Stati Uniti: per i Repubblicani gli omosessuali non sono più tabù

Dopo la ritirata dell'ultra conservatore Santorum il partito repubblicano sembra ammorbidirsi verso i diritti omosessuali

Luisa Betti Dakli
Luisa Betti Dakli
Direttrice di DonnexDiritti Network e International Women



Una delle conseguenze dell’uscita di scena di Rick Santorum dalla corsa alle primarie repubblicane in vista delle elezioni presidenziali Usa di novembre prossimo, è stata l’inevitabile rimonta di Mitt Romney, ormai unico e credibile sfidante del Gop nei confronti dell’attuale presidente degli Stati Uniti, Barak Obama. Se uno degli ultimi sondaggi della Cnn dava infatti Obama al 52% e Romney al 43% con un vantaggio di 9 punti del primo sul secondo, pochi giorni fa il sondaggio di Cbs News, ha rimesso in gioco la situazione con un pareggio dei due sfidanti. Spostamento legato anche alla mobilità di parte dell’elettorato americano che, con la rinuncia dell’ultraconservatore cattolico Santorum fermo su posizioni tradizionaliste su donne e gay, ha intravisto possibili aperture da parte dell’ala più illuminata dei repubblicani.

Uno degli aghi che ormai pesano sulla bilancia della politica Usa, è infatti quello della comunità Lgbt (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender) che rappresentano una fetta di voti sempre più significativa nel Paese, una fascia di popolazione con cui i due contendenti dovranno par forza fare i conti. E dopo la ritirata di Santorum, che si è sempre e fermamente opposto ai gay nella sua campagna, sembra che anche l’atteggiamento del partito repubblicano sia cambiato nei confronti dei diritti omosessuali:

«Il partito repubblicano per anni è stato retto da ideologie contrarie alla unioni omosessuali, mentre ora tacce»

Secondo il “Politico” se fino a un po’ di tempo fa i dibattiti repubblicani sui gay erano piuttosto accesi, adesso la questione «è praticamente morta» in quanto la leadership del Grand Old Party «non si preoccupa più di discutere o litigare sui gay, preferendo lavorare dietro le quinte». In poche parole il Gop, più che diventare un partito progressista, si sarebbe evoluto prendendo atto del cambiamento ormai avvenuto nel Paese. «Quello che viene considerato scioccante in tv in un decennio cambia e diventa quasi un luogo comune nel decennio successivo – ha detto Jack Kingston del Gop – e lo stesso accade nella società», perché «se prima i legislatori cercavano di assicurarsi una fetta di elettorato dichiarandosi contrari ai gay, ora non è più possibile», ha concluso Kingston. Un atteggiamento che, secondo il sondaggio condotto dal «Wall Street Journal»/NbcNews, avrebbe portato ai repubblicani un aumento del 9% nell’ultimo mese, una percentuale che potrebbe fare la differenza tra i due candidati, e la realtà del cambiamento in corso non è sfuggita a Romney che già a gennaio di quest’anno ha ammorbidito le sue posizioni sui gay, dichiarando, in un dibattito alla Nbc: «Non ho nulla contro i gay. Uno della mia giunta in Massachusetts era gay. Solo non appoggio il matrimonio tra omosessuali».

Romney però, pur affermando una certa apertura, ha stretto da tempo il suo destino con chi condanna fermamente i matrimoni omosessuali, ovvero con il Nom (National Organization for Marriage), la potente organizzazione antigay per la difesa del matrimonio tra uomo e donna. Nel 2008 il Comitato di Azione Politica di Romney ha donato al Nom 10’000 dollari, mentre poche settimane fa D.Craig Cardon e Broc Hiatt, due membri del Nom, hanno donato all’attuale campagna del candidato repubblicano, circa 2500 dollari ciascuno. Un’alleanza sancita definitivamente dalle parole di Brian Brown, presidente del Nom, che ha fatto sapere:

«Siamo orgogliosi di sostenere Mitt Romney come futuro presidente, lui rappresenta l’impegno a preservare il matrimonio tra uomo e donna»

Un appoggio sancito ben prima del ritiro di Santorum, che non ha mai nascosto la sua avversità alle unioni gay, e che mette Romney nella posizione di chi vuole comunque mantenere un legame solido con quella parte di elettorato tradizionalista e antigay che ha sempre seguito senza però mostrarsi completamente avverso alla comunità Lgbt. Un ruolo che invece dovrebbe essere pienamente sostenuto dall’attuale presidente degli Stati Uniti il quale, come sostiene lo stesso Brown, «ha fatto praticamente tutto ciò che era in suo potere per minare l’istituzione tradizionale del matrimonio».

In realtà Barak Obama ha fatto molti passi verso i diritti degli omosessuali americani sia incaricando il Dipartimento di Giustizia a non sostenere il «Defense of Marriage Act» – che vieta il riconoscimento federale dei matrimoni gay – dichiarandola «incostituzionale», sia a far decadere il «Don’t ask, don’t tell» che imponeva ai gay il silenzio per potersi arruolare nell’esercito, ma non ha mai approvato del tutto il matrimonio gay. Nel 2008 il candidato democratico aveva infatti sì condannato il referendum «Proposition 8» come «discriminatorio» in quanto introduceva il divieto dei matrimoni omosessuali nella costituzione della California, ma allo stesso tempo si era dichiarato di essere «personalmente» più favorevole al riconoscimento delle unioni civili gay e tendenzialmente contrario al vero e proprio matrimonio anche per ragioni religiose.

E se anche sul sito ufficiale della Casa Bianca è apparsa giorni fa una sezione in cui vengono elencati gli interventi del governo Obama a favore dei diritti Lgbt, lo stesso presidente si è recentemente rifiutato – secondo il «New York Times» – di firmare un ordine esecutivo sul divieto di discriminazioni da parte dei datori di lavoro nei confronti di gay, bisessuali e trans presso aziende pubbliche.

Ma a premere affinché Obama prenda una posizione netta sulle unione gay è il suo stesso staff che, secondo il «Los Angeles Times», vuole che Obama introduca questo punto nella «piattaforma» che il partito democratico presenterà a settembre alla convention nazionale a Charlotte, in North Carolina. A sostegno di questa chiarezza sono infatti già intervenuti quattro ex presidenti del Comitato Nazionale Democratico con un comunicato favorevole al matrimonio gay che ha avuto l’appoggio di molti senatori democratici, tra cui l’ex leader democratica alla Camera Nancy Pelosi, mentre il sindaco di Los Angeles che presiederà la convention nazionale, Antonio Villaraigosa, ha dichiarato di essere favorevole alla «parità matrimoniale».

Negli Usa gli Stati che permettono i matrimoni omosessuali sono 8 (Massachusetts, Connecticut, Iowa, Vermont, New Hampshire, New York, distretto di Washington DC, California e New Jersey) ma i problemi legati a queste unioni mettono in moto forze contrastanti e pongono l’attenzione sulle falle del sistema americano. Poco tempo fa due donne che volevano divorziare in Maryland sono state costrette a ricorrere alta Corte in quanto il giudice ha dichiarato «illegale» il divorzio tra due persone dello stesso sesso, mentre una coppia gay regolarmente sposata nel 2008 in California, si è vista rifiutare dalla corte federale la richiesta di estensione al partner dell’assicurazione sanitaria, che di norma viene applicata nelle coppie eterosessuali. La partita è comunque aperta perché se Obama il 21 aprile ha approvato la «Non-Discrimination Act student» – per bandire la discriminazione contro gli studenti sulla base dell’orientamento sessuale e identità di genere, dall’altra parte Mitt Romney ha nominato Richard Grenell, apertamente gay, come portavoce della politica estera.Obama ha fatto molti passi verso i diritti degli omosessuali ma non ha mai approvato del tutto il matrimonio gay.

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