Addio a Franca Rame che ha lottato per la libertà di tutte

Ebbe il coraggio di raccontare a teatro e in tv lo stupro che subì come rappresaglia da un gruppo fascista

Luisa Betti Dakli
Luisa Betti Dakli
Direttrice di DonnexDiritti Network e International Women



Oggi se n’è andata una donna che ha lottato tenacemente per tutte le altre. Una donna che per denunciare la violenza contro le donne, ebbe il coraggio di raccontare pubblicamente – a teatro e in tv durante un “Fantastico” diretto da Celentano – lo stupro che subì come rappresaglia da un gruppo fascista che colpì lei per colpire tutto quello che, con il compagno Dario Fo, rappresentavano:

un atto violento e cruento, nella migliore tradizione di discriminazione sessista e machista sulle donne intese come proprietà del nemico da “violare” e umiliare, né più né meno come si fa con lo stupro di guerra

Franca Rame se ne è andata a 84 anni proprio dopo la ratifica italiana della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, quasi come un monito a far in modo che le cose, in questo Paese, cambino davvero da quel 9 marzo 1973 quando lei fu rapita, stuprata e torturata su un camioncino da un gruppo di uomini che non furono mai condannati. Sì, perché su quel reato, in cui furono coinvolte anche le forze dell’ordine, non ci fu alcuna condanna ma solo la prescrizione dopo 25 anni.

Un modo di trattare la violenza sulle donne non dissimile da adesso, se pensiamo che oggi, per commentare la morte di Franca Rame, donna coraggiosa, intelligente, imponente e autorevole, un telegiornale come il Tg2 ne ha parlato come di una “pasionaria rossa che approfittava della propria bellezza fisica per imporre attenzione. Finché il 9 marzo del 1973 fu sequestrata e stuprata”: quasi come se lei stessa si fosse cercata questo castigo, questa punizione, questo inevitabile evento per una donna militante bella e per questo “appetibile” oggetto di uno stupro.

Vergognoso e arrogante il modo di sostenere questa cultura discriminatoria che mette per forza le donne in quel posto reietto, come fossimo esseri umani di serie B, non dissimile dal maschilismo violento di quei fascisti che la stuprarono e la torturarono, e che propina a milioni di telespettatori una narrazione distorta che risuona come un leit motiv nei tribunali di ieri e di oggi, come il tormentone fatto di domande insistenti su particolari insignificanti e morbosi solo per dimostrare che in una violenza la complicità della donna è prassi: “Lei ha goduto?”, “Ha raggiunto l’orgasmo?”, “Se sì, quante volte?”, chiedono il poliziotto, il medico e l’avvocato in un interrogatorio durante un processo per stupro riportato da Franca Rame nel suo monologo a teatro.

Franca Rame

Insinuazioni, capovolgimenti, che hanno però un nome preciso, ovvero: “vittimizzazione secondaria”, citata anche nella Convenzione di Istanbul ratificata ieri. Tutti lo sanno che non si fa, se ne scrive, se ne parla, ma la realtà scalza ogni buona intenzione perché invece si fa eccome, si è fatto durante tutto processo della minorenne stuprata da 8 ragazzi a Montalto di Castro come in tanti altri processi italiani.

Che la voce di Franca Rame non rimanga inascoltata e continui a risuonare nelle nostre orecchie come un monito forte da non dimenticare

Continuiamo a vigilare e a lottare per tutte, e a far in modo che tutto questo abbia un senso. Si fa oggi come ieri – e come raccontato in “Processo per stupro” – con un tacito consenso che permette ancora adesso ai media di continuare a narrare la violenza contro le donne in maniera sessista: se si fa in un tribunale davanti a un giudice, perché non si può fare in televisione o sui giornali? In molti tribunali italiani le donne continuano a non essere credute e a essere colpevolizzate, e per questo molte ancora non denunciano: donne che hanno paura di questo doppio stupro e quindi preferiscono lasciar stare pur di sottrarsi alla gogna pubblica, dato che in questo Paese può succedere di essere colpevolizzate della violenza subita anche dopo la morte fisica.

 

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