassinarla due volte, e per precauzione portava sempre con s\u00e9 una lettera scritta per le sue figlie di suo pugno. <\/strong>Quando ho chiamato Koofi, qualche settimana fa a Kabul, i talebani stavano gi\u00e0 guadagnando terreno in tutto il paese. Koofi era molto scettica sulle loro promesse riguardo la libert\u00e0 delle donne afghane di studiare e lavorare fuori casa.<\/strong> Le ho chiesto se aveva paura.<\/p>\n

“Onestamente, non ho paura di essere assassinata – mi ha detto \u2013 ma ho paura di vedere il mio paese ancora una volta cadere nel caos\u201d<\/em><\/p><\/blockquote>\n

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Le strade di Kabul prima dei talebani<\/figcaption><\/figure>\n

Mentre i talebani invadevano l’Afghanistan, Koofi passava gran parte del suo tempo a rispondere alle numerose telefonate di uomini e donne terrorizzati da una possibile conquista. Era frustrata per il fatto di poter offrire ben poca consolazione. Poco prima di parlare con Koofi, una donna incinta l’aveva chiamata da Faizabad, la capitale di Badakhshan, un luogo che ho visitato nel 2009 per documentare gli alti tassi di morte materna, ridotta dai vari progressi fatti negli ultimi 10 anni. La donna che chiamava Koofi aveva bisogno di far nascere il suo bambino con parto cesario, ma i talebani si stavano avvicinando e lei temeva che non sarebbe riuscita ad arrivare all’ospedale per l’intervento.<\/strong> Mancavano solo tre settimane al parto e non c’era modo di farle lasciare la casa. Cosa poteva fare? Se la donna non avesse partorito col cesareo, sarebbe potuta morire, ma Koofi non aveva modo di aiutarla da Kabul. La settimana scorsa, Faizabad \u00e8 caduta in mano ai talebani e della donna non si sa pi\u00f9 nulla.<\/p>\n

Il burka alle stelle<\/strong><\/h4>\n

\"\"<\/p>\n

Ultimamente il prezzo del burka \u00e8 raddoppiato e in alcuni casi \u00e8 triplicato. Le donne stanno acquistando l’armatura per proteggersi dai talebani: il velo integrale. Nel fine settimana, mentre i talebani circondavano Kabul, ho chiesto a Koofi come stava e cosa intendeva fare. Domenica \u00e8 scappata di casa e ora \u00e8 nascosta da qualche parte in Afghanistan. “Nessuno ci sta aiutando”<\/strong>, mi ha detto. “Tu puoi parlare con gli americani?”. Ho ricevuto messaggi come questo ogni giorno da ex traduttrici e soggetti in pericolo, messaggi di paura che chiedevano un modo per uscire dall’Afghanistan. Non lo so, \u00e8 stata la mia risposta.<\/p>\n

Non so dove si possa andare. Ma non credo che l’America vi aiuter\u00e0 pi\u00f9. No, non credo che daranno un visto a te, a tuo fratello o al mio ex autista di 11 anni fa. Non so cosa succeder\u00e0 alle donne in Afghanistan<\/em><\/p><\/blockquote>\n

\"\"<\/p>\n

Tutto quello che so \u00e8 che le donne che ho incontrato in questi ultimi 20 anni mi hanno stupito con la loro determinazione. Mi hanno fatto piegare dalle risate e dalle lacrime. Penso a quel bellissimo pomeriggio a Kabul nel 2010, quando ero in macchina con un’attrice afghana.<\/strong> La sua bella faccia completamente truccata e i capelli scoperti mentre metteva musica iraniana e ballava con le mani intorno al volante. Ha passato i posti di blocco, gruppi di burka, e uomini spaventati e beffardi. Ha riso, e io ho riso con lei, e ho pensato a quanto fossero arrivate lontano le donne afghane.<\/strong> I talebani non possono togliere alle donne afghane ci\u00f2 che sono diventate negli ultimi 20 anni: la loro istruzione, la loro voglia di lavorare, il loro gusto per la libert\u00e0.<\/p>\n

\"\"<\/p>\n

E c’\u00e8 una nuova generazione di donne afghane oggi, donne che non possono ricordare com’era vivere sotto i talebani. “Sono piene di energia, speranza e sogni”, mi ha detto Shukriya Barakzai<\/strong>. “Non sono come me 20 anni fa. Sono pi\u00f9 attente. Stanno comunicando con il mondo. Non \u00e8 pi\u00f9 l\u2019Afghanistan distrutto da una guerra civile. \u00c8 un Afghanistan sviluppato e libero, con media liberi, con le donne pi\u00f9 libere”. \u201cI talebani hanno preso il paese, tutto il territorio – dice Barakzai – ma non riusciranno a prendere i cuori e le menti delle persone”.<\/strong><\/p>\n

________________________<\/strong><\/p>\n

Questo articolo \u00e8 stato scritto da Lynsey Addario<\/strong> e pubblicato il 16 agosto 2021 su The Atlantic<\/a> – Traduzione di DonnexDiritti<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

Una mattina dell\u2019estate 1999, Shukriya Barakzai si \u00e8 svegliata stordita e febbricitante. Secondo le regole dei Talebani, aveva bisogno di un \u201cMaharram\u201d, un tutore maschile per uscire di casa e andare dal dottore. 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