![\"\"](\"https:\/\/donnexdiritti.com\/wp-content\/uploads\/2021\/06\/Trisha-Brown.jpg\")
Frammentariet\u00e0 dei linguaggi visivi, sconfinamenti inaspettati ed equilibri precari, sono alla base dell\u2019arte contemporanea e la performance \u00e8 l\u2019espressione artistica perfetta in cui far confluire queste peculiari caratteristiche fondamentali che hanno superato i canoni. Nella performance l\u2019azione dell\u2019artista \u00e8 strettamente connessa all\u2019esperienza del pubblico<\/strong> in uno scambio reciproco di offerta e trasformazione interiore. Nel libro di Lea Vergine \u201cIl corpo come linguaggio. Body Art e Performance\u201d (Prearo Editore, Milano, 1974) compare anche il nome di Trisha Brown<\/strong>, un\u2019artista che non appartiene strettamente n\u00e9 al campo delle arti visive n\u00e9 a quello della performance. La presenza di questa danzatrice e coreografa americana \u00e8 la spia di un grande cambiamento in atto.<\/p>\n nel secondo Novecento si accelera infatti quel processo di ibridazione dei linguaggi che gi\u00e0 le avanguardie storiche avevano sperimentato agli inizi del secolo. Crollano le barriere fra le discipline: arte, danza, musica e poesia entrano in dialogo fra loro forse come non mai prima d\u2019ora<\/p><\/blockquote>\n Romina de Novellis \u00e8 stata una ballerina professionista, nel 1999 si \u00e8 diplomata con il metodo Royal Academy of Dance London e nel 2001 ha fondato la sua compagnia a Roma mentre si formava con il Tanztheatre Wuppertal<\/strong>. Una carriera ben avviata con maestre del calibro di Pina Baush, Carolyn Carlson ed Emma Dante,<\/strong> stroncata nel 2006 da un grave incidente che l’ha immobilizzata a letto per lungo tempo. Il trauma della perdita dell\u2019uso del corpo \u00e8 stato guarito con la performance che \u00e8 stata la naturale evoluzione della danza<\/strong>, il medium artistico per eccellenza per poter continuare a raccontare storie con il corpo. Come scrive Mininni (\u201cArte in Scena.<\/p>\n La performance in Italia 1965-1980\u201d, Danilo Montanari Editore, Ravenna, 1995): \u201cDa sempre, infatti, il corpo parla un suo linguaggio, seguendo numerosi riti comportamentali, riconducibili a prima vista alla qualificazione di appartenenza alla razza, religione o classe sociale [\u2026] Non c\u2019\u00e8 paese o cultura che non eserciti il suo potere appoggiando certi modi di comportamento<\/strong> o, nello stesso tempo, creando delle strategie di discredito per far apparire immorale o antisociale chi esce dalla norma. Tutto questo si riflette sull\u2019individuo, che soffre per l\u2019impossibilit\u00e0 di un atteggiamento spontaneo, rendendolo pi\u00f9 facilmente soggetto alla nevrosi\u201d.<\/p>\n La performance \u00e8 l\u2019esaltazione della libert\u00e0 nell’unione di arte e vita, forse utopica ma affascinante, che era gi\u00e0 stata sperimentata dai Futuristi italiani e dai Dadaisti nella prima met\u00e0 del Novecento<\/p><\/blockquote>\n Ma poi ripresa nel Giappone degli anni ’50 dagli artisti del gruppo Gutaj e, pochi anni dopo, in America, in quel mitico Black Mountain College californiano in cui John Cage<\/strong> mette in scena il suo primo happening<\/em>: \u201cIl termine \u2013 dice Minniti – non si riferisce a una forma d\u2019arte chiaramente individuata ma piuttosto a una pluralit\u00e0 di rappresentazioni, che vanno dall\u2019immagine statica (che coinvolge soltanto l\u2019ambiente) a pi\u00e8ces <\/em>elaborate, che possono essere paragonate a opere teatrali,<\/strong> anche se con sostanziali differenze [\u2026] L\u2019happening \u00e8 dunque un\u2019immagine aperta, in cui molto \u00e8 lasciato al caso e all\u2019improvvisazione, dove il pubblico cessa di essere puro spettatore e diventa parte e oggetto dell\u2019azione\u201d.<\/p>\n Dalla fine degli anni ’60 avviene dunque un mutamento dell\u2019estetica il quale si basa sul processo di sconfinamento che si realizza nell\u2019evento e non pi\u00f9 nell\u2019opera.<\/strong> La performance \u00e8 dunque un momento sociale, anche quando si svolge in solitaria come nelle azioni catartiche di Gina Pane<\/strong>, che ha in s\u00e9 le caratteristiche peculiari del rito e dello spettacolo. \u00c8 un fenomeno difficile da ingabbiare in una definizione, dato che si appropria di elementi tratti anche dalla danza e dalla musica e rappresenta l\u2019inesauribile vertigine di libert\u00e0 creativa attraverso cui l\u2019artista offre una proiezione di s\u00e9 totalmente originale.<\/strong><\/p>\n Non stupisce quindi che molte artiste<\/strong> abbiano trovato nella performance il mezzo espressivo ideale per raccontare e raccontarsi in un costante confronto anche con le questioni legate alla femminilit\u00e0 e all\u2019autorappresentazione. \u201cCon la performance il corpo femminile si emancipa dalla passivit\u00e0 che la cultura per secoli gli ha riservato<\/strong> [\u2026] per diventare soggetto, per generare l\u2019opera [\u2026]\u201d, dice \u00a0Federica Bor\u00e0gina, in \u201cWomen in Fluxus and other experimental tales, Eventi partiture performance\u201d.<\/p>\n \u201cLa performance \u00e8 un paradigma del femminismo stesso\u201d, afferma l\u2019artista Josephine Withers<\/strong> in \u201cFeminist Performance Art: performing, discovery, tranforming ourself\u201d. Ragionamento ripreso dalla sua collega Cheri Gaulke<\/strong> in \u201cPerformance Art of the Woman\u2019s Building\u201d, scrivendo: \u201cCi\u00f2 perch\u00e9 noi siamo su un palcoscenico in ogni momento delle nostre vite. Recitando il nostro ruolo di donne.<\/strong> La performance \u00e8 una dichiarazione del S\u00e9 \u2013 di chi siamo \u2013 una danza sciamanica attraverso la quale entriamo in altri stati di consapevolezza, ricordandoci nuove visioni di noi stesse”.<\/strong><\/p>\n “E nella performance noi troviamo una forma d\u2019arte che era giovane, senza la tradizione della pittura e della scultura. Senza la tradizione governata dagli uomini. La scarpetta calza alla perfezione, e cos\u00ec, come Cenerentola, noi corriamo”<\/p><\/blockquote>\n Le sue performance sono un invito a condividere la sua intimit\u00e0, come \u201cLa Veglia\u201d (2016),<\/strong> realizzata a Parigi nell\u2019appartamento del critico Marc Lenot.<\/strong> Romina nuda e in ginocchio siede dietro una sorta di schermo realizzato con fili di lana tesi da un muro all\u2019altro. L\u2019artista, come se fosse in meditazione, sempre compiendo lo stesso gesto, lentamente disfa quel muro fittizio togliendo e avvolgendo i fili uno per uno<\/strong>. L\u2019azione cominciata all\u2019alba si \u00e8 svolta senza interruzione fino al tramonto, filo dopo filo, facendo passare l\u2019artista da uno stato di completa invisibilit\u00e0 durante il giorno alla totale visibilit\u00e0 con il calare del sole, in un gioco di suggestivi svelamenti di opposti.<\/p>\n Circondata dai canti popolari delle contadine salentine, Romina de Novellis, isolata in uno spazio ristretto, ha messo in atto un lavoro performativo ipnotico e ancestrale come un rituale pagano<\/p><\/blockquote>\n \u201cLa nudit\u00e0 non come condizione subita, ma come scelta, come dichiarazione di autonomia sul proprio corpo. Non \u00e8 il pittore, il fotografo che chiede alla donna di spogliarsi, ma la donna che si spoglia e decide di mostrarsi\u201d<\/p><\/blockquote>\n La libert\u00e0 delle donne deve cominciare proprio dal corpo, luogo in cui la femminilit\u00e0 \u00e8 stata ridotta a uno stereotipo passivo e il corpo di Romina rivendica questo diritto mostrandosi orgogliosamente nudo<\/strong> per essere il protagonista dei suoi racconti. Le sue performances sono emotivamente coinvolgenti e nascono sia come racconto personale e intimo che come dialogo con l\u2019ambiente per la sua salvaguardia. Il corpo femminile \u00e8 corpo in s\u00e9, le donne non hanno<\/em> un corpo, sono<\/em> corpo e questo corpo \u00e8 uno strumento creativo non solo da un punto di vista biologico ma anche di pensiero<\/strong>, la performance \u00e8 quindi la sublimazione di un percorso individuale che, mostrandosi, diventa esperienza collettiva.<\/p>\n \u201cSia che si tratti del corpo altrui sia che si tratti del mio, non ho altro modo di conoscere il corpo umano che viverlo, cio\u00e8 assumere sul mio conto il dramma che mi attraversa e confondermi con esso\u201d, scriveva Merleau-Ponty nella \u201cPhenomelogie de la perception\u201d (Gallimard, Parigi, 1976). Arte e contaminazione dei linguaggi Frammentariet\u00e0 dei […]<\/p>\n","protected":false},"author":16,"featured_media":20177,"comment_status":"closed","ping_status":"closed","sticky":false,"template":"","format":"standard","meta":{"footnotes":""},"categories":[1724],"tags":[],"yoast_head":"\nRomina de Novellis e il trauma del corpo<\/strong><\/h4>\n
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La performance come happening<\/strong><\/h4>\n
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Le artiste nel racconto del corpo femminile<\/strong><\/h4>\n
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“La veglia”<\/strong><\/h4>\n
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L\u2019artista performer mette in scena continuamente il proprio s\u00e9 attraverso l\u2019azione come in una sorta di seduta psicoanalitica in cui \u00e8 il corpo a essere il protagonista assoluto. Anche nel lavoro di Romina de Novellis \u00e8 il corpo il punto di partenza<\/strong>, un corpo che \u00e8 stato forgiato dal lavoro fisico, dolorosamente perso in frammenti e poi ritrovato grazie a una resilienza non comune. La ripetizione dei gesti, perfetti come possono essere solamente quelli di chi ha praticato la danza a livello professionale, \u00e8 compiuta da un corpo<\/strong> spesso nudo e fragile come un oggetto sacrificale ma, allo stesso tempo, incredibilmente forte come quello di una guerriera<\/strong>.<\/p>\n![\"\"](\"https:\/\/donnexdiritti.com\/wp-content\/uploads\/2021\/06\/Romina-De-Novellis-La-Veglia-2012.-Performance-in-diora-privata-Parigi.-Courtesy-Alberta-Pane-Parigi-Venezia-e-lartista.jpg\")
“La Sacra famiglia”<\/strong><\/h4>\n
![\"\"](\"https:\/\/donnexdiritti.com\/wp-content\/uploads\/2021\/06\/Romina-De-Novellis-La-Sacra-Famiglia-2015-Napoli.-Courtesy-Alberta-Pane-Parigi-Venezia-e-lartista.png\")
\u201cLa Sacra Famiglia\u201d (2015)<\/strong> \u00e8 invece una performance corale, una processione di svariate ore attraverso le vie di Napoli, citt\u00e0 natale dell\u2019artista, la sera della vigilia.<\/strong> Romina \u00e8 in testa, vestita di bianco come una vestale contemporanea con i lunghi capelli neri sciolti sulle spalle e un cappone spennato fra le mani come fosse un\u2019offerta sacrificale. Seguita da tutta la sua numerosa famiglia, dalle sale del Museo Archeologico comincia a camminare fino a raggiungere il mare, dove il cibo viene lasciato.<\/strong> Camminare alla testa di un corteo o in circolo, spesso nuda e a piedi scalzi, in un esercizio di meditazione, resistenza e straniamento da se stessa, \u00e8 una metodologia che ricorre spesso nella pratica performativa di questa artista. Come scrive \u00a0Federica Boragina:<\/p>\n![\"\"](\"https:\/\/donnexdiritti.com\/wp-content\/uploads\/2021\/06\/Romina-De-Novellis-La-Sacra-Famiglia-2015-Museo-Archeologico-di-Napoli.-Courtesy-Alberta-Pane-Parigi-Venezia-e-lartista.png\")
L’eco-femminismo<\/strong><\/h4>\n
![\"\"](\"https:\/\/donnexdiritti.com\/wp-content\/uploads\/2021\/06\/11040610_10153233383450197_8650943811520657714_o.jpg\")
Temi cruciali legati all\u2019eco-femminismo sono alla base della sua prossima performance estiva in Puglia a Galatina, un lungo tavolo in mezzo alla campagna salentina, in una sorta di rivisitazione dell\u2019ultima cena Leonardesca<\/strong> dove l\u2019artista, seduta al centro della tavolata, comincia a mangiare un pasto vegano all\u2019imbrunire con un gruppo di curator* e studios*<\/strong> con cui discuter\u00e0 di ambiente e di accoglienza fino a notte fonda fra gli ulivi secolari che, nell\u2019indifferenza mediatica, stanno morendo di xyiella.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"