Il gendercidio arriva in Europa: la Gran Bretagna si mette in allerta

L’aborto selettivo in base al sesso della nascitura è stato esportato in Europa e Occidente tra le famiglie di immigrati

Luisa Betti Dakli
Luisa Betti Dakli
Direttrice di DonnexDiritti Network e International Women



Il 15 giugno del 2011 cinque agenzie delle Nazioni Unite hanno firmato a Ginevra una dichiarazione contro l’aborto selettivo che colpisce le bambine, dichiarando appunto che si tratta di “gendercidio”,  e condannando la pratica diffusa in Asia sud-orientale, soprattutto in Cina e in India che, secondo una stima del Premio Nobel indiano per l’economia Amartya K. Sen (risalente al 1990), farebbe mancare all’appello circa 100 milioni di bimbe. Ma il gendercidio, ovvero l’aborto selettivo in base al sesso della nascitura, è ormai stato esportato anche nella civile Europa e nell’Occidente, dove sempre più famiglie di immigrati decidono di praticare l’aborto nel momento in cui si rendono conto che nascerà una femmina. Ad ammetterlo, giorni fa, è stato il ministro della salute inglese, Earl Howe, che ha dichiarato che in Gran Bretagna sono in considerevole aumento gli aborti illegali su feti di sesso femminile, un dato che si riferisce al fatto che

negli ultimi anni mentre le nascite di maschi e femmine sono in linea con le precedenti rilevazioni, quelle che riguardano le immigrate registrano un netto calo delle nascite di bambine

Earl Howe

In Gran Bretagna vengono effettuati 600 interruzioni di gravidanza al giorno, e sembra che negli ultimi anni i tassi di natalità variano sensibilmente a seconda della nazionalità della madre. “Mentre il generale rapporto Regno Unito nascita è nella norma, tra 2007 e 2011 – ha precisato Howe – i dati delle nascite variano sensibilmente a seconda della nazionalità della madre”. Lord Howe ha detto che i funzionari governativi continueranno a “monitorare” la questione e analizzare i dati, ma ha respinto la richiesta Nobile Alton, che aveva chiesto di raccogliere i dati sul sesso dei bambini non ancora nati, in quanto, registrando il sesso dei feti, si “sollevano problemi etici e clinici”. La questione era arrivata alla ribalta dei media già l’anno scorso in Inghilterra con una inchiesta, fatta con giornalisti travestiti da medici per il Daily Telegraph, che aveva riportato che sempre più spesso ai medici viene richiesto di effettuare aborti di future bambine, e su questa inchiesta Andrew Lansley, il ministro della salute inglese prima di Howe, aveva condannato la pratica come “illegale e moralmente sbagliata”.

In realtà l’anno scorso, si era già pronunciato anche il Consiglio d’Europa che aveva addirittura invitati gli Stati membri, compresa la Gran Bretagna, a omettere di dire ai genitori il sesso del nascituro a causa delle

preoccupazioni dell’aumento degli aborti selettivi sul sesso

un allarme che ha portato già molti ospedali a non dare ai genitori informazioni sul sesso dei loro bambini fino a tarda gravidanza. Un metodo suggerito anche in Canada dal dottor Rajendra Kale, che ha pubblicato nel gennaio 2012 uno studio sul fenomeno, e che è arrivato a sostenere che sarebbe meglio non rivelare ai genitori il sesso del feto fino alla trentesima settimana, perché, come da lui stesso notato in Canada, i genitori cinesi, coreani, indiani hanno chiaramente una preferenza che li potrebbe portare ad abortire il feto nel caso ci sia in arrivo una femmina.

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