Perché Michaela Biancofiore è inadeguata alle pari opportunità

La parlamentare, oltre a essere omofoba, ha anche presentato un legge a favore dell'Alienazione parentale

Luisa Betti Dakli
Luisa Betti Dakli
Direttrice di DonnexDiritti Network e International Women



Finalmente si cominciano ad aprire squarci di luce per le italiane. E devo dire, fuori dai denti, che non vedevo l’ora di lottare insieme, e sulla stessa lunghezza d’onda, con donne come la presidente della camera, Laura Boldrini, e la ministra per l’integrazione, Cecile Kyenge, che pur subendo sulla loro pelle quello che non auguro neanche al mio peggior nemico, resistono e continuano a rispondere in maniera ferma ed efficace agli attacchi violenti, sessisti, discriminatori, razzisti, che vorrebbero umiliarle schiacciandole nella morsa di chi scambia la violenza come una forma di libertà di espressione, e la denuncia di questa stessa violenza, come censura. Uno squarcio di sole che si allarga alle parole della ministra alle pari opportunità, Josefa Idem (Pd), che oltre a esprimere solidarietà alle colleghe in parlamento, in una intervista a Elisabetta Carta per il Tg3, dichiara come tra le prime azioni che intende mettere in campo contro il femminicidio, ci sia l’avvio di una task-force interministeriale tra Pari Opportunità, Interni e Giustizia, e l’approfondimento del problema attraverso un Osservatorio nazionale: dimostrando finalmente di capire che il problema non è una legge dai tempi biblici contro il femminicidio ma azioni politiche dirette e immediate per una situazione, quella della violenza sulle donne in Italia, ormai strutturale al Paese.

Laura Boldrini

Spiragli che, non nascondo, si sono spalancati alla notizia della rimozione dalla delega alle pari opportunità della sottosegretaria Michaela Biancofiore (Pdl) ricollocata con delega alla pubblica amministrazione e semplificazione. Un ordine arrivato dal presidente del consiglio, Enrico Letta, dopo l’intervista che Biancofiore aveva rilasciato a “Repubblica” con dichiarazioni “discutibili” sui gay, frasi che hanno indignato le associazioni. Il motivo scatenante sarebbero state alcune affermazioni definite “omofobe” nell’intervista, anche se in realtà la sottosegretaria non è mai stata favorevole a rapporti tra lo stesso sesso, tanto che in un comizio con Berlusconi e un intervento con Klaus Davi, aveva detto: “Chi va con i trans ha seri problemi di posizionamento sessuale”; “Gli italiani sono tendenzialmente contrari ai matrimoni gay perché noi restiamo un popolo profondamente cattolico”; “Per un etero anche un approccio affettivo di un gay crea imbarazzo”; “Non c’è solo l’eterosessualità, ma anche una sessualità diversa, che oggi, purtroppo, è estremamente comune” (e questo non l’altro ieri, quindi un pensiero risaputo anche per chi l’aveva scelta all’inizio per la delega alle pari opportunità).

Silvio Berlusconi con Michaela Biancofiore

La cosa più grave però, ed è quella che mi solleva al pensiero che non sia più con delega alle pari opportunità, è che Biancofiore, anche se ha accusato le associazioni gay di  “autoghettizzarsi” dimenticandosi di condannare “i tanti femminicidi delle ultime ore”, ha nel suo curriculum qualcosa che la fa definire davvero molto poco adatta alle pari opportunità, ovvero la proposta di legge che ha presentato lo scorso anno alla camera sulla modifica dell’affido condiviso: una proposta speculare al ddl 957 presentato al senato, che avrebbero potuto introdurre il concetto di PAS (sindrome di alienazione parentale) –  nello specifico una malattia inesistente e mai riconosciuta ufficialmente – come norma di legge.

Nella fattispecie l’atto della camera sulle “Modifiche al codice civile, al codice di procedura civile e alla legge 8 febbraio 2006, n. 54, in materia di affidamento condiviso dei figli” (5257) di Biancofiore, introduceva all’articolo 155- bis del codice civile che “Il giudice può escludere un genitore dall’affidamento, con provvedimento motivato, qualora ritenga che da quel genitore, se affidatario, possa venire pregiudizio al minore.

La comprovata e perdurante violenza, sia fisica che psicologica, nei confronti dei figli e, in particolare, la manipolazione di essi mirata al rifiuto dell’altro genitore o al suo allontanamento, comportano l’esclusione dall’affidamento. Le denunce per le quali sia provata la falsità, mosse al medesimo scopo, comportano altresì l’esclusione dall’affidamento, ove non ricorrano gli estremi per una sanzione più grave. In ogni caso il giudice può, per gravi motivi, ordinare che la prole sia collocata presso una terza persona o, nell’impossibilità, in una comunità di tipo familiare”.

in questo testo di legge si metteva sullo stesso piano una malattia che non esiste come la sindrome di alienazione parentale con la violenza domestica

fisica e psicologica sui minori, che invece esiste ed è un fenomeno grave, non solo quando avviene nei confronti dei minori ma anche quando i bambini assistono a quella nei confronti di un membro della famiglia, soprattutto le madri, in quanto possono creare danni anche irreversibili. Senza stare ancora a ricordare che in Italia l’85% della violenza sulle donne è violenza domestica, e che circa 400 mila bambini assistono a violenza intrafamiliare con gravi danni fino ad arrivare a veri blocchi della crescita (rapporto Daphne), ricordiamo invece quello che succede con i femminicidi, quelli che Biancofiore rinfaccia alle associazioni gay.

Il 70 % delle donne uccise all’interno delle relazioni intime, aveva già segnalato il partner alle forze dell’ordine o ai servizi sociali, e malgrado questo sono morte. Ma il femminicidio non è solo l’atto criminoso e comprende tutte le violenze che una donna può subire, tutte le forme di discriminazioni culturalmente attribuibili al fatto di appartenere al genere femminile: un fenomeno che in Italia, senza ombra di dubbio, vede la sua situazione più grave dentro le mura domestiche – dove spesso si è in presenza di minori – e che nella statistica “esplode” proprio quando la donna dice “basta”, denunciando e lasciando il partner, e provocando quello che molti giornali chiamano ancora “raptus”, intendendo l’atto del femmicidio. Tutto questo per dire che è proprio quando una donna si separa dal partner violento che è maggiormente in pericolo e che ha bisogno di essere protetta e aiutata, anche perché, quando ci sono, i minori diventano uno dei ricatti abituali (mi lasci? ti toglierò i figli, stai sicura!).

Ma cosa succede nei tribunali italiani? Succede ormai troppo spesso, e in modo particolare nei tribunali dei minori, che se una donna denuncia la presenza di un marito violento (il 95% delle violenze nei rapporti intimi in Italia sono dell’uomo verso la donna) di cui ha paura per sé e per i figli,  rischierà non solo di non essere protetta ma anche di non essere creduta e di perdere i figli anche in maniera definitiva. Perché di fronte a una richiesta di affido esclusivo del genitore non violento, ci si vede ormai opporre sempre più spesso un ricorso in cui non solo si mettono in discussione le accuse (che ovviamente devono essere provate), ma in cui il giudice chiederà una perizia, una Ctu (consulenza tecnica d’ufficio), in cui lo psicologo o lo psichiatra di turno può fare – e ormai nella maggior parte dei casi fa – una diagnosi di Pas sul minore, dicendo che il bambino non vuole vedere o rifiuta l’altro genitore non perché eventualmente ci sono violenze o abusi da accertare (con strumenti processuali come testimonianza, ascolti dei minori e degli adulti, ecc.), ma perché è malato: cioè subisce una “manipolazione  mirata al rifiuto dell’altro genitore o al suo allontanamento”, e quindi

va rinchiuso in una casa famiglia perché va curato oppure affidato al genitore rifiutato per guarire

Questa non è una storiella horror che mi piace raccontare, questa è la realtà che sta distruggendo intere generazioni, e che ascolto ogni giorno da madri disperate che perdono i loro figli, e da figli abusati scappati da genitori violenti o da strutture perché sedati e obbligati ad abbandonare la scuola, gli amici, la casa, gli affetti, come se fossero in carcere. Un’ingiustizia disumana tutta italiana. E questo in virtù di diagnosi ben pagate, avvocati che invece di mediare istigano al contrasto aumentando la violenza quando c’è (e anche le loro parcelle), giudici che non si rendono conto del danno che fanno e che sembrano aver perso gli strumenti processuali affidandosi solo a psicologi e alle loro Ctu. Figuratevi se una cosa del genere fosse messa come norma di legge.

 

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